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È il giornalismo, bellezza! Sì ..., ma quale?
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È il giornalismo, bellezza! Sì ..., ma quale?

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Su quanti mondi paralleli si esercita la professione di giornalista?

Vediamo un po’, c’è quello della carta stampata, quello della Tv, quello della radio, ma con fare prepotente ora c’è anche quello del web e di tutte le declinazioni del digitale, senza dimenticare quello delle pubbliche relazioni, e nemmeno quello della formazione… Mondi paralleli con problemi spesso diversissimi. Dove i compensi, la tecnologia, le regole e, inevitabilmente, la deontologia, hanno differenze e specificità da brividi. Ecco, per un viaggio nei mondi paralleli del giornalismo professionale, per cercare di capirne le logiche e, insieme, i punti critici ma anche quelli di forza, vi offriamo tre analisi con tre prospettive diverse. Un botta e risposta fra colleghi andato "in onda" proprio qua, in una chat di Nuova Informazione. Di - nell’ordine d'intervento - Francesco Facchini, Giovanna Fumarola e Michele Urbano.

 Francesco Facchini

Si chiama neuroflash. È un codice di intelligenza artificiale in grado di scrivere articoli. Basta dargli un abstract, con le informazioni rilevanti che vuoi siano inserite nello scritto. Costa poco, pochissimo e se gli dai le indicazioni giuste arriva dritto al punto. Se non fosse per qualche frase un po’ scolastica, che puoi correggere, non ti accorgeresti della differenza. Partiamo da qui per capire che prospettive ha il giornalismo che dovrebbe dare la tessera anche al nostro “collega” GTP-3 (sta uscendo il 4). Questo è il nome del codice che può fare il giornalista al posto nostro. Considerando l’inquietante “collega” che si para all’orizzonte, verrebbe da dire che il giornalismo è morto. Non è così. Tutt’altro. Il giornalismo non è mai stato così importante e così necessario come ora. Siamo in tempi di violenta rivoluzione tecnologica e abbiamo una scelta possibile: essere travolti o metterci al volante del cambiamento.

Non c’è mai stato un periodo come questo, nel quale la tecnologia può minare o rafforzare il nostro lavoro. Dipende da noi il metterci in un’ottica o nell’altra. Abbiamo hardware tra le mani come gli smartphone che sono potentissime macchine di calcolo. Ci fanno produrre immagini televisive, audio di qualità, foto professionali. Ci aiutano nel lavoro, ci migliorano, velocizzano i passaggi, conservano i dati, moltiplicano la conoscenza, annullano i tempi morti. Con i device mobili possiamo creare siti, televisioni, radio, prodotti audiovisuali di ogni genere, prodotti editoriali di qualsiasi fatta. Possiamo raggiungere direttamente il pubblico saltando a piè pari la figura dell’editore. Il tutto a costi (o meglio a investimenti) irrisori.

Possiamo uscire dal circuito classico del mercato del lavoro ormai straziato da un impoverimento economico e di idee e insostenibile se si vuole avere una vita, oltre che una carriera, dignitosa. Possiamo servire il nostro pubblico perché possiamo parlargli. Possiamo essere progettisti e produttori del contenuto informativo, rispettando le regole deontologiche e i principi etici della professione, per qualsiasi tipo di committente. Il giornalista di oggi esiste a prescindere dai media. Ora abbiamo gli strumenti, gli hardware, i software per fare tutto questo e per dare il via alla rivoluzione della nostra professione facendo rimanere il fattore umano al centro.

In questo quadro, fare giornalismo oggi è bellissimo e sfidante.  Arriverà l’intelligenza artificiale che produrrà testi per noi (neuroflash è già qui), arriveranno i contenuti informativi nel metaverso che vogliamo e dobbiamo produrre noi. Già, perché con qualsiasi strumento in mano, la professionalità giornalistica deve restare al centro del discorso. Pensaci: la ricerca, il discernimento, la creatività, l’empatia, l’interpretazione della realtà, il suo racconto, l’interazione con il pubblico e la mediazione sociale insita del nostro lavoro, non potranno mai essere sostituiti da un codice.  A noi la scelta: abbracciare il cambiamento o morire.

 Giovanna Fumarola

Il vero giornalista libero professionista vale l'avvocato o il commercialista quando trova "clienti" che accettano una parcella equiparabile, non credi? Accade là fuori? A giudicare dalle esperienze dei colleghi fuoriusciti dalle redazioni, la risposta per me è un secco no. Non può che rincuorarmi sapere che esistano committenti disposti a versare il giusto compenso anziché un obolo. Perché purtroppo questo - un miserrimo obolo - si vede offrire nella maggioranza dei casi il giornalista che svolge il suo mestiere nella sua primigenia accezione, ovvero dare notizie. Poco importa se su supporto cartaceo o meno, poco importa se di politica interna o sul nuovo trend della gonna al maschile, ma dare notizie, mestiere che anche oggi è richiesto, però in cambio di pochi spiccioli. Al Congresso Fnsi sono stati forniti dati prosaici e mesti: un giornalista libero professionista dichiara dai 7 mila ai 14 mila euro all'anno. Quindi ottimo sottolineare che ci siano molti ambiti nei quali un giornalista può operare, stando attenti però a non scambiarlo con un copy, un autore. Ci si può reinventare in questo modo, io stessa in passato ho scritto testi televisivi, per carità! Ma chi difende i giornalisti in senso stretto, quelli ai quali viene chiesto di lavorare per una giornata scrivendo due articoli, passando impaginati, facendo un'intervista in cambio di 40 euro lordi? Esempio che non è inventato: riguarda un giovane collega che pur di non restare fermo accetta questo. No al piagnisteo, sì alla capacità di reinventarsi, ma anche un enorme sì al continuare a battersi per un equo compenso quando si forniscono notizie, non solo storie, etichette dei vini o brochure, ché lì magari l'imprenditore illuminato lo trovi anche, ma io PRETENDO che anche l'editore tradizionale sia costretto a essere illuminato, non so se mi spiego

 Michele Urbano

Due mondi diversi. Dove - è quello di Francesco - la libera professione e onestamente retribuita, mentre in quello di Giovanna la sottopaga è la regola. Ma la verità, forse, è che in questi ultimi decenni si sono effettivamente formati due, tre, quattro, cinque... mondi paralleli, dove, peraltro, le trasmigrazioni sono frequentissime perché, in ultima analisi, il mondo è lo stesso! Il fenomeno penso proprio che si spieghi con il tumultuoso cambiamento che il web - e in generale l’innovazione tecnologica hanno impresso al sistema dei media in tutto il mondo, Italia compresa. Modificando a una velocità impressionante, costi, capacità tecnologica di diffusione, tecniche d’uso e quindi i ruoli professionali. Un cambiamento che ha prodotto molte trasformazioni del “mestiere” (anche nelle sue sensibilità) e, inevitabilmente, nel suo uso.

Faccio un solo esempio: moltiplicandosi a basso costo i canali informativi il cercatore di notizie (il cronista) rimane certo come valore aggiunto del prodotto giornale – per chi può permetterselo -, ma le vere colonne, molto più di ieri, sono i selezionatori delle notizie, quei giornalisti sentinella che dalla loro postazione controllano il flusso. Se i compensi sono bassi è anche perché il problema oggi non è quello di trovare le notizie, semmai è quello di selezionare quelle che possono migliorare la diffusione (e quindi il valore commerciale) dei media. Per contro si è aperto un altro mondo parallelo: quello della formazione professionale all’uso dei nuovi strumenti multimediali, a partire dall’iPhone. Dunque, i due, tre, quattro, cinque, mondi (non dimentichiamo: c’è quello, importantissimo, delle pubbliche relazioni e degli uffici stampa) effettivamente vivono paralleli, ma niente affatto separati.

Certo, temo che non basti esorcizzare i guai della professione con il silenzio, ma allo stesso tempo non credo nemmeno che le infinite lacrime possano portarci in paradiso. Insomma, penso che anche il sindacato e in generale la coscienza professionale dei giornalisti debbano fare i conti con gli effetti dell’innovazione, anche sulla deontologia e quindi sulle regole del mestiere. Conti che finora non sono stati fatti. Con il risultato che l’Ordine – non solo per colpa sua – non sa molto bene chi rappresenta, che l’Inpgi (quello del vecchio giornalismo ricco) è morto e che la stessa Fnsi non sta molto bene…

 

       
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