Maria Teresa Manuelli
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GLI IMPEGNI DI NUOVA INFORMAZIONE
Maria Teresa Manuelli
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(documento rivisto e aggiornato per rispondere con rinnovato impegno alle radicali trasformazioni della nostra professione e dei suoi istituti; pubblicato il 22 giugno 2016, ma lasciando, in coda, doverosa documentazione delle precedenti elaborazioni)
In questo 2016, mentre accenna a posarsi la polvere di una crisi economica globale, si riesce a percepire forse qualcosa del panorama futuro del giornalismo.
È uno scenario terremotato, di macerie e di strutture incrinate, pericolanti, instabili.
Un settore il cui fatturato complessivo, in Italia, si è sostanzialmente dimezzato. Una professione le cui caratteristiche sono forse perdute, sicuramente da ridefinire. Un mestiere superato dallo sviluppo tecnologico. Un mondo che si racconta e si rappresenta attraverso il flusso continuo di dati e vuoti, tra nicchie e mainstream intrecciati in maniera convulsa. Uno stravolgimento dei tempi e dei modi che non offre più quei riferimenti e quegli schemi che per lungo tempo, quasi un secolo, costituivano il background comune nell’alleanza tra “giornalista” e “lettore”.
Pur nella convinzione che il ruolo e le funzioni del giornalismo nella società siano destinati a permanere non si può pensare che possano invece permanere le sue strutture e le sue forme.
A chi deve dare retta il cittadino?
La riconoscibilità del giornalista, anche in assenza di autorevolezza, non è più legata alla riconoscibilità e all’autorevolezza del medium per cui lavora o che veicola il suo lavoro. “C’è scritto sul Corriere”, o “l’ha detto il Telegiornale” erano patenti di affidabilità che oggi non bastano più.
Se il cittadino ha il diritto ad essere informato correttamente per poter poi deliberare deve anche poter sapere quali delle innumerevoli fonti di messaggi a cui è esposto sono affidabili. Paradossalmente il ruolo tradizionale attribuito all’Ordine dei Giornalisti sembra oggi ancora più importante che in passato. Accesso alla professione, promulgazione di linee guida deontologiche, formazione degli iscritti, vigilanza sulla correttezza professionale, tenuta dell’elenco degli abilitati, potere sanzionatorio fino alla radiazione: non importa forse quale organismo debba svolgere queste funzioni, ma è fondamentale che queste funzioni siano svolte in maniera rigorosa e pubblica.
A giudicare dalla qualità dell’informazione oggi disponibile salta immediatamente agli occhi la profonda, quasi disperata necessità che il giornalista abbia una formazione solida; le cognizioni di base di numerose discipline sembrano sfuggire di mano in continuazione, elementi di economia, diritto, storia, geografia, matematica, scienze sembrano troppo spesso assenti nel bagaglio culturale della categoria. Come ci si può affidare a chi confonde i milioni con i miliardi, i fatturati con i ricavi, lo stipendio netto col costo aziendale, l’avviso di garanzia con il rinvio a giudizio, o peggio ancora a chi non sa più scrivere e parlare un italiano corretto, minimo indicatore dell’attenzione al proprio ruolo?
Da tempo Nuova Informazione sostiene la necessità di una profonda riforma dell’Ordine e insieme ai colleghi di “liberiamo l’informazione” ha condotto l’ultima campagna per l’autoriforma. Ora sembra avvicinarsi il momento dei provvedimenti legislativi, dopo l’approvazione in senato della delega al governo dovremo tutti spingere perché la montagna non partorisca una pantegana.
Gli obiettivi sono quelli che con coerenza sosteniamo da tempo, l’accesso unico, il Giurì, il requisito della posizione contributiva attiva all’Inpgi, un reddito minimo da attività giornalistica per accedere all’albo. Se la riforma dovesse fermarsi a metà strada riprenderemo il cammino.
Tuttavia c’è un tema ulteriore da definire, che riguarda anche l’albo professionale ma è sotterraneamente all’ordine del giorno per tutti gli Enti di categoria, ed è la platea di riferimento. In più sedi si è discusso della possibilità che ci sia una regolamentazione ordinistica anche per i professionisti della comunicazione, ma anche che nuove professionalità e nuove mansioni vengano introdotte nella contrattazione, che altre categorie contigue abbiano la contribuzione all’Inpgi, che si apra la previdenza complementare a chi non ha un rapporto di lavoro regolato dai contratti FNSI, che la Casagit ampli la sua attività al di fuori del mondo dell’informazione, e alcuni di questi processi sono già avviati. Come possa essere governata questa evoluzione e se possa essere condotta a un processo unitario e coordinato è uno dei temi su cui la categoria dovrebbe trovare una unità di intenti, tenendo conto del fatto che il giornalismo è un concetto sempre in evoluzione e differenziazione.
Questi sono tra i temi su cui si giocheranno, e si stanno giocando, le partite contrattuali. Il terreno centrale è quello dell’inclusione, la definizione cioè di un inquadramento da lavoratori dipendenti di giornalisti che oggi sono fuori dalle tutele, vuoi perché inquadrati ( scorrettamente ) come autonomi o parasubordinati vuoi perché svolgono mansioni non previste da una contrattazione ancorata al passato. Il contratto FIEG-FNSI va modificato, si potrebbe dire aperto, in modo tale da trasformare le figure intermedie tra l’articolo uno e il freelance da autonomi a dipendenti. Non si tratta solo di regolarizzare gli abusivi, quello è un problema di applicazione del contratto, si tratta invece di affermare che esiste una pletora di giornalisti che lavorano stabilmente per una azienda e che possono essere assunti anche se non come articolo uno. Ampliare, generalizzare e sfruttare il buon vecchio articolo 2 ( e 12 ) in un’epoca che scopre lo smart working, o lavoro agile, affermando che noi già potremmo essere molto avanti su quella strada. Contemporaneamente dovremo capire se web master, web editor, web designer, social media manager e chi più ne ha più ne metta sono figure giornalistiche, analogamente a giornalista grafico o telecineoperatore, oppure no. E quelle che rispondono a certi criteri dovranno entrare nel contratto, in quello che oggi è l’articolo 11.
Su questo la Federazione dovrà proporre ai confederali, che hanno problemi analoghi ai nostri, un modo di condivisione dei termini e di demarcazione dei confini di competenza contrattuale.
La riforma dell’Ordine è prevista come delega al Governo in un provvedimento che contiene altri elementi cruciali, come la revisione degli ammortizzatori sociali, l’equo compenso, le nuove provvidenze per l’editoria e l’emittenza locale. La definizione di queste partite influenzerà necessariamente le partite contrattuali, con Fieg e Aeranticorallo, e avrà degli effetti rilevanti sia per l’occupazione sia per i nostri enti economici. La nostra posizione a favore del massimo rigore nel coniugare sostegno pubblico, pluralismo, qualità e buona occupazione dovrà essere ancora più forte in uno scenario in cui si prevede di attingere anche al canone, per una quota fino a cento milioni, per finanziare altre aziende oltre al servizio pubblico.
Ma non sono solo i contratti a richiedere un robusto ammodernamento, non basta la riforma dell’Ordine, tutti i nostri Enti andrebbero ripensati. Fnsi, Inpgi e Casagit hanno organismi assembleari pletorici nei numeri e farraginosi nei sistemi elettivi, e il ciclo continuo delle tornate elettorali e l’inutilità di molti ruoli, ruoli che comportano quasi solo una riga in più sul biglietto da visita, è uno dei motivi della disaffezione della categoria verso la partecipazione non solo al voto, ma alla vita associativa. E contemporaneamente pochi, troppo pochi colleghi si impegnano attivamente, anche per la mancanza di un percorso formativo dei quadri, sindacali e non solo.
Pensiamo alla Lombardia, dove l’Associazione ha uno Statuto del 1999 mai ratificato dal Consiglio Nazionale, e lo Statuto del Circolo della Stampa, per quel che conta, prevede la figura del maggiordomo. Da quindici anni in qua l’ALG ha avuto tre, o forse quattro, commissioni incaricate di proporre un nuovo statuto; nessuna è riuscita a terminare i lavori. Lo stesso destino hanno avuto i lavori dell’ultima commissione statuto all’Inpgi e la riforma dello statuto federale portata al congresso di Bergamo. I nostri organismi vivono ancora nel secolo scorso, il secolo dei giornalisti ricchi e delle casse piene. Quando Inpgi e Casagit non potranno più contribuire alle casse del sindacato non vorremmo svegliarci di soprassalto, arriviamoci preparati e anzi, iniziamo da oggi a studiare l’equivalente di un bilancio consolidato della categoria. Senza demagogia, onestamente, guardando in faccia la realtà e riconoscendo che certe spese sono inutili e altre, forse, insufficienti.
Abbiamo assistito a un canaio vergognoso, disinformato e mistificante sugli emolumenti della Presidente dell’Inpgi; non può e non deve essere quello il metodo del confronto. Secondo noi quell’emolumento è giusto, per quell’incarico in questi tempi, ma non ci nascondiamo che si è parlato di quello anche per non affrontare il problema vero, quello delle risorse da dedicare al lavoro che oggi può essere solo volontario e di quelle buttate per ruoli e lavori inutili o inesistenti, in tutti i nostri organismi.
I vertici dell’Inpgi sono chiamati a un compito non da poco: completare una riforma che, se non ci fosse stata la reazione rabbiosa di chi sosteneva a priori che fosse insufficiente ma anche troppo pesante, sarebbe già in vigore da un pezzo. Ora il lavoro va completato, approfittando anche delle novità normative e facendo tesoro di ogni risvolto, purché utile, del dibattito che c’è stato. Una parte della categoria ha dimostrato di avere un concetto singolare della solidarietà, ma il fatto che tutti i giornalisti dipendenti versino un contributo al fondo di perequazione delle pensioni senza lamentarsene mai ci fa comprendere che i sacrifici, se ben spiegati, siamo pronti a farli. E sulla questione del patrimonio, che da tanti anni come nuova informazione abbiamo sostenuto andasse riallocato perché troppo sbilanciato sul mattone, bisognerà procedere con decisione. Chi sostiene che gli immobili vanno venduti al meglio per garantirgli la pensione non può sostenere che però ha anche diritto a uno sconto del 30% sul prezzo di acquisto, a meno che accetti un taglio di pari entità sulla sua pensione futura. Saranno anni di polemiche furiose da azzeccagarbugli, non dobbiamo farci impressionare dal volume di fuoco di chi non ha di meglio da fare che cercare di rottamarci per potersi sedere sulle macerie, indipendentemente dal nuovismo, renziano, grillino o leghista, in nome del quale si erge a unico, o unica, competente in materia.
La riforma degli ammortizzatori sociali attuata dal governo Renzi attraverso il jobs act rende necessaria una riflessione su quali possano essere le scelte in materia di FNSI e Inpgi, a partire dalla allocazione della aliquota dello 0,60% introdotta nel 2009, ma è anche giunto il momento di adottare la maggiorazione contributiva per i contratti a termine, in linea con la condivisa richiesta di un costo maggiore per il lavoro precario.
Tutti noi siamo chiamati a una sfida che può e deve essere affrontata con spirito fortemente riformista e con coraggio, assumendoci responsabilità non da poco e esigendo che altrettanta responsabilità venga assunta dalle imprese e dallo Stato.