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Ordine, la tentazione di azzerare tutto


DeleteRompere le righe? Abbandonare un Ordine che “non è riformabile da dentro”’ e battersi per un nuovo istituto in grado di adeguarsi alle profonde trasformazioni della professione? Se lo chiede Pino Rea, ragionando sulle dimissioni da consiglieri dei colleghi Bonini, Suber e Bandettini - che fanno riferimento al gruppo progressista Liberiamo l'Informazione - e riproponendo sul sito Lsdi le loro lettere e quella del presidente Dossena. di Pino Rea Lo spunto per le dimissioni è stato fornito dalla riammissione nell’ Ordine della Lombardia di Renato Farina, il famoso “agente Betulla” al soldo dei servizi segreti, che si era dimesso dall’Ordine qualche giorno prima di essere radiato e che ora ha richiesto – e ottenuto con voto unanime del Consiglio dell’ Ordine della Lombardia – di tornare nell’albo. E dalla ipotesi (poi rientrata precipitosamente) di nomina nella commissione di esame di un giornalista/editore napoletano molto chiacchierato, Giovanni Lucianelli, che si è “volontariamente” fatto da parte. Ma le dimissioni vanno oltre il “caso Farina”, investono la natura stessa di questo Ordine e si fondano sulla convinzione che esso sia sostanzialmente non riformabile e che sia necessario pensare a un nuovo soggetto, in grado di riflettere i cambiamenti e le trasformazioni che il giornalismo, i giornalismi, stanno vivendo. Ordine- Le dimissioni rappresentano in pratica un atto politico di totale sfiducia nei confronti dei vertici di un Ordine ipertrofico, che raccoglie nei suoi albi più di 110.000 giornalisti, oltre metà dei quali sono, professionalmente parlando, dei “fantasmi” in quanto privi di qualsiasi posizione contributiva e quindi, di fatto, improduttivi. Un Ordine assolutamente incapace di assumere un ruolo e una fisionomia adeguato alle trasformazioni in atto, che lo stesso Bonini e il sottoscritto, insieme a tutti gli aderenti all’area di “Liberiamo l’informazione”, avevano cercato di interpretare delineando un progetto di un “nuovo Ordine”, seccamente bocciato dal Consiglio nazionale. Dice Bonini, nella conclusione della sua lettera di dimissioni: “Sono consapevole di lasciare un lavoro a metà. A cominciare da un progetto di Riforma dell’Ordine su cui mi ero impegnato (…), che questo Consiglio ha respinto nei mesi scorsi perché ritenuto ‘insostenibile perché troppo avanzato’ e che personalmente mi auguro trovi prima o poi fortuna e interlocutori. A questo punto, fuori dal Consiglio. Di questo lavoro a metà chiedo scusa ai molti colleghi per bene di questo Consiglio che ho imparato a conoscere e stimare in questo anno e ai tanti colleghi che mi hanno dato il loro voto. Ma davvero non c’è posto per me in questo consesso che si è evidentemente rassegnato ad essere solo il simulacro di ciò che vorrebbe difendere e dice di voler difendere”. E Suber esordisce proprio dallo stesso punto: “Tutti i tentativi di cambiare, di riformare quest’Ordine dei giornalisti – prematuri o meno, sbagliati o troppo avanzati che dir si voglia – si siano frantumati contro un muro, quello dei tanti consiglieri che non solo vogliono difendere uno status quo indifendibile da qualsiasi punto di vista ma che negano di fatto gli stessi principi fondanti dell’Ordine”. Infine, Bandettini pone esplicitamente “la questione politica” relativa al Consiglio stesso, alla sua funzione, al suo ruolo nella tutela della nostra professione, e all’impossibilità di operare qualunque cambiamento. (....) Per ulteriori dettagli, rimandiamo infine alle considerazioni sul futuro del giornalismo professionale e al dibattito sulle linee per la riforma dell’Ordine bocciato dal Cnog perché “troppo avanzato”: http://www.lsdi.it/2014/riforma-dell-ordine-un-solo-albo-di-giornalisti-abilitati-alla-professione/
       
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