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Non in mio nome? Perchè non firmo


di Saverio Paffumi

Chi pratica Facebook può essere stato raggiunto, o potrà esserlo, dal seguente appello di iscrizione al gruppo "Non in mio nome” – Sosteniamo l’associazione stampa israeliana. In base a questa motivazione: La Federazione nazionale della stampa italiana annulli il voto di Serventi Longhi che ha espulso i colleghi israeliani dalla Federazione internazionale di Bruxelles. Il gruppo ha raggiunto  l’impressionante numero di 2.614 membri (all’11 agosto), come dire – traducendo il gergo un po’ rigido di Facebook - che l’appello di cui sopra è stato sottoscritto per via telematica da 2.614  persone, fra cui molti colleghi. “L’unico gruppo di pressione al mondo”, come coraggiosamente azzarda il fondatore nel definirlo, prende spunto dal voto unanime con cui la Federazione internazionale dei giornalisti (IJF) ha deciso di rimuovere dall’elenco dei propri associati la Federazione nazionale dei giornalisti di Israele (NFIJ). Essendo stata unanime, la deliberazione comprende anche il voto di Paolo Serventi Longhi che, ex segretario FNSI, è ora membro dell’esecutivo IFJ (è bene precisare che sarebbe riduttivo ed erroneo considerarlo tout court  “il rappresentante della FNSI”, essendo stato eletto alla carica da delegati di varie nazioni) . La vicenda è resa complessa dalla contrapposizione di due tesi che fanno capo ai due principali attori:  1) la NFIJ è stata “rimossa” a causa di una reiterata e non risolta morosità (ma se leggo bene i documenti la decisione dovrà essere ratificata dal congresso internazionale l’anno prossimo); 2) la NFIJ è stata rimossa per motivi politici, in una logica di sostanziale antisemitismo. I colleghi che sono interessati, facendo le dovute tare, trovano proprio cliccando “Non in mio nome” sulla ricerca di Facebook la rappresentazione delle due tesi. Preferisco non esprimere un giudizio sulla questione in sé, dato che non me ne sono occupato e non l’ho approfondita. Quel che mi ha colpito di più è però il lato italiano della vicenda, il modo al solito provinciale e strumentale con cui il fondatore e alcuni animatori del gruppo (tra cui non mancano ben note firme del giornalismo nostrano) usano la vicenda per attaccare la FNSI e lo stesso Serventi Longhi. A scorrere i commenti, se si escludono alcuni eroici resistenti che argomentano controcorrente (leggete ad esempio i “post” del collega Luigi Irdi), si naviga fra insulti e accuse spropositate (sopra tutte l’infamante accusa di antisemitismo) che danno per scontato un assunto non solo falso ma addirittura inverosimile. Tanto che ho scritto ad alcuni dei protagonisti, pregandoli di evitare lo spargimento di montagne di spazzatura, consistente in sacrosanti ragionamenti, a difesa di Israele e degli ebrei, avariati da un presupposto assurdo. E fino a prova contraria anche il cibo migliore, se è avariato o contaminato, diventa spazzatura. Lo smaltimento poi costerà fatica. Mi spiace che lo stesso Presidente dell’Ordine nazionale abbia poi con una certa leggerezza gettato benzina sul fuoco avvallando pubblicamente la tesi israeliana. Qualcuno più malizioso di me, ma neanche troppo, potrebbe dire che non si è fatta mancare un’occasione per assestare un colpetto ad uso interno alle logiche politiche della categoria. In conclusione non potevo certo firmare l’appello, pur auspicando che il caso rientri, che si trovi una mediazione e una soluzione della morosità, dato che con ogni evidenza e per tante ovvie ragioni i colleghi israeliani debbono stare dentro e non fuori la Federazione internazionale dei giornalisti. Allego tre documenti: la lettera (in inglese) con cui la IFJ comunica la decisione unanime alla federazione israeliana; un articolo del Foglio in cui viene espressa la posizione di Del Boca, la lettera che il presidente della FNSI, Roberto Natale, ha inviato ai membri del gruppo “NON IN MIO NOME”. Se ci sono o ci saranno altri documenti e sviluppi potremo allegarli e darne conto.  La lettera della Federazione Internazionale dei Giornalisti alla Federazione israeliana  International Federation of Journalists From the General Secretary .  To: President and Secretary, National Federation of Israel Journalists.   Cc: Jerusalem Association of Journalists June 19th 2009 IFJ and the National Federation of Israeli Journalists.  Dear Colleagues, It is with regret that I write to inform you that the Executive Committee of the International Federation of Journalists, meeting in Oslo on June 7th 2009, agreed unanimously that the National Federation of Israel Journalists should be removed from the roll of membership of the IFJ. The Executive Committee is dismayed that despite much effort on our part to repair our relations over the past three years and our offer to waive all subscription debts, the NFIJ is not willing to compromise and has, indeed, withdrawn an earlier offer to pay something towards its longstanding debt. I inform you that although this decision is immediately effective, it is subject to confirmation by the Congress of the IFJ which meets in Cadiz, Spain, in May next year. If you wish you may enter a formal appeal at that time. Please let me know if you wish to do so. In taking this decision, the IFJ Executive Committee considered the discussions and actions over a number of years and, in particular, over the past few months. You will recall that the IFJ General Secretary met with senior officials of the NFIJ in Tel Aviv on March 19th this year. At that time an interim agreement was reached as follows: that the NFIJ would pay 10.000 Euro to cover the debt owed to the IFJ and fees for 2009 with an undertaking to pay 2.500 Euros for 2010. The IFJ Administrative Committee meeting on March 28th 2009 considered this and made a further offer – that the entire debt of more than 30.000 Euro is waived and that the fee for 2009 should be paid as normal – this would have meant a payment from the NFIJ of 8.112 Euro – almost 2.000 Euro less than the amount offered by NFIJ. I wrote to the NFIJ outlining this offer on March 30th. In the event we have had communications from the Jerusalem Association confirming that the NFIJ, is unable to accept this offer, but instead offers only to make a single payment of 2.500 Euro for 2009 with future payments to be discussed at a later stage. This effectively was a withdrawal of the offer to make a contribution towards the existing debt. The IFJ has at all times said it is willing to consider the financial circumstances of each of its members and is willing to make arrangements concerning particular financial difficulties. However, it is not able to accede to the request from the NFIJ that it be classified on the same terms as other countries in the region – the so-called “Middle Eastern fee” – which is a reduced fee paid to unions coming from countries where difficult socio-economic conditions apply. This is because in the Middle East there is no single fee, but fees vary according to economic conditions. Unions in Jordan and Palestine, for instance pay a reduced fee, while unions in Bahrain, United Arab Emirates and Kuwait pay a higher fee. Given the NFIJ response to our efforts there is a strong feeling that the problems between us are less to do with financial considerations. The IFJ has over the past two years opened itself up to new working arrangements with Israeli colleagues; we have sought to discuss openly differences over our work in the region (our public statements on actions of the Israeli military in Lebanon and Palestine, for instance, and the Gaza mission report); and we have issued invitations to our events (through communications sent to the NFIJ headquarters). We have also shown a willingness to support and participate in NFIJ activities and to support NFIJ members. We have also offered to organise events in Israel in support of improving standards in journalism. Regrettably, we believe that this good faith has not been reciprocated. The IFJ is therefore faced with no choice but to take this action in defence of its own integrity. Despite this we shall strive to support the efforts of Israeli journalists and the media workforce in Israel in confronting the challenges facing the media industry. There is a global crisis in which all journalists are facing similar problems and there has never been a more important moment to support the unity and solidarity of our profession. In these circumstances, the IFJ is mobilising its membership to defend the rights of unions and in so doing we shall do everything we can to ensure that the voice of Israeli journalists is heard in these debates. We shall continue to work with Israeli journalists and groups that share our objectives and our mandate. The IFJ hopes very much that the NFIJ will reconsider its position at an early stage and will seek to rejoin the IFJ. Yours Sincerely, AIDAN WHITE General Secretary  L’intervento di Lorenzo Del Boca (Odg) dal Foglio  24.07.09 Roma. Dopo quasi un’ora di discussione amichevole in tre lingue (italiano, ebraico e inglese), il presidente dell’Ordine dei giornalisti italiano, Lorenzo Del Boca, ha presentato ai suoi ospiti venuti da Israele la coppa dell’amicizia. “E’ una coppa particolare dove si aggiunge al cognac un po’ di caffè, e tutti bevono uno dopo l’altro dalla stessa coppa. C’è chi dice che così i partecipanti si passano i batteri, altri sostengono che l’alcol ha già ammazzato tutti i batteri, ma una cosa è certa. Bevendo così l’amicizia esiste”. E’ stato questo il messaggio che l’Ordine ha voluto lanciare ai colleghi provenienti da Tel Aviv e da Gerusalemme, invitati dopo che la Federazione internazionale dei giornalisti ha espulso i colleghi israeliani, celando dietro ragioni economiche varie forme di discriminazione. “Ho pensato che fosse utile incontrarsi subito e non rimandare l’incontro a settembre o Natale – ha detto Del Boca – Mi sembra che, se ci sono divergenze organizzative nella Federazione internazionale dei giornalisti (Fig), sia necessario affrontarle, non certo boicottare un paese come Israele. E quindi, anche simbolicamente, trovo importante il fatto che siate venuti a Roma per discuterne”. I cinque rappresentanti della Federazione israeliana sono rimasti a bocca aperta. “Non siamo abituati a trovare amici e sostegno fuori Israele. Siamo abituati a sentirci isolati, non nutriamo aspettative – ha spiegato Arik Bachar il, segretario generale dell’Israel Press Council – Apprezziamo molto questa amicizia. Colgo l’occasione per invitare il presidente Del Boca e l’Ordine italiano alla nostra conferenza annuale a Eylat, dove saranno presenti giornalisti da tutto il mondo”. Poi si è passati alla sostanza. Del Boca ha chiesto chi di loro rappresentasse Israele nel board della Fig e gli ospiti hanno spiegato che non c’è alcun rappresentante. “Al contrario di quel che sostiene Aidan White, segretario della Fig, secondo cui il motivo della nostra espulsione è economica, cioè non paghiamo le quote, è chiaro che il motivo vero è politico”, ha detto Haim Shibi della Federazione dei giornalisti israeliani. La questione delle quote era già stata risolta: il sindacato israeliano pagherà diecimila euro per le quote precedenti e 2.500 euro ogni anno, una cifra superiore a quella che pagano i paesi vicini in medio oriente. “Volevamo gli stessi diritti degli altri e un rappresentante nel board – ha continuato Shibi – Ma White aveva un piano diverso. Non ci hanno invitato agli incontri di Varna e Bruxelles e agli ultimi appuntamenti internazionali gli israeliani erano esclusi da ogni contatto con gli altri. Una vera discriminazione”. Yossi Bar Moha, direttore generale della sede della Federazione di Tel Aviv, ha detto: “Io sono un ebreo arabo e israeliano. Sono nato in Marocco. E’ nostro interesse far parte della Fig e collaborare con il mondo arabo. White è sempre stato indifferente alle nostre iniziative di dialogo con giornalisti nei paesi che non hanno rapporti con Israele”. Sembra che la comunicazione con White non sia un problema soltanto di Israele. “White è concentrato a raccogliere quote senza neppure prendere in considerazione la situazione dei giornalisti in ogni singolo paese”, ha detto Franco Po, responsabile dei rapporti internazionali con i giornalisti all’estero. Del Boca ha aggiunto: “Eravamo a Montevideo. White insisteva sul fatto che il sindacato locale dovesse pagare. Io gli ho detto che in Sud America ci sono paesi dove la gente non ha da mangiare. Dobbiamo noi garantire che i giornalisti continuino a lavorare e sostenerli, non pressarli con le quote. Io con lui difficilmente troverò un accordo. E’ meglio creare un’altra Federazione internazionale”, ha concluso. Gli israeliani felici hanno suggerito: “La base potrebbe essere proprio nel Mediterraneo”. Del Boca ha aggiunto: “Non sarà immediato ma dobbiamo lavorarci sopra”. Prossimo appuntamento a Eilat.       Lettera di ROBERTO NATALE, presidente Fnsi, ai firmatari dell’appello “Non in mio nome”   Care colleghe e cari colleghi, la decisione della Ifj puo’, comprensibilmente, essere suonata come discriminatoria a chi poco conosce  della vita degli organismi del sindacato internazionale. Allora vorrei cogliere l’occasione del vostro appello per aggiungere qualche elemento: nella speranza di dare ai problemi la loro dimensione reale, evitando di vedere il fantasma orribile dell’antisemitismo nell’azione di un sindacato internazionale che non merita davvero di essere sporcato da questi sospetti (e anche nell’azione di un dirigente del sindacato come Paolo Serventi Longhi: ridicolo, prima ancora che offensivo, immaginarlo nei panni del nemico degli ebrei). Proprio per far chiarezza, vi dico che le vostre domande sull’azione della Federazione Internazionale a difesa dei giornalisti in Iran, in Cecenia e in altre parti del mondo tradiscono una disinformazione che poco si concilia con il mestiere di giornalista. Basta una visita - anche fugace - al sito della Federazione Internazionale (www.ifj.org <http://www.ifj.org/> ) per rendersi conto che la denuncia di questi crimini e’ la sua missione principale. Nella home page campeggia il rapporto “Spezzare le catene”, a sostegno della libertà d’informazione nel mondo arabo e in Iran. E i giornalisti uccisi nelle  repubbliche ex-sovietiche sono così poco dimenticati dalla Ifj che proprio a Mosca si e’ tenuto il suo ultimo congresso mondiale, nel maggio 2007: aperto da una toccante cerimonia nella quale tutti i sindacalisti del mondo sfilarono in silenzio per deporre un fiore sotto le duecento fotografie di giornalisti e operatori dei media (la più grande era quella di Anna Politkovskaja) ammazzati negli ultimi quindici anni. Una strage sulla quale il sindacato internazionale ha messo in piedi una commissione di inchiesta per ottenere giustizia dalle autorità russe. Sulla sensibilità della Ifj a questi problemi, dunque, non e’ proprio il caso di fare insinuazioni: non è certo colpa della Federazione Internazionale se sui media italiani questa attività non riscuote alcuna attenzione. E proprio perché ne conosciamo la sensibilità, non abbiamo nessuna ragione di sospendere la partecipazione della Fnsi alla Ifj o addirittura di promuoverne una sorta di commissariamento, come proponete. Anche sulla specifica vicenda e delicatissima dell’esclusione del sindacato israeliano, la posizione della Ifj può essere certo contestata, ma merita almeno di essere conosciuta nella sua completezza. In anni recenti, provvedimenti di espulsione per il mancato pagamento delle quote hanno riguardato i sindacati di Cile, Macedonia, Moldavia, Serbia, Corea, Kenya e Thailandia. L’uscita di Israele, naturalmente, non può essere ridotta a burocratica lettura dei libri contabili. Consapevole della rilevanza della questione, la Ifj ha mandato due missioni nel paese negli ultimi tre anni, ha invitato il sindacato dei giornalisti israeliani a unirsi alla sezione europea della Federazione Internazionale, si e’ offerta di trovare sostegni per la conferenza dei colleghi israeliani alla fine di quest’anno, e i sindacati tedesco e inglese hanno proposto di cooperare. Un’attenzione della quale da’ testimonianza anche un recente intervento pubblico, nel quale la Federazione Internazionale “riafferma il suo impegno a difendere gli interessi dei giornalisti in Palestina e in Israele” dopo che la Federazione Nazionale dei Giornalisti Israeliani  aveva espresso le sue critiche alla missione a Gaza. Questi elementi bastano per dichiarare chiusa la vicenda? No, certamente no. E infatti la Fnsi sta agendo, come già sapete, perché il provvedimento di espulsione possa essere superato. Però questi elementi danno almeno la garanzia, a mio avviso, che la Federazione Internazionale non sia quel concentrato dei pregiudizi più ignobili che emerge da qualche articolo. C’e’ da continuare a parlarne, e per questo contiamo di avere in Italia a settembre il Segretario, Aidan White, o il Presidente, Jim Boumelha. Sarà anche l’occasione per un confronto aperto coi colleghi italiani che hanno contestato la decisione della Ifj. Questo l’impegno che prendiamo.  Un’ultima notazione: voglio sperare che questa polemica produca una maggiore attenzione dei giornali sui quali scrivete alla libertà di informazione nel mondo e anche alle iniziative che il sindacato (internazionale e italiano) mette in atto per sostenerla. Solitamente ci scontriamo con un muro di indifferenza. Se non è strumentale a piccole polemiche tra componenti sindacali (e certamente non lo è), l’interesse che si è acceso intorno a questi temi fa pensare che le cose potranno cambiare in meglio.  Roberto Natale Presidente FNSI Roma, 26 luglio 2009
       
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