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La classe operaia va a Lambrate


di Marina Cosi

Dieci agosto, stesso caldo, stesso eroismo operaio. Non è retorica, ma dovevate esserci a Milano in piazzale Loreto quando la sera del 10 agosto la cronaca ha fatto irruzione nella commemorazione della strage nazifascista del '44. Sul palco una decina di persone, fra labari dell'Anpi carichi (onusti, giusto?) di medaglie d'oro. Pizzinato interviene sul palco allestito in quello stesso piazzale Loreto dove vennero fucilati all'alba i 15 prigionieri politici e lasciati lì a marcire sotto il solleone per l'intera giornata. Una decimazione in ritorsione, si disse, di fatto invece un avvertimento nazista per mano repubblichina ai lavoratori che entravano a Milano proprio da nord, moltissimi da Sesto San Giovanni, al mattino. Operai che stavano dando vita a scioperi e proteste di entità mai viste in nessuno dei Paesi sotto il calcagno nazifascista. Andavano stroncati con la più macabra delle intimidazioni. Antonio Pizzinato, già segretario generale Cgil e senatore, è presidente dell'Anpi della Lombardia e ier sera raccontava fra l'altro come le istituzioni locali stiano facendo defluire l'acqua dalla vasca in cui vive la memoria delle nostre radici resistenziali . Già Sergio Fogagnolo aveva documentato come ormai vengano tagliati fondi e appoggi  a questi ricordi che ci si ostina a non voler "revisionare" . Sulla memoria un bel discorso l'ha tenuto anche Giorgio Oldrini, sindaco di Sesto, nostro collega - e questo è uno dei pochi orgogli d'una professione declinante -, nonchè figlio del mitico sindaco Oldrini della ricostruzione sestese. Anzi, Giorgio s'è spinto più in là: accanto al dovere e al diritto della memoria citato da altri relatori, lui ha rivendicato il diritto alla nostalgia, alla memoria cioè di un passato migliore, più generoso e dignitoso, perchè senza la nostalgia non si ha un parametro di riferimento per indignarsi del presente e ricostruire un futuro a quell'altezza. Un figlio, al mattino (c'è stata una prima cerimonia alle 10.30 per deporre le corone al cippo) ed un nipote, la sera, di fucilati, hanno testimoniato la continutà anche fisica del ricordo. Anzi prima che parlasse quest'ultimo, Massimo Castoldi (nipote di Principato, maestro elementare antifascista), che saliva per la prima volta sul palco prendendo il posto della madre morta lo scorso gennaio, che a sua volta aveva preso il testimone dalla nonna (stesso palco, stessa passione, anno dopo anni per 65 anni), era stata letta una lettera di condivisione di Umberto Veronesi. Perchè l'oncologo senatore Veronesi era stato alunno di quel maestro, aveva vissuto quella Milano e ne era stato segnato e forgiato alla democrazia. E  lì sotto il palco tanti ottuagenari tutti lì ben dritti in piedi, ad ascoltare per tre ore i discorsi e i canti.  Ma anche giovani che cantavano a cappella, molto bravi, le canzoni della Resistenza. Finchè ha fatto irruzione la cronaca , dimostrando più di tanti discorsi quale sia la continuità fra il 2009 ed il 1944  e chi ne sia l'alfiere . Un giovane operaio dell'Innse - la storica fabbrica che i suoi 50 operai stanno cercando di non far rottamare, anche salendo sul carro ponte e restandoci giorni e notti in questo caldo afoso d'agosto, perchè è moderna e avanzata e ricca di commesse (ma ostacola l'appetito di chi specula sul terreno) - ha  lanciato l'appello "Giù le mani dall'Innse" .  E ci ha raccontato come all'interno della fabbrica, che esiste dagli anni Venti, sia murata una lapide in memoria dei 12 operai Innse caduti nella lotta antifascista.  Torna la classe operaia e ci salverà? Senza illusioni vichiane di certo "quelli dell'Innse" sono la dimostrazione che esiste ancora l'orgoglio del lavoro ben fatto. Sono per noi una speranza, la speranza di continuità d'una Milano e d'un mondo che tutti ormai ci dicono sostituito da tette-culi-risse e giochi-premio. Non a caso a Lambrate è in corso quasi un pellegrinaggio: arrivano a frotte da tutta la Lombardia ma anche da altre Regioni delegazioni di lavoratori, ma anche cittadini solidali, famiglie coi bambini, gruppetti in bici, tutti lì a fornire il loro appoggio, ma in effetti a farsi appoggiare, a farsi nutrire di speranza che sì, ce la si può fare. In fondo fra piazzale Loreto e via Rubattino c'è poco più d'un chilometro.
       
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