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La solitudine nel lavoro ci impone un'altra strategia


Sintesi dell'intervento congressuale di Guido Besana junkie1Vorrei ringraziare tutti i colleghi che ho incontrato in questi anni in giro per l'Italia, fuori dal sindacato, ma dentro al lavoro, per tutto quello che mi hanno insegnato. Ringrazio Franco Siddi per la sua appassionata ricostruzione della storia di questi quattro anni. Nella sua relazione si legge chiaramente ciò che è nuovo e ciò che è vecchio, lo sottolinea lui stesso. Ma forse il campo è più vasto. Ciò che è nuovo è un mondo devastato non più solo dalla crisi, ma anche dalla politica e dalla legislazione, un mondo col quale dobbiamo trovare nuovi modi di relazione. Ciò che è vecchio rischia di essere la nostra cassetta degli attrezzi, sindacali e politici. Qui ci sono più di 500 colleghe e colleghi. Ma ognuno nell'ultimo mese, appena chiuse le urne o ieri sera, ha probabilmente capito di essere solo. C'è stata la chiusura di un'epoca, dice Franco, e probabilmente è vero. Non deve nascere un'ammucchiata, ha ragione Franco. Deve però nascere qualcosa che necessariamente sarà diverso. Prendiamo atto di una rottura, in fisica si direbbe una rottura della simmetria. Nel momento più grave della crisi le nostre convinzioni sugli strumenti utili a rimediare si sono dimostrate errate. Questa rottura ci impone, per nostra fortuna, la necessità di ricostruire pressoché da zero il ragionamento e il progetto sull'occupazione, la nostra definizione del settore, che non è più l'editoria tradizionale, il nostro sistema di welfare, che deve sorreggere una platea che è all'opposto di quella degli anni settanta e ottanta. Se questa categoria vuole mantenere aspetti di unità, in un mondo parcellizzato, dovrà pensare di più a chi è solo. Dovrà pensare di più a chi lavora per trovare lavoro, fatica per lavorare in maniera corretta e professionale, rimane senza lavoro. Oggi c'è bisogno di più solidarietà e di maggiore presenza sul territorio. Ho sostenuto e sostengo che la federazione deve tornare ad essere presente in Campania, il prima possibile. Interroghiamoci su cosa questa vicenda ci insegna sulla necessità inderogabile di andare verso i colleghi, in tutte le regioni, in tutte le redazioni, in tutte le stanze in cui una collega lavora da sola, un collega lavora da solo. Da casa, da una strada, da un angolo di un luogo pubblico. La sfida della sostenibilità dei conti degli enti economici non è nuova, ma può essere nuovo il punto di vista, anzi, forse deve essere nuovo. La qualità e la libertà dell'informazione non sono dei valori nuovi, ma nuovi sono i territori sui quali vanno affermati e difesi. Presto potrebbe cambiare il quadro normativo degli ammortizzatori sociali, un cambiamento preoccupante per come si prospetta nelle intenzioni del governo. La federazione dovrà prendere una posizione molto netta, ma sarebbe inutile se non cogliessimo l'occasione per ripensare al modo in cui li gestiamo e li usiamo. Diciamoci che il prepensionamento è uno strumento facile per risolvere le vertenze, ma che per sua natura è sbagliato. Il modello industriale dell'informazione è vecchio, ma quando arrivano le nuove piattaforme, i nuovi software, i nuovi terminali mobili, cioè ogni sei mesi, dobbiamo essere capaci di accoglierli come occasione di nuova occupazione, non come un fastidio estraneo alla professione. Un giornalista che twitta e basta sbaglia, ma un giornalista che twittando genera traffico altrove, e non a favore di chi poi dovrebbe pagarlo, sbaglia ancora di più. La candidatura di Raffaele Lorusso, per me, ha anche queste valenze. Anche perché ancora ieri mattina un collega mi diceva: voi giovani dovrete risolvere molti problemi. Per chi si chiede quanto sono giovane, alla mia età Lenin era morto da quattro giorni. Più giovani può essere uno slogan, come più donne o più freelance, ma senza giovani, donne, freelance questo non può essere il sindacato dei giornalisti
       
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