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Jobs Act: tanti dubbi per la categoria
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Venerdì scorso, 23 gennaio 2015, alla Camera del Lavoro s'è discusso di Jobs Act, con una particolare riflessione sui giornalisti. Relatori, l'avvocato Mario Fezzi, Guido Besana della segreteria uscente FNSI, Domenico Affinito del direttivo ALG e Graziano Gorla, segretario della Camera del Lavoro di Milano. Moderava Saverio Paffumi. La nuova legge, che dovrebbe entrare in vigore entro giugno, impatterà in maniera devastante sul mondo del lavoro come lo abbiamo conosciuto finora. I dubbi, soprattutto da sinistra, sono tanti e le critiche inevitabili. Mario Fezzi, con la sua consueta lucidità ne ha elencati alcuni: "Si vorrebbe richiamarsi all'avanzato sistema di tutele di marca scandinava, ma in questo decreto si sbatte fuori i lavoratori e basta". Secondo Fezzi quello che sta avvenendo è una mistificazione: "Si parla di nuovi contratti a tempo indeterminato che consentano di ampliare la platea di assunti con tutele crescenti, ma nella realtà quello che si prospetta non è un nuovo contratto ma il vecchio Tempo Intederminato senza l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori". Un altro esempio? "Il Nuovo sistema è basato sull'indennità risarcitoria (in caso di licenziamento non c'è il reintegro del lavoratore ma un risarcimento in realtà modesto, N.d.R.) salvo alcuni casi, come ad esempio, i licenziamenti discriminatori, che sono inesistenti. Dal 1970, anno di entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori, a oggi ci sono stati tre casi". Altro punto dolente, i licenziamenti disciplinari. Sempre Fezzi: "Se un lavoratore viene licenziato per un fatto di scarso valore, ruba una penna, fattispecie che potrebbe risolversi con una lettera di richiamo, il giudice non ha discrezionalità nel decidere la gravità della mancanza disciplinare. Quindi, nel caso della 'penna', deve confermare il licenziamento. Perché lo dice la legge". Sulla stessa linea di pensiero anche gli altri relatori. Graziano Gorla ha ricordato come da tempo la Cgil stia cercando di far capire al Governo che una cosa è applicare un modello di normativa astratto, un altro calarlo nel contesto socio culturale/economico di un Paese. Lo dimostrano studi di settore fatti dal sindacato. Insomma, non sono posizioni di "partito preso" contro Renzi e contro un modello (perfettibile) di interventi volto a far uscire l'Italia dalla stagnazione. Anche Guido Besana, dal canto suo, ha riaffermato, con riferimento all'impiego giornalistico, le sue perplessità. Il rischio è che si diano ulteriori strumenti a un mondo editoriale cinico di disfarsi di giornalisti troppo "costosi" per far ricorso, in modo ancor più sistemico di quanto succede oggi, allo sfruttamento di una platea di precari, disoccupati, inoccupati. Beppe Ceccato