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Compensi da fame e sanzioni taglialingue


di Oreste Pivetta 5449193-mano-euro-monete-denaro-monetaIn partenza per il congresso del nostro sindacato, mi lascio alle spalle tre/quattro giorni (uno dedicato alla formazione) di consiglio nazionale dell’Ordine, travagliato da votazioni, mal di pancia, litigi per i patti non rispettati (si trattava di eleggere niente di meno che la commissione amministrativa!), stati influenzali (che hanno colpito duramente anche il presidente Iacopino), ma pure “toccato” da alcuni momenti assai interessanti, ovvero istruttivi e inquietanti. Intanto, ad apertura e per merito dello stesso presidente, abbiamo appreso che la “casta” si nutre veramente di poco: secondo il contratto proposto (imposto, considerando i chiari di luna e le miserie del mercato) ai collaboratori di due quotidiani del gruppo Finegil Espresso, “La città di Salerno” e “Il centro di Pescara”, si può vivere con 4910 euro l’anno, tasse e spese comprese, scrivendo un articolo al giorno lungo almeno milleseicento battute (al di sotto delle mille e seicento battute secondo i manager dell’Espresso si lavora gratis, infatti), corredato ovviamente di foto e filmati. Cinquemila euro, una bella sommetta per gli stakanovisti della cronaca, che dovranno comunque guardarsi dall’eccedere nella loro attività, perché tutto ciò che redigeranno oltre il tetto dei duecento e ottantotto pezzi varrà in capo ai dodici mesi non più di un forfait fissato in centoventi euro (spese e tasse comprese). Attendiamo ovviamente smentite, ma la notizia non meraviglia: lo standard del nuovo giornalismo e della nuova editoria è questo. Il Consiglio nazionale, preso atto delle ricche offerte presentate ad alcuni (molti ormai, con il lavoro autonomo in costante ascesa) dei suoi iscritti ha allora votato all’unanimità un documento in cui si denuncia tanto liberismo al ribasso, scrivendo tra l’altro: “No allo sfruttamento dei giornalisti e a contratti-ricatto per i collaboratori. La libera informazione passa anche per il rispetto della dignità dei giornalisti e del loro giusto compenso. In questo inizio di 2015 si moltiplicano le notizie su contratti vergognosi proposti a collaboratori pena il mancato rinnovo. Riduzioni del compenso e pezzi pagati pochi euro. Eludendo anche la legge sull’Equo compenso con clausole che non prevedono, ad esempio, il pagamento di video e foto, dirette web, oppure dando compensi irrisori per articoli che superano il minimo concordato. Con la beffa che chi più lavora meno viene pagato e meno diritti ha”. Alla conclusione dello stesso consiglio nazionale, per merito questa volta del collega Pierluigi Franz, che ha sollevato prepotentemente il problema, si è discusso anche a proposito di diffamazione a mezzo stampa e di quanto sta maturando nel dibattito parlamentare. Anche in questo caso gli interventi appassionati non sono mancati. Non sono mancati neppure i racconti di quei casi (penosi, indubbiamente) di colleghi free lance condannati a pagare cifre ingenti di risarcimento, abbandonati dai rispettivi editori, direttori, capiredattori, costretti a far ricorso alla sensibilità dei colleghi in improvvisate collette. Tanto clamore e tanto sdegno, più che giustificati, si sono risolti in un documento approvato all’unanimità contro la previsione di sanzioni pecuniarie troppo elevate, che costituirebbero un deterrente per l'esercizio della libera informazione (tanto più se si tiene conto che la Cedu, Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, di Strasburgo con ripetute sentenze ha stabilito che le sanzioni devono essere proporzionate alla capacità economica del giornalista querelato). Cito ancora (e mi sembra utile citare): “… La previsione di norme rigide per la rettifica da pubblicarsi in tempi stretti e senza possibilità di replica o precisazione, rischia di lasciare l'ultima parola al presunto diffamato, che avrebbe modo di manipolare a proprio vantaggio l'informazione. In relazione alla rettifica, si ritiene necessario che il richiederla sia condizione indispensabile a qualsiasi azione giudiziaria nei confronti dei giornalisti. In merito ai termini prescrizionali per l'azione civile relativa al risarcimento del danno alla reputazione, si chiede che siano ridotti ad un anno dalla pubblicazione, tempo più che sufficiente per ottenere la riparazione della propria reputazione. Per l'informazione via web, le indicazioni finora emerse in sede parlamentare risultano confuse e penalizzanti, e di difficile praticabilità sia per la rettifica sia per il diritto all'oblio, e soprattutto per il rischio di moltiplicazione delle sedi giudiziarie. Infine, la previsione per le querele temerarie appare timida e insufficiente”. Stiamo assistendo, come denuncia l’Ordine da tempo, ad un attacco a quel diritto sancito dalla Costituzione, a “manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola,lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Vale per chi fa informazione, vale per chi dovrebbe rivendicare una informazione libera per capire quanto succede nel mondo e nel paese e di conseguenza comportarsi. Documento esemplare, approvato il quale si sarebbe dovuto scendere tutti in piazza, davanti a Montecitorio, per protestare. Peccato che ormai da ogni comunicato e da ogni documento, come questi, sia scomparsa la parola “lotta”, cancellata come fosse il retaggio di chissà quale nefasta ideologia. Eppure se si leggono le notizie che riguardano lo stato del sistema dell’informazione in Italia o se si leggono questi due soli documenti votati all’unanimità, un giorno dopo l’altro, dal Consiglio nazionale dell’Ordine, pseudo contratti da tagliagole e leggi taglialingue, si dovrebbe aver chiaro che più che sull’orlo del baratro, come si recita abitualmente, siamo dentro il baratro e che occorrerebbe rimboccarsi le maniche. Possiamo immaginare quanta voglia e quanta possibilità abbia un giornalista a cinquemila euro all’anno, sottoposto ad un contratto che la controparte editoriale può fermare quando vuole, quanta voglia e quanta possibilità abbia di condurre un’inchiesta, di denunciare un caso di corruzione, di svelare l’interramento di rifiuti tossici, di documentare un palese conflitto di interessi o, semplicemente, di esercitare il diritto alla critica… (ricordo d’esser stato querelato per aver definito “berlusconiano” un personaggio televisivo). Possiamo immaginare il destino del giornalismo italiano, diviso tra una ristretta schiera di grafici-impaginatori-titolisti e a una miriade di collaboratori in ostaggio, con divieto di accesso a qualsiasi ufficio redazionale, esposti a qualsiasi imposizione e a qualsiasi ricatto (salvo una ristrettissima altolocata aristocrazia del commento), in balia di questa o quella “proprietà”, persino di un inserzionista pubblicitario. Altro che censura ! Siamo all’ingabbiamento, all’oscuramento, all’asservimento, silenziosamente imposti (con l’aiuto di un uso distorto delle nuove tecnologie), ovviamente con qualche complicità “corporativa” dettata da una cultura politica o da un senso della dignità personale e della responsabilità professionale non proprio vivi (in altre stagioni le reazioni ci furono: penso ai tempi della strage di piazza Fontana e all’impegno di tanti coraggiosi colleghi). Vorrei concludere: forse è il momento di tornare a “lottare” e di tornare a “lottare” considerando la realtà del lavoro (che non è certo quella esemplificata dal Corriere della Sera o dalla Rai: non sono solo loro a distribuire notizie e intrattenimento), ricostruendo unità nella categoria (e tra i suoi organismi rappresentativi, Ordine e sindacato), cercando alleanze con gli altri sindacati (magari immaginando forme di rappresentanza nuove: ha senso ancora un sindacato dei giornalisti, quando i giornalisti sono ormai cineoperatori, montatori, eccetera eccetera?), soprattutto riavvicinando quei lettori, malamente indottrinati dalla favola della “casta”. E’ una questione di democrazia. Ma è in grado di affrontarla il sindacato che ci lasciamo alle spalle? Autoreferenziale, lontano da una base vera disillusa, ancorato ad una immagine e ad una sostanza da anni sessanta settanta del sistema informativo, assorbito da mediocri giochi di potere?
       
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