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Il sangue dei colleghi


di Andrea Leone

“C’era tanta gente, soprattutto giovani” recitavano una volta le cronache di maniera. Parafrasando, mercoledì mattina 9 settembre a Forte Bravetta, a Roma, c’era tanta gente, ma il più giovane era forse il sindaco Gianni Alemanno, a celebrare l’apertura del parco dei Martiri. Sulle pendici di quello che è stato uno dei luoghi più tragici del periodo di dominazione nazifascita a Roma è stata restaurata la lapide intitolata a 77 partigiani fucilati proprio lì, dove ora si apre uno spazio verde di proprietà di tutti i cittadini, ma dedicato per sempre a quei morti. Che a farlo sia un sindaco certamente non figlio della cultura della Resistenza è un segno dei tempi. Ma a controbilanciare c’era qualcuno che quel periodo lo ha vissuto, uno dei pochi superstiti, Massimo Rendina, presidente dell’Anpi di Roma e giornalista. Sì, giornalista, perché tra i martiri di Forte Bravetta c’erano anche due giornalisti milanesi, partigiani come uomini e testimoni del loro tempo come giornalisti. Non possiamo dimenticare questo ruolo che ci assegna la professione che abbiamo scelto. Proprio ora che i testimoni diretti di quel tempo stanno lentamente scomparendo, e Rendina è uno degli ultimi, dobbiamo recuperare come categoria il senso di questa testimonianza. Qualcosa si è fatto. Già per iniziativa del Comune di Conselice e dell’Fnsi è sorto in questo paese in provincia di Ravenna un monumento alla libertà di stampa che ricorda una tipografia clandestina dell’Unità e i suoi martiri : il primo ottobre si ripeterà l'alzabandiera. Ma perché non si confonda la memoria, come è facile succeda (vedi il ruolo di Alemanno a Forte Bravetta) dobbiamo tutti assumere un ruolo diretto. A Milano per esempio un folto gruppo di colleghi si è iscritto all’Anpi, con la volontà di fungere da testimoni, anche indiretti, di un’epoca e di una storia che non dobbiamo nè possiamo dimenticare.
       
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