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Il giornalismo cieco del pre-terremoto


Di Oreste Pivetta

Il caso Santoro-Vauro (o il caso Garimberti-Masi) è clamoroso e potrà riservarci conseguenze ben peggiori dell'editto bulgaro. Ma davvero, nel bene e nel male, io credo si sia all'epifenomeno, cioè alla famosa punta dell'iceberg che galleggia nella palude ormai della informazione in Italia. Per non perdere di vista il tema (quello di Santoro, cioè) dirò del terremoto, dei sentimenti che mi hanno suscitato le ore televisive e le migliaia di righe stampate. Siamo all'anno zero, pensando al presente, ma anche riflettendo al passato. Perchè il terremoto ha una storia, il famoso ospedale costruito in decenni in zona notoriamente sismica e che è crollato in un amen appartiene alla storia, una storia che nessuno, grande o piccolo quotidiano, superpotenza dell'informazione o rotocalco d'inchiesta, si è mai sognato di indagare. Niente su niente. Il problema non sono gli allarmi non raccolti di questo o quel sismologo.  Il problema vero è l'assenza di scrupolo (giornalistico), di attenzione, di curiosità, di indipendenza, diciamo pure di inchiesta, di indagine autentica, assenza che è di tutti ma di cui sono ovviamente colpevoli quanti (penso alle grandi testate), volendo avrebbero la forza per indagare. Eppure non ne sentono il dovere.  Il giornalismo italiano s'è lasciato alla spalle cultura, senso della storia, senso civico, persino rispetto delle proprie esperienze. Ha perso la ragion d'essere. Adesso piangiamo. Nel senso che non riusciamo a far altro che leggere alati (in senso davvero letterario, perchè alla fine è sempre lì che puntiamo, alla letteratura) resoconti di giornate trascorsi in tenda tra brandine e fornelli di questa o quella famiglia, di affannate ricerche nelle discariche dei ricordi, di spaghettate davanti alla tv perchè comunque c'è sempre il campionato di calcio. Sembra che ogni immaginetta sia il perfetto corollario alle lacrime in pullover del premier, autentico eroe-arbitro della partita. Dov'eravamo? Mi viene la domanda. Dov'erano i politici mentre si costruiva con la sabbia, dov'erano gli amministratori, dov'erano gli ingegneri (ma basta un geometra per costruire in sicurezza). Dov'erano, per quanto ci riguarda, i giornalisti, i fotografi, i microfoni della tv? Io credo che davvero il terremoto dell'Abruzzo sia la firma tragica a un fallimento (l'ultimo sussulto è la scoperta del rischio infiltrazioni della camorra e hanno dovuto assoldare, a che prezzo?, pure Saviano), dopo tanti terremoti e maremoti che avrebbero dovuto insegnarci qualcosa. Abbiamo avuto l'opportunità di sapere tutto. Io i nomi li so. Io conosco i nomi degli autori delle stragi. Mi viene per forza di ricordare Pasolini. Ma come è possibile che tutti i giornalisti, inviati e capiredattori, intellettuali scrittori poeti, che compaiono nei nostri giornali e telegiornali, non abbiano visto nulla? Come è possibile che la prima e la seconda e la terza testata del grande giornalismo italiano non sapessero nulla?. Siamo all'anno zero (lasciamo stare Santoro e Vauro), all'annichilimento, che qualche strepito isolato di qualche giorno lascerà presto lì, consegnato al suo vuoto. Ma la colpa è anche nostra, di una categoria, di una professione. Altro che spalle dritte.
       
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