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I giornalisti e il potere
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di Andrea Leone Ho letto con ritardo un'autodifesa di Marco Travaglio dall'accusa post elettorale di essere strutturalmente dalla parte del perdente. Di principio, nulla da eccepire. Ma una frase mi ha alla fine indignato:" un giornalista o sta all'opposizione di chiunque sia al potere, oppure semplicemente non è un giornalista, è qualcos'altro". Eh no, caro Marco! Dopo un anno di approcci alla deontologia come consigliere nazionale dell'Ordine mi sento di doverti contraddire. Il giornalista non deve essere comunque CONTRO e neppure CON il potere, qualunque esso sia, economico, politico, giudiziario, religioso o variamente massone: semplicemente deve essere ALTRO dal potere! Essere contro a prescindere è sbagliato come lo è essere acquiescente. Significa infatti sposare una tesi solo perché è quella di opposizione. Lo snobismo di essere comunque minoranza, comunque opposizione è pericoloso quanto essere allineati col più forte. Non a caso Travaglio parla di ebbrezza di avere ragione in minoranza. A più riprese l'autorevole vicedirettore del Fatto si è vantato di aver fatto sua la lezione di Montanelli, uomo controcorrente per definizione, ma ha dimenticato quella di un altro maestro, meno conosciuto dal grande pubblico ma almeno altrettanto fondamentale, Lamberto Sechi, padre dell'assunto "i fatti separati dalle opinioni". É più che legittimo avere opinioni, soprattutto contro, e diffonderle, ma ormai troppo spesso vediamo i fatti annegati e travisati dalle opinioni. Tutti noi dovremmo essere i cani da guardia nei confronti del potere, ma anche essendo contro o di minoranza ci si trasforma troppo spesso in can de leca (mi raccomando, con la e molto aperta, alla milanese). E forse è per questo che siamo sempre meno credibili. Lo stesso Montanelli, d'altronde, ebbe a dire in una pubblica lezione: "vivendo in un bordello, ho deciso di stare dalla parte della tenutaria". Invece io amerei non stare nè dalla parte della tenutaria nè del cliente.