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Fnsi a fianco dei fotoreporter


Per i fotogiornalisti è emergenza. La loro situazione è sotto la lente della Fnsi,   Almeno tremila quelli nella morsa della precarietà. Manifestazioni a Milano per far conoscere il degrado della situazione e i rischi per l'opinione pubblica.    L' "emergenza fotogiornalisti" è ormai al centro dell'attenzione sindacale. Se ne sta occupando la Giunta Fnsi: la conferma viene da Franco Siddi, segretario generale della Federazione della stampa, che ha così confermato quanto era stato prospettato dal segretario generale aggiunto, Giovanni Rossi. Ma del problema se ne occuopano anche le associazioni regionali. Oggi pomeriggio (ore 15), a Milano,  in via Montesanto 7, nella sede dell'Associazione lombarda giornalisti,  si parlerà di crisi del settore, agenzie fotografiche, fotocronisti e di cosa può fare nel concreto la Federazione nazionale della stampa. Sarà presente Guido Besana, membro della segreteria nazionale Fnsi, responsabile nella Giunta che governa il Sindacato del dipartimento "mercato del lavoro e politiche occupazionali" e in più presidente della commissione che nell'Istituto di previdenza dei giornalisti italiani ( Inpgi) che dirige gli ispettori del lavoro E' un primo passo concreto del sindacato dei giornalisti in appoggio aifotocronisti che in questi giorni si sono mobilitati in tutta Italia per denunciare lo stato di totale crisi che stanno vivendo a causa di compensi che non permettono loro vivere. L'incontro è aperto a tutti ed è stato organizzato in collaborazione tra i responsabili della Fnsi, l'Associazione lombarda dei giornalisti e i fotoreporter del Gsgiv Alg.  Nel corso dell'incontro si discuterà anche di altre possibili iniziative e di progetti che potrebbero essere attuati per contribuire a dare sostegno ai fotogiornalisti dei vari settori della categoria in questo momento di profonda crisi generale della professione. Quanto alle iniziative del sindacato nazionale  Siddi ha preannunciato che sulla grave crisi del fotogiornalismo verrà chiesto un confronto con la Federazione degli editori. La situazione del settore è da anni in crisi totale. In Italia non esistono più fotogiornalisti assunti nelle redazioni di quotidiani e periodici, i giornali hanno ridotto ai minimi termini gli incarichi ai fotoreporter freelance e i compensi hanno subito tagli  tali che è sempre più diffusa la convinzione che il lavoro di fotogiornalista non sia più possibile per chi intende esercitarlo come professione esclusiva e, nei fatti, stia ijvece diventando sempre più un'attività destinata solo a chi si procura da vivere con altro. In sostanza, una professione destinata a finire morta e sepolta. Questa drammatica situazione di crisi colpisce circa tremila fotoreporter che nel settore vi lavorano in modo esclusivo o, comunque, prevalente.  La decisione dei vertici del Sindacato di cominciare ad affrontare la drammatica crisi di questo settore del giornalismo, non arriva a caso. Ultimamente, campanelli d'allarme, segnalazioni, denunce e proteste si sono accavallate a raffica, lanciate e rilanciate, dentro e fuori gli organismi istituzionali del giornalismo, da organismi sindacali regionali e da fotoreporter, singoli o aggregati, che vivono l'emergenza direttamente sulla propria pelle. Negli ultimi mesi infatti, nel panorama generale sempre più disastrato del fotogiornalismo, la crisi è andata acuendosi anche nel settore della cronaca locale che, bene o male, aveva lasciato ancora margini a possibilità di un minimo di reddito per i suoi addetti perché così mirato e circoscritto da essere considerato assolutamente antieconomico da seguire da parte dei grandi network fotogiornalistici che dominano il  mercato con le loro offerte ai giornali di "copertura visiva" dei principali avvenimenti, nazionali ed esteri, attraverso "abbonamenti di fornitura" a costi molto contenuti.    Anche nel settore della cronaca locale però da alcuni anni ha preso sempre più il sopravvento la formula dell'appalto della produzione dell'informazione visiva a strutture esterne alle redazioni e senza alcuna veste giuridica di natura giornalistica, le cosiddette "agenzie fotografiche", ingaggiate, anziché dai direttori dei giornali, quasi sempre direttamente da manager del settore amministrativo delle testate. Quasi come se questo genere portante dell'informazione non facesse più parte del giornalismo.  Una realtà che ha poi costretto, via via nel tempo, moltissimi fotogiornalisti che collaboravano direttamente con le redazioni a dover rinunciare alla propria indipendenza e porre sul mercato il proprio lavoro intermediati da queste agenzie e , di conseguenza, in piena balia di politiche produttive e tariffarie, basate su prezzi sempre più stracciati, attuate dai proprietari di questi "fotoservice" per battere la propria concorrenza .     Si è così arrivati ad una situazione nella quale anche per i fotogiornalisti di questo settore è diventato ormai quasi sempre impossibile vivere del proprio lavoro. Questo anche quando frequenze di "pubblicato" e ritmi d'attività sono molto intensi. I compensi sono infatti scesi verticalmente e oggi le tariffe pagate sono persino inferiori a quelle di trent'anni fa: quaranta euro massimo, per esempio, per una foto utilizzata dai quotidiani più diffusi e prestigiosi.  Tutto questo senza dimenticare che, quando queste tariffe arrivano poi nelle tasche dei fotoreporter, sono più o meno dimezzate dalla percentuale trattenuta dalle agenzie come compenso per il proprio ruolo di intermediazione.  In sostanza, la categoria è alla  fame. I tagli più drastici ai compensi sono arrivati da editori e fotoagenzie durante l'anno scorso con ribassi medi tra il venti e il trenta per cento. Gli effetti però si sono fatti sentire in concreto sulla categoria solo in questi ultimi mesi quando i fotoreporter del settore hanno cominciato a ricevere "rendiconti" basati sulle nuove "tariffe tagliate" e pagamenti, di conseguenza, spesso più che dimezzati. E' perciò dall'inizio di quest'anno che il malcontento nel settore si è fatto più crescente, prima con segnalazioni, poi con denunce e ora con aperte proteste. Il primo caso che nel 2010  ha imposto il problema, in tutta la sua emergenza, ai vertici del Sindacato è stato quello del Gazzettino di Venezia dove alcuni fotoreporter si sono trovati da un giorno all'altro disoccupati perché l'agenzia per la quale lavoravano non è più riuscita ad aggiudicarsi l'appalto della copertura di alcuni settori delle cronache locali del giornale. Il caso è rimbalzato prepotentemente all'attenzione dei vertici sindacali anche perché l'editore veneto, dopo il turnover di agenzie appaltanti, aveva fatto partire un provvedimento disciplinare nei confronti di una sua redattrice che, in un documento diramato ai colleghi, si era schierata dalla parte dei fotoreporter rimasti senza lavoro.  Un episodio reso ancora più eclatante negli ambienti sindacali per il fatto che la giornalista coinvolta è Monica Andolfatto, vicesegretaria del Sindacato veneto e pure tra gli amministratori che governano l'Inpgi. L'attenzione della categoria si è così puntata anche sulla realtà all'origine della presa di posizione della redattrice, portando pienamente sotto i riflettori il fenomeno della cronaca visiva data in appalto e tutti i dubbi che questo stato di fatto impone in materia di natura e correttezza dei rapporti di lavoro tra fotocronisti e agenzie fotografiche e di legittimità sulla stessa esistenza di strutture non giornalistiche che quotidianamente producono informazione destinata ai lettori. Oltre a questo, altri dubbi e interrogativi si sono poi imposti in parallelo pure sulla correttezza , o meno, rispetto alle norme del Cnlg e della legge professionale, del fatto che appalti, patti e contratti tra agenzie fotografiche ed editori, avvengano quasi sempre tagliando fuori i direttori responsabili dei giornali e limitando così il loro diritto, e quello dei loro redattori, ad operare le proprie scelte nella pienezza di quell'autonomia e di quella indipendenza da qualsiasi forma di condizionamento che stanno alla base della libertà professionale e dei principi etici imposti per legge ai giornalisti. I giornali locali pagano le foto anche solo un euro più Iva.  Il quotidiano nazionale che paga meglio riconosce 38 euro a scatto. " Le nostre richieste sono due, hanno spiegato in più occasioni i fotoreporter;  la prima di fare controlli sul lavoro di agenzie specializzate che senza fotografi in nero e sfruttati non potrebbero accettare simili prezzi, l'altra di premiare il merito, cioè pagarci le foto in base all'importanza che assumono sul giornale e secondo la tiratura dei mezzi di informazione".   In un documento inviato la scorsa settimana a Sindacato e Ordine dei giornalisti, i fotoreporter avevano chiesto formalmente l'avvio di "una  severa verifica sulla legittimità della natura dei rapporti di lavoro che legano i fotoreporter alle agenzie fotografiche e le stesse agenzie agli editori".
       
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