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Analisi del jobs act, un'occasione mancata


di Stefano Ferri jobsactHo partecipato al convegno “Jobs act, passi avanti o passi indietro” del 23 gennaio scorso presso la Camera del Lavoro di Milano e debbo confessare di essermene tornato a casa con l’amaro in bocca. Speravo - forse ingenuamente - di poter in quella sede capire qualcosa di più sui provvedimenti in via di formazione a Roma, invece tutti gli interventi hanno trattato soprattutto dell’abrogazione dell’art.18, disegnando scenari apocalittici di “padroni” spietati che non vedono l’ora di licenziare sostenuti da un governo complice, e di cassa integrazione. Temi che da settimane sono ripresi e rilanciati su tutti i media, come se fossero gli unici problemi che riguardano il mondo del lavoro, di cui sappiamo abbondantemente. Ma il mondo del lavoro non è più solo questo e mi stupisce sempre che chi si occupa di sindacato non se ne accorga. Il sottoscritto, 52enne, per esempio, non ha mai usufruito né dell’art. 18 né della cassa integrazione, pur avendo cambiato datore di lavoro/clienti decine di volte, con periodi anche lunghi di sostanziale inattività. Come me ci sono milioni di lavoratori e migliaia di giornalisti. Senza contare il problema della disoccupazione giovanile. Lavoro attualmente, tra le altre cose, in una piccola redazione e mi piange il cuore letteralmente vedere molti giovani, laureati e in gamba, costretti a un precariato con pochissime speranze di soluzione, se la situazione rimane questa e se chi si dovrebbe occupare per ruolo di lavoratori, si concentra esclusivamente sull’art. 18 e lo usa come metro unico per valutare una riforma. Per me sarebbe stato interessante capire come funziona il cuneo fiscale proposto dal governo Renzi. È vero, per esempio, che un neoassunto a tempo indeterminato con 24mila euro lorde con la nuova normativa ha 180 euro nette al mese in più in busta paga e l’azienda che l’assume paga 650 euro di tasse in meno al mese per quel lavoratore? Se così fosse perché questo provvedimento è meno importante dell’abrogazione parziale dell’articolo 18? L’argomento è stato liquidato dai relatori con la frase «non creerà lavoro, servirà a far assumere i cassintegrati e i precari», dimenticando che già questo obiettivo, se fosse centrato, sarebbe un grande successo per lo Stato e per i lavoratori. Altro tema. La volontà del governo di introdurre tutele universali – aspi e mini aspi – a tutti i lavoratori del privato che perdono lavoro. Questa novità è stato trattata dai relatori come un arretramento dei diritti dei lavoratori, equiparandolo a un furto delle pensioni dei lavoratori o un’elemosina. Su questo provvedimento il governo ha messo quasi 2 miliardi. Che le risorse siano poche o tante non sono in grado dirlo, mentre il fatto che sia legato alla durata al periodo contributivo è probabilmente una limitazione. Detto questo però, estende i diritti a chi prima non li aveva e questo, per me freelance/precario è una cosa sulla quale mi sarebbe piaciuto discutere e non ascoltare giudizi sprezzanti. Anche altri temi sono stati liquidati con pochissime parole. Domenico Affinito del direttivo dell’Alg ha citato come buoni provvedimenti, nel sostanziale gelo degli altri relatori, l’introduzione del diritto alla maternità esteso a tutti i lavoratori e alla possibilità di ingresso rappresentanze sindacali nei cda delle aziende. Nessuno però ha detto come funzioneranno o, se ancora non definiti, come sarebbe bene funzionassero. Insomma la mia sensazione è stata che l’incontro del 23 sia stata un’occasione persa, sacrificata sull’altare di una propaganda politica, ricalcante gli schemi nazionali. La speranza ora è che al congresso della FNSI non incorra negli stessi errori e che almeno una parte del confronto discuta dei lavoratori precari e atipici e che prenda provvedimenti seri e vincolanti, per introdurre miglioramenti delle condizioni di lavoro.
       
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