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Scomparsi ma indimenticabili, Cono e Pertegato


Due caratteri diversi, due vite intense, una morte quasi in comune. Conoscente e Pertegato. Per loro, a due mesi dalla scomparsa, i ricordi di Antonio Ferrari e Massimo Nava. Ne fanno una cronaca affettuosa, ma lucida oltre che senza sconti per chi li ha diffamati sino all'ultimo. Questi epitaffi-gemelli in verità sono stati scritti per "Centro Sociale Corriere della Sera" e usciranno, assieme, sul prossimo numero della rivista diretta da Sandro Filippini. Ringraziamo i colleghi per averci consentito di anticiparli su Nuova Informazione. di Massimo Nava A un elogio funebre Salvatore Conoscente si sarebbe ribellato, facendo gli scongiuri e cavando fuori una delle sue battute piene di autoironia. Già perchè il "Cono"', come lo chiamavano tutti, l'ironia l'aveva dentro e la usava a piene dosi, anche in circostanze drammatiche. Era fatto così e non aveva mai cambiato atteggiamento, sia quando si era impegnato nella lotta partigiana, sia nella lunga carriera giornalistica. Ed è così che l'ho conosciuto e mi piace ricordarlo, negli anni della cronaca del Corriere. Mi fece chiamare, mi presentó al direttore dell'epoca, Piero Ottone. "Non ti preoccupare, basta che non abbassi gli occhi e gli piacerai!, mi disse sottovoce, accompagnandomi nello studio che era stato di Albertini. E intanto si fregó un biscottino, dal vassoio che Ottone teneva sul tavolino, accanto alla teiera. Ero giovanissimo e intimidito, ma lui mi mise subito sotto e seppe infondermi coraggio, come faceva con tutti i giovani colleghi della cronaca. "Al lavoro! delinquenti!!" esclamava quasi ogni giorno, entrando a passi rapidi e lunghi nel grande salone del piano terra. Era un finto burbero, tutti sorridevano, ma al tempo stesso ne percepivano il carisma, il fiuto da cronista di razza, le capacità di comando senza bisogno di ricorrere all'autorità o alle regole della gerarchia. Il "Cono" non aveva grande cultura, non aveva frequentato l'università e nemmeno le scuole di giornalismo. Non aveva una bella scrittura e persino la calligrafia non era granchè, ma aveva il giornalismo nel sangue. Sapeva ascoltare il pubblico, intuire il bisogno del momento, la notizia del giorno e su questa imbastire l'apertura della cronaca di Milano. Come un cronista di razza, volentieri usava come si dice la suola delle scarpe. Per questo era davvero un maestro. Gli bastava girare un po' a piedi, prendere un autobus, andare in un mercato per captare gli argomenti e i fatti di cui parlava la gente e di cui il Corriere avrebbe dovuto occuparsi. Il "Cono" si sa era comunista. Lo era per militanza partigiana e poi giornalistica. Ma contrariamente a quanto molti pensavano di lui e della sua cronaca, viveva questa sua formazione con una forma complessa di orgoglio e imbarazzo. Le convinzioni politiche lo spingevano infatti ad una attenta e sensibile valutazione della realtà, quindi alla denuncia coraggiosa. Ma il timore di non essere obiettivo, non abbastanza "da Corriere", gli insinuavano un dubbio, la prudenza, la ricerca puntigiosa di più voci e versioni dei fatti. Giancarlo Pertegato era di un'altra pasta. Lui, a un elogio funebre, avrebbe reagito con sospetto, quasi che anche un epitaffio potessere far parte di un complotto per eliminarlo. Certo, anche il Pertegato sapeva ridere. Come avrebbe potuto collaborare per tanti anni con il Cono, del quale era formalmente il vice, oltre che compagno di militanza politica ? Ma il Pertegato era costantemente attento al contesto sociale, al quadro complessivo di avvenimenti in quegli anni drammatici : la contestazione studentesca, la crisi sociale, le lotte operaie, l'estremismo giovanile, il terrorismo. Da comunista, era uno dei più decisi a non cadere nella trappola intellettuale dei "compagni che sbagliano". L'analisi era semplice e rigorosa. Pertegato - che per anni avrebbe poi seguito le vicende del terrorismo italiano come inviato speciale - era assolutamente convinto che il terrorismo di sinistra avrebbe recato danni incommensurabili alla classe operaia, al partito comunista e alla democrazia italiana. Per questo l'episodio che segnó la carriera di entrambi e che puntualmente è stato ricordato nei giorni della loro scomparsa non avrebbe dovuto prestarsi, come ancora è avvenuto, a ignobili speculazioni. Conoscente e Pertegato vennero rimossi dall'incarico per non avere pubblicato una fotografia destinata a diventare l'immagine del terrorismo italiano : il ritratto del giovane che spara ad altezza d'uomo durante la manifestazione di via De Amicis, in cui rimase ucciso un agente di polizia. Era la notizia del punto di non ritorno, di un salto di qualità dell'estremismo studentesco, il segnale inequivocabile della discesa all'inferno di un'intera generazione. Per questo, la mancata pubblicazione fu un errore grave. Professionalmente, fra le tante fotografie che venivano portate in redazione in quelle ore drammatiche, quella non sarebbe dovuto sfuggire. Ma come andarono davvero le cose? Personalmente ero troppo giovane e fuori dalla stanza di comando per essere un testimone attendibile. Al pomeriggio ero stato in via de Amicis e tornato al giornale mi ero messo a scrivere la cronaca degli avvenimenti. Non mi occupai delle fotografie e non era questo il mio compito. Successivamente circolarono varie versioni che sarebbe noioso e inutile riportare oggi. La direzione del Corriere li ritenne direttamente responsabili e di fronte all'infortunio professionale, non ebbe altra scelta. Nemici e avversari di ogni risma sostennero la tesi dell'intenzionalità e della malafede, con un semplicismo disarmante : essendo comunisti, i due responsabili della cronaca del Corriere avrebbe oscurato la deriva omicida del terrorismo di sinistra. Io, a tanti anni di distanza, resto convinto della buona fede. Non soltanto per quanto raccontato da loro stessi, ma soprattutto per il modo onesto e dignitoso con cui accettarono le decisioni della direzione. Avevano sbagliato e pagarono il conto. Il Cono si ritagliò uno spazio all'ufficio centrale, cambiò con qualche rimpianto orari e abitudini, ma conservò intatti il suo carattere e la sua vena ironica. Un altro, al suo posto, sarebbe rimasto schiacciato da una polemica così rilevante e velenosa. Lui, sotto sotto, ci fece una risatina. Pertegato trovò invece nuove energie per una vita professionale che non era mai stato la sua. Da uomo di macchina e di scrivania, si scoprì con la valigia sempre pronta, le sveglie all'alba, le partenze improvvise. Una vita difficile, non essendo più giovane e, fondamentalmente, un uomo calmo, riflessivo, più adatto all'analisi e alla ricerca che alla cronaca veloce e affannosa. Ma lui raccolse la sfida, con spirito militante, con la ferma convinzione di impegnarsi in una battaglia civile più che in una svolta della propria carriera. Il Cono e il Pertegato erano troppo diversi per essere anche amici fuori dal giornale. Il Cono amava lo sci e il tennis, le serate con gli amici. Il Pertegato era schivo e riservato, a tratti poteva apparire freddo e distante. Ma erano intimamente legati dalla lunga esperienza così brutalmente interrotta. Quando il Cono se ne è andato per sempre, il Pertegato non ha sopportato che la memoria del capocronista degli anni di piombo venisse offuscata ancora una volta. Mi mandò una mail, dicendomi che non era giusto, che bisognava reagire. Scrisse al Corriere e poi si spense, poche ore dopo, lasciando il computer accesso, come per prolungare la sua battaglia. Il Cono, credo, ci avrebbe invece riso su. Come aveva fatto per trent'anni da quel giorno sfortunato. Tanta meschinità non meritava tanta rabbia. Massimo Nava
       
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