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Pubblicità. Ma quanto ci condizioni?


“Informazione e pubblicità, relazioni pericolose?” è l’interrogativo d’una ricerca dell’Ordine dei giornalisti assieme all’Università di Urbino. I risultati? Innanzitutto uno: metà dei giornalisti italiani ritiene che la pubblicità condizioni la linea editoriale delle testate. E più di metà, il 54%, è convinta che debbano essere riviste le norme deontologiche che regolano il rapporto fra informazione giornalistica e pubblicità. La ricerca sarà presentata a Milano nella mattinata di venerdì 27 gennaio al Circolo della Stampa di Milano (corso Venezia 48, Sala Bracco). L’incontro-dibattito fra gli autori dello studio ed esponenti del mondo del marketing e dei nuovi media inizierà alle 10.30 per concludersi verso le ore 13.  La ricerca è stata realizzata dal Gruppo di lavoro ‘’Qualità dell’informazione e pubblicità’’ dell’Odg - fra cui Michele Urbano e Pino Rea -, e dal Laboratorio di ricerca sulla Comunicazione avanzata (LaRiCA) dell’ Università di Urbino. Relazioni e relatori: “Giornalisti sotto auto-osservazione: una inchiesta nelle redazioni”, prof. Giovanni Boccia Artieri,  presidente del corso di laurea in Scienze della Comunicazione, Urbino. “Rivedere le norme etiche?”,  Michele Urbano, consigliere nazionale dell’ Ordine. “Relazioni pericolose?”,  Nicolò Michetti (Ceo di Digital Pr). Seguirà il dibattito. Conclusioni di Enzo Iacopino, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti. (La ricerca.pdf è in allegato; questa l’introduzione, scritta da Pino Rea, che l’ha coordinata):

 di Pino Rea

1. Metà dei giornalisti italiani ritiene che la pubblicità condizioni la linea editoriale delle testate, mentre il 54% è convinto che debbano essere riviste le norme deontologiche che regolano il rapporto fra informazione giornalistica e pubblicità. Sono i risultati più rilevanti della Ricerca compiuta dal Gruppo di lavoro su Qualità dell’ informazione e pubblicità* del Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti insieme al LaRiCA1 dell’ Università di Urbino Carlo Bo, dall’équipe di ricerca costituita da Giovanni Boccia Artieri, Luca Rossi e Stefania Antonioni. L’ analisi mette in rilievo il progressivo accentuarsi della complessità del rapporto informazione/pubblicità, determinato dai mutamenti profondi che hanno investito in questi decenni tutta la macchina della produzione giornalistica, e segnala alcune rilevanti criticità. Indicando la necessità di un grosso lavoro di formazione delle giovani generazioni di giornalisti (che ormai i capi delle redazioni non riescono più a svolgere) e di una campagna di rilancio dei principi etici accompagnata dall’ adozione di sanzioni più severe e più efficaci. 2. Il sondaggio conferma prima di tutto il sospetto di una sorta di ‘’doppiezza” fra livello teorico e realtà dei fatti e fa emergere l’ urgenza del problema della possibile influenza degli inserzionisti (o dei soggetti di ‘’riferimento”) sulla linea delle testate. La grande maggioranza dei giornalisti italiani hanno ben chiare le linee teoriche di comportamento etico nei confronti della pubblicità - affermando di ritenere importante evitare di fornire informazioni, consigli o giudizi in favore degli inserzionisti (73%), dell’ editore (63%) o di un gruppo politico o sociale (66%) -, ma, quando si passa ad esaminare la realtà concreta, solo il 50% sono convinti che la pubblicità non influisca sulla linea dei giornali. Una doppiezza che è accentuata nelle redazioni online (sia quelle ‘’native” che quelle che fanno capo a testate tradizionali) dove, come mostra l’ analisi dei questionari, c’ è una differenza di 7-8 punti percentuali in più nella coscienza del fenomeno. Nelle redazioni cartacee infatti l’ influenza della pubblicità sulla linea editoriale delle testate viene avvertita con minore urgenza. Per quanto riguarda l’ età, la percezione di una criticità nel rapporto fra informazione e pubblicità sembra emergere con maggiore rilevanza soprattutto per le generazioni intermedie, quelle fra i 30 e i 54 anni. La complessità del rapporto pubblicità/informazione giornalistica è sottolineato anche dall’ analisi delle questioni relative ai linguaggi, la cui evoluzione ha messo in crisi la nettezza della separazione formale dei relativi spazi. Mentre infatti alla domanda sulla visibilità di questa separazione il 79% del campione ha detto di essere d’ accordo col fatto che tale separazione sia ‘’sempre meno facilmente definibile” (sottolineando quindi come esista una effettiva difficoltà nel distinguere i due ambiti comunicativi), per quanto riguarda l’ uso specifico del linguaggio solo il 53% del campione è d’ accordo con l’ affermazione secondo cui l’ informazione utilizza lo stesso linguaggio della pubblicità” (con una forte accentuazione delle redazioni cartacee rispetto alle altre). Ma se pubblicità e informazione finiscono a volte per convergere sul piano dei linguaggi questo da solo non basta a mettere in discussione l’ autonomia della linea di una testata giornalistica. Restano comunque alcune rilevanti criticità, come dimostra anche il fatto che un’ ampia maggioranza del campione (il 54%) ritiene che sia necessaria una  revisione delle carte deontologiche. Alla domanda sulla eventuale necessità di una revisione delle norme (il 33% era in disaccordo con tale ipotesi) il 13% degli interpellati, una percentuale significativamente alta, hanno detto di essere incerti. Con una presenza molto accentuata di incerti nella fascia d’ età 18-29 anni. L’ incapacità di esprimere un parere in questo campo indica probabilmente una scarsa conoscenza di quelle norme oppure una scarsa percezione del loro valore nell’ attività quotidiana. Questo dato fa presumere che ci sia un problema di comunicazione delle norme e del loro valore alle fasce di giornalisti più giovani e/o che esse diano meno importanza al sistema di autoregolazione che regge la professione. 3. Quanto al merito delle norme, le critiche avanzate dal 63% del campione riguardano non tanto i principi contenuti nelle Carte, quanto la loro effettiva applicazione e le relative sanzioni, che qualcuno ritiene Ô’fin troppo blande” e a cui, secondo qualcun altro, si dovrebbero accoppiare anche misure pecuniarie. Un ulteriore problema segnalato è la difficoltà di controllare quello che accade nel giornalismo online, ritenuto un ambito maggiormente ambiguo e sfuggente per quanto riguarda la possibilità di distinguere fra informazione e pubblicità e quindi maggiormente esposto ai "pericoli" derivanti dalla confusione degli ambiti promozionale e informativo. Ma non è escluso che si possa trattare di forme di pregiudizio (o di mancanza di conoscenza) del giornalismo tradizionale nei confronti del mondo digitale. Per quanto riguarda le possibili soluzioni per rendere più evidente la distinzione fra pubblicità e informazione vengono citati possibili espedienti grafici o soluzioni ‘’semplici” (font e grafiche diverse, inserti separati, scritte in grande evidenza, ecc.) ma anche semplicistiche, mentre non manca in alcuni un totale disincanto nei confronti della soluzione del problema, ritenuto per molti aspetti irrisolvibile. Comunque, tra chi cita il Codice etico del Sole24Ore, chi la rivista femminile statunitense Ophra, chi il manifesto sull’informazione locale partecipata, chi i dossier del magazine inglese Monocle, e chi porta l’esempio del Fatto quotidiano, emerge anche la posizione di coloro che segnalano come la rete restituisca gli esempi dell’ unica informazione libera, quella partecipata e “dal basso”, che comprende anche le forme di citizen journalism e di crowdfounding. Anche se il “sogno” rimane quello di riuscire a sostenersi esclusivamente attraverso le proprie lorze e quindi facendo a meno della pubblicità. 4. In conclusione, le soluzioni praticabili citate dagli intervistati sono diverse, rispecchiano la molteplicità delle forme di giornalismo con le quali ci confrontiamo oggi, così come con le diverse idee di giornalismo e di eticità della professione che si stanno facendo strada. Segno questo della necessità di riflessione ed auto osservazione che in questo momento la professione può e deve fare su se stessa.
       
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