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Ossigeno alla democrazia, fate presto. Presto!


Quanti "misteri italiani" in meno se i giornalisti potessero (e talora volessero) fare il loro mestiere e accedere agli archivi. Quanti abusi, sprechi e arroganze in meno se gli atti di tutti, e in particolare di certuni, fossero di pubblico dominio. Basta una legge. Un Atto per la libertà d'informare. Come già esiste in altri Paesi e per la quale da decenni qualche italiano solitario combatte. Invano. Ora però, forse, ci siamo. Sarà che i tempi sono maturi o che la sopportazione è terminata. Raffaele Fiengo è la persona, il collega, che ha ripreso in mano la bandiera del FOIA (www.foia.it) e ha trovato subito le adesioni, ma cosa sia e a cosa serva questo Freedom Information Act lo spiega, meglio di ogni comunicato, che pur pubblichiamo in coda, l'intervento con cui Fiengo introduceva il 10 aprile la prima riunione dei promotori. In poco più di un mese han visto la luce il decalogo, le adesioni eccellenti ed il sito. Noi, come Nuova Informazione, siamo stati, ovviamente, tra i primi a sottoscrivere l'impegno. E ora i documenti: gli appunti di Fiengo, il comunicato di oggi, il decalogo, la proposta costruita partendo proprio dall'annosa battaglia di Elena Aga Rossi (che per anni ha diretto la Scuola superiore della Pubblica Amministrazione) ...

10 aprile 2012 - Introduzione alla prima riunione per il FOIA

di Raffaele Fiengo     Due fatti di questi giorni dimostrano che il giornalismo italiano non e' nelle condizioni di fare pienamente il proprio dovere. 1- Il 29 marzo 2012 un rapporto del Consiglio di Europa, condotto dalla olandese Teneke Strik, ha accertato che 63 migranti dal Nord Africa nel maggio scorso furono lasciati morire in mare. Le autorità libiche (al potere ancora Gheddafi ed erano in corso le operazioni Nato) caricarono il 26 marzo 1911, su una imbarcazione, 60 uomini, 20 donne e due bambini provenienti tutti da zone subsahariane, e li misero in mare. Presto rimasero senza acqua e cibo e cominciarono a morire. Il capitano riuscì a chiamare un prete eritreo che vive in Italia, don Mussei Zerai. Le coordinate dell'imbarcazione arrivarono cosi' al Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma. Gli allerta furono lanciati. Ma nessuno soccorse i migranti. A uno a uno morivano di fame e sete. La barca fu sbattuta sulla costa libica con solo 9 sopravvissuti.  Italia e Spagna hanno una responsabilità diretta: la "Mendez Nunez" e il nostro pattugliatore "Borsini" erano rispettivamente a11 migliae37 migliadal barcone. La Nato anche. Un elicottero, forse italiano, forse francese, ha addirittura sorvolato i disgraziati lanciando acqua e biscotti, senza mai tornare. Due pescherecci rifiutarono il soccorso. 2- A Milano sono state pubblicate le liste di  coloro che hanno un pass per i "percorsi preferenziali" . Ed e' subito evidente che ogni giorno un gran numero di automobilisti privilegiati si sottraggono agli ingorghi, senza un motivo serio: medici che corrono da un malato, pompieri che debbono spegnere un incendio, guardie che debbono acciuffare un ladro. Di fronte a queste due notizie, i giornalisti naturalmente dovrebbero mettersi al lavoro con scopi precisi. 1- Tirare fuori dal rapporto integrale (anche se e' in inglese) i testi delle comunicazioni radio esistenti. Procurarsi i documenti sul caso. I marinai italiani non hanno nel loro DNA l'omissione di soccorso in mare. E' probabile che il comandante o qualche ufficiale abbia chiesto ad autorità superiori come comportarsi. E' possibile che la catena di formazione della volontà e delle decisioni passi dal richiamo a leggi o circolari di applicazione. Può essere che l'epilogo vergognoso sia da spiegare anche con lo spirito del governo di quel tempo, dove la  presenza della Lega arrivava fino ad anteporre il respingimento della "invasione dei neri" al valore di una vita. L'altro giorno il giornalismo aveva, il compito di spiegare questo. Non per punire qualcuno (non spetta alla stampa), ma per spiegare, aiutare a capire come era potuto accadere. Una comunità in questo modo conosce, sa, forma una propria opinione pubblica sul problema e magari cambia una legge sbagliata. 2- Nel caso dei 4000 pass, più che spulciare tra i gruppi sociali che godevano del privilegio e -soprattutto - più che indicare con scandalo o invidia i succosi nomi, il giornalismo vorrebbe raccontare come funziona in concreto la concessione dei pass e trovare dove sono i varchi per gli abusi. Questo vuol dire sapere come funziona quell'ufficio. Mettere in chiaro non solo i provvedimenti, le procedure burocratiche. Ma anche leggere le note di servizio, se ci sono. Ricostruire come un persona che non avrebbe alcun titolo per avere il pass, invece lo riceve. Anche qui non si tratta di metter alla gogna i privilegiati. Ma spiegare per quali vie da noi non solo non c'e la famosa "eguaglianza dei punti di partenza" ma i trattamenti speciali toccano ogni momento della giornata. E della vita. In tutti e due i casi, in Italia, a differenza di quanto avviene in tutti gli altri paesi democratici, questo lavoro non e' possibile. Ho pensato di andare personalmente negli uffici del Comune di Milano per fare l'ennesima prova usando il caso dei pass. Ho chiesto dell'Urp, l'ufficio per le relazioni con il pubblico. Ma non sono andato oltre l'albo pretorio. Se arrivo davanti a uno "sportello per la trasparenza" potrei citare una affermazione di principio, il total disclosure, la trasparenza totale che Pietro Ichino è riuscito faticosamente a inserire come emendamento della legge Brunetta sulla pubblica amministrazione. Ma sarebbe inutile. Perché in Italia il Freedom of Information Act non c'e'. Un mio studente per preparare una tesi sull'argomento si recò alla base Usa di Aviano e trovò perfino uno sportello del FOIA dove, per iscritto, ha chiesto (e dopo qualche mese ricevuto) il rapporto sulla strage del Cermis compiuta da piloti sulla cabinovia (20 morti). Il FOIA è nato in Svezia e Finlandia dopo la Seconda guerra mondiale, è stato introdotto negli Stati Uniti nel 1966 e ora è diffuso in oltre settanta Paesi di tutto il mondo, compresa l’India (che ha in vigore una delle versioni più ampie). In Italia permane, in sostanza, la vecchia regola restrittiva, in base alla quale può chiedere un atto amministrativo soltanto chi ha un "interesse legittimo" ad averlo. Un diritto di accesso ai documenti pubblici venti anni fa è stato introdotto nel nostro ordinamento. Ma questa famosa legge 241 del 1990 è pensata per il singolo alle prese, per i casi suoi, con la pubblica amministrazione. Non nasce come diritto della comunità dei cittadini a sapere. E una serie di leggine successive ha chiuso totalmente il discorso. Un emendamento bipartisan nel2010 hareso legge una affermazione di principio. Ma con scarso effetto pratico: "Le notizie concernenti lo svolgimento delle prestazioni di chiunque sia addetto a una funzione pubblica e la relativa valutazione sono rese accessibili dall'amministrazione di appartenenza". Ma perché e' diventata cosi' urgente e non rinviabile l'introduzione di un Freedom of Information Act in Italia? Si possono mettere in fila diversi dati di fatto. 1. Il declino accompagnato dal pericolo di un collasso economico ha obbligato la rappresentanza politica eletta ad affidare a Mario Monti e ai suoi tecnici il governo di riforme indispensabili per non affondare. 2. La crisi del sistema dei partiti, con le anomalie da correggere, non solo nella legge elettorale, rende difficile e spesso povera la dialettica con lo stesso governo sostenuto. 3. Chiamate nel campo di forze a un ruolo di riequilibrio, le forze sociali, portatrici di valori e interessi, in molti casi portano con se' una carica corporativa inevitabile. 4. Inquesto contesto, il giornalismo in tutte le sue declinazioni ha un compito decisivo nella formazione dell'opinione pubblica e nel mettere in Paese in condizione di fare le scelti migliori. Finora il giornalismo italiano e' stato costretto in uno schema fortemente schierato. Con pochissima indipendenza. Ha dovuto fare la sua parte con gli strumenti possibili. L'importanza assunta dalla pubblicazione delle intercettazioni e' solo una delle prove. La pratica di non accesso agli atti della pubblica amministrazione e' talmente forte che anche quando la "full disclosure" e' possibile non viene richiesta. E' il caso della materia ambientale che in base alla Convenzione di Aahrus del 1998, ratificata anche dall'Italia, e' sottoposta a una regime di totale trasparenza. Le riforme in corso non possono avvenire se le norme  non permettono piena trasparenza dell'attività della pubblica amministrazione (le città, le regioni, lo Stato, gli enti pubblici, la sanità, tutto quanto). Il giornalismo deve poter dare alla comunita' le informazioni dirette che interessano il presente e il futuro. Se si stanno costruendo delle case sulla collina che mi sovrasta, devo sapere se i permessi metteranno in pericolo la vita della mia famiglia alla prima alluvione. Tanto per fare un esempio.

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 15 maggio 2012, comunicato    OSSIGENO PER LA DEMOCRAZIA

Il diritto di accesso alle informazioni della pubblica amministrazione. È questo quanto rivendicato come urgente da associazioni della società civile attive nella rete e nella carta stampata, giornalisti, professori ed esperti della pubblica amministrazione, riunitisi ieri presso la sede della Fnsi. L’obiettivo comune è quello di ottenere, anche in Italia, un Freedom of Information Act (FOIA,), ovvero una legge che – come già avviene in tutti i Paesi democratici - permetta in concreto alla comunità di controllare e far funzionare meglio le proprie istituzioni. La totale trasparenza di quanto sta alla base delle decisioni pubbliche (i pareri interni, i documenti, le "carte" insomma), a tutti i livelli, è un formidabile strumento di "buon governo" che i cittadini attivano, non solo negli Stati Uniti  e nel Nord Europa. In ottanta paesi, nei cinque continenti (tra cui - oltre a Canada, USA, Regno Unito e Svezia – vi sono anche Messico, Brasile, Sud Africa, Nigeria, India, Giappone, Giordania e molti altri) il diritto di accesso alle informazioni e ai documenti della pubblica amministrazione funziona come bussola della pubblica opinione nelle piccole cose e nelle grandi crisi. Ma così non è in Italia, dove addirittura è esplicitamente  negato per legge ciò che in gran parte dei paesi occidentali costituisce la ragion d'essere della disciplina in vigore. Lo stesso giornalismo non e' costretto  a fare la sua parte solo il giorno dopo, quando e' venuta giu' per il terremoto dell'Aquila la casa dello studente e ha ucciso i ragazzi. L’Iniziativa per l'introduzione di un Freedom of Information Act prende corpo da oggi con un sito web (www.foia.it) nel quale sono illustrati gli obiettivi e sono evidenziati 10 buoni motivi che spiegano il perché di questa urgenza. Aprire i cassetti dà ossigeno alla democrazia che ne ha davvero bisogno, è un vero ostacolo alla corruzione e fa anche risparmiare. Poche norme, semplici e chiare, da votare subito, possono aiutare una svolta traducendo quella che ora è una necessaria affermazione di principio in fatti tangibili. Con l'Iniziativa e il sito FOIA.IT i promotori intendono informare i cittadini del loro diritto a conoscere e dei modi per esercitarlo, per quanto possibile, sin da subito: nei comuni, nelle regioni, negli enti pubblici dove buoni amministratori vogliono lavorare alla luce del sole. In materia ambientale (discariche, inquinamento, amianto), ad esempio, è già possibile ottenere importanti informazioni utilizzando la "convenzione di Aahrus", ratificata dall'Italia.

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LINEE GUIDA 

Per un Freedom of Information Act (FOIA) in Italia. Subito   Il nostro paese vive uno dei momenti più difficili della sua storia: la grave situazione economica nazionale ed europea e il rischio di un crollo dell'euro, l'aumento della disoccupazione, la grave crisi dei partiti, l'inefficienza e la disorganizzazione della pubblica amministrazione, la  difesa degli interessi corporativi, la crescita delle diseguaglianze sociali, la corruzione, il discredito delle istituzioni. In questa situazione tutti gli italiani possono contribuire ognuno per le loro competenze e nei loro settori ad affrontare i problemi che bloccano lo sviluppo della società  civile e impediscono la ripresa economica.  Un gruppo di associazioni e di singoli cittadini, riunitisi presso la Federazione nazionale della stampa, ha deciso di aprire  un dibattito pubblico sull'esigenza di un maggiore riconoscimento del diritto all'informazione, con l'introduzione  di una legge sul Freedom of Information simile a quella introdotta negli Stati Uniti nel 1966 (FOIA) e da tempo esistente nei paesi democratici.  Un confronto tra la nostra legge (241/1990) e quelle in vigore negli altri paesi europei e in USA, mostra il ritardo dell'Italia dal punto di vista sia culturale sia legislativo, per quanto riguarda i diritti del cittadino. La nostra legge è infatti l'unica in Europa a subordinare la richiesta della documentazione della pubblica amministrazione a un interesse diretto del singolo cittadino, e ad escludere esplicitamente la possibilità di un suo utilizzo come mezzo di controllo generalizzato sulla pubblica amministrazione.  Nonostante il principio della “accessibilità totale” sia stato introdotto nella normativa italiana vigente (Legge 15/2009; 150/2009; 183/2010), esso resta appunto soltanto una affermazione di principio, non in grado di vincolare la pubblica amministrazione attraverso, ad esempio, un sistema di obbligo-sanzione.  In Europa e negli USA, al contrario, il diritto all'accesso è garantito a chiunque indipendentemente da ogni specifico interesse, e diventa quindi un vero e proprio strumento di controllo dell'attività amministrativa (esplicitamente esclusa dalle modifiche approvate alla legge italiana sulla trasparenza nel 2005) e di partecipazione dei cittadini ai meccanismi decisionali. Il principio del Freedom of information obbliga la pubblica amministrazione a rendere pubblici i propri atti  e rende possibile a tutti i cittadini di chiedere conto delle scelte e dei risultati del lavoro amministrativo.  Quello che è esplicitamente negato dalla legge italiana, in altre parole, costituisce la ragion d'essere della disciplina in vigore in gran parte dei paesi occidentali.  L'esperienza degli altri paesi, e in particolare quella della Gran Bretagna, ha mostrato tra le altre cose che una legge efficiente sul diritto di accesso ha effetti positivi anche sul funzionamento della pubblica amministrazione, non solo perché questa è costretta ad aumentare i propri comportamenti virtuosi, ma anche perché favorendo il tasso di fiducia dei cittadini permette all'amministrazione di operare al meglio.  Una vera legge sulla trasparenza amministrativa avrebbe altre importanti conseguenze di cui il nostro paese ha urgente necessità. Ponendo rimedio alla opacità delle decisioni amministrative che ostacolano gli investimenti delle imprese, renderebbe chiari gli elementi che causano i ritardi negli iter dei procedimenti, chiarirebbe le responsabilità e di conseguenza   favorirebbe la semplificazione.  Lo snellimento e la maggiore chiarezza delle procedure contribuirebbe ad arginare anche il fenomeno della corruzione, sempre più esteso nel nostro paese.  Una modifica della legge attuale nel senso auspicato è l'unico mezzo per ottenere la trasparenza  e l'efficienza tanto conclamate dai vari governi  ma per il cui raggiungimento è sempre mancata una concreta volontà politica.  In una riunione tenutasi il 10 aprile 2012 esponenti di associazioni, giornalisti, politici e professori universitari che in questi ultimi anni si sono interessati al tema, si sono incontrati per la prima volta e hanno deciso di mettere insieme le loro esperienze  per costituire una lobby che informi i cittadini del loro diritto a conoscere (the right to know)  e  dei modi per esercitarlo.  Due gli obiettivi prioritari da conseguire: 1.        sensibilizzare l'opinione pubblica sull'importanza  di un rapporto paritario tra  cittadino e pubblica amministrazione;  2.        impegnarsi per far mettere in primo piano nella agenda parlamentare una revisione della legge del diritto di accesso.  I partecipanti alla riunione hanno deciso di costituire un gruppo di studio e  un sito Web in cui i materiali relativi al tema siano raccolti  e disponibili e di lanciare un appello per eventuali adesioni.  L’urgenza dettata dall’attuale situazione del paese richiede alle Istituzioni un segnale tempestivo e un intervento inequivocabile, che palesi finalmente quella sana volontà politica di cui l’Italia ha bisogno.  Si sono recentemente tenuti i lavori internazionali della Open Government Partenrship ed è stato presentato l’Action Plan italiano.  Sono attualmente in corso e si chiuderanno a giugno i lavori della Cabina di Regia governativa per l’Agenda Digitale Italiana – ADI, che prevede tra i suoi principali obiettivi la definizione di una normativa in materia di “e-government / open data”, cui è dedicato uno specifico gruppo di lavoro.  Nessuna strategia di open data è immaginabile se non inquadrata in una più ampia strategia di open government. E non vi è forma di governo aperto che possa prescindere da una legge sul diritto e sulla libertà di informazione che ristabilisca un corretto rapporto tra cittadinanza e Istituzioni, come sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

       
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