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Ordine, legge del '63: o si cambia o si muore


di Michele Urbano cambiamento-400x265Condivido premesse e analisi del documento di Pino Rea, "Premesse sulla riforma" (ndr: in discussione fra i colleghi dell'Ordine nazionale dell'area "Liberiamo l'informazione". In coda il testo). Ho solo qualche dubbio sul doppio elenco: tempo pieno e parziale. Secondo me - ma disponibilissimo a farmi convincere del contrario - la qualifica professionale dipende dal mio sapere tecnico non dal tempo impiegato. Parametro quest'ultimo non scevro da "ambiguità' concettuali. Meglio allora sarebbe una distinzione funzionale: il giornalista che cerca le notizie e il giornalista che le produce (l'addetto stampa). Ma una proposta cosi aprirebbe una discussione epocale. E oggi la partita si gioca tutta sui tempi: o l'Ordine riesce nel giro di un anno a proporsi come un soggetto capace di interpretare davvero la figura del giornalista del XXI sec. oppure... meglio staccare la spina. Con questa consapevolezza di urgenza sono arrivato alla conclusione che sarebbe meglio ridurre al minimo i fuochi di discussione e concentrarsi sull'obiettivo grosso: superare la legge del '63. Semplificando al massimo: con un solo elenco (più "quello speciale"). Nel primo- di fatto l'unico - ci stanno tutti quelli possono dimostrare una posizione, anche minima, all'Inpgi 1 e 2. Inizialmente, prevedendo una fase transitoria, non avrei nemmeno paura di passarvi automaticamente i pubblicisti, magari mettendo un limite attraverso gli anni di iscrizione per evitare l'esame: 15, 20, anni?. E poi che Dio ci aiuti. Appunti sulla Riforma (a cura di Pino Rea) Il giornalista * Qualche premessa Giornalista non è chi lo è (nominalmente) ma chi lo fa (come professione, anche non primaria) e anche chi lo fa per impegno civile, perché gli piace, perché gli capita (occasionalmente), ecc. Proviamo a distinguere fra professione (cultura, saperi, status) e lavoro (industria, mercato). Esistono delle gradazioni di attività giornalistica lavorativa: lavoro esclusivo, lavoro parziale (prevalente o secondario), lavoro occasionale, lavoro gratuito per passione e impegno. Il giornalismo come lavoro e produzione di reddito – fatto cioè all’ interno dell’ industria giornalistica - non è monopolio degli attuali professionisti. Ogni giornalista deve essere ‘’professionale’’. Il termine indica l’ assunzione del bagaglio di etica, saperi e responsabilità. Anche il vecchio pubblicista deve dare la sua collaborazione in termini professionali. E anche chi ha un blog di questioni internazionali deve seguire lo stesso processo di ricerca, verifica e diffusione dell’ informazione giornalistica. Insomma fare giornalismo in modo professionale. Gli conviene: per accrescere l’ autorevolezza (e quindi il valore, anche economico) del suo ‘’brand’’. Le distinzioni formali (prof/pubbl) vanno abbattute perché ormai sono assurde e mistificatrici. E poi basta col potere di ricatto della promessa di un tesserino da pubblicista… Se non ci fosse quella prospettiva uno ci penserebbe due volte prima di continuare a lavorare gratis dopo tre o quattro mesi… Il mercato non è il paradiso ma bisogna tenerne conto, perché poi si intreccia con la cultura. Da noi c’ è la cultura del giornalista (formale, dotato di tesserino) a tutti i costi: inutile dilungarsi. Il nostro mercato è ambiguo e anomalo: 90.000 giornalisti (gli iscritti all’ Ordine meno pensionati – che però come sappiamo in molti casi incidono sul mercato - ed elenco speciale) sono una assurdità. E infatti gli attivi sono quasi 48.000. ** Quindi: Un solo Albo dei giornalisti (a cui fanno capo tutti i giornalisti abilitati) // Ma due elenchi // L’ unica differenza è l’ intensità del lavoro giornalistico. - Giornalisti a tempo pieno (esclusivo, prevalente) - Giornalisti a tempo parziale (reddito secondario: a patto che non sia occasionale e che ci sia contribuzione Inpgi – o che il lavoro sia assimilabile, es Uff Stampa PAmm). Accesso identico e libero: stessa abilitazione (università 3 + 2, con esame di stato; o laurea in giornalismo quando ci sarà, con esame di stato) con possibilità di passaggio dal primo al secondo quando si vuole, ma in ogni caso verifica biennale (?) delle condizioni di reddito degli iscritti al primo elenco. Periodo transitorio: chi dimostra (o assicura? Con autocertificazione?) una prevalenza dei propri redditi da giornalismo per gli ultimi 3 anni è ammesso all’ esame di stato, se vuole. E passa nell’ elenco dei giornalisti a tempo pieno. Chi non può o non vuole cambiare va nell’ elenco dei giornalisti a tempo parziale. - Naturalmente tutti con uguali diritti, doveri e responsabilità L’ Ordine Dopo la micro-riforma l’ Ordine - non è più né deontologia né etica. ma solo 1)funzione amministrativa: albo (elenchi) e gestione esame di stato 2) formazione. Ecco, ‘’solo’’ questo. Basta una struttura snellissima. Un Cnog di 60 persone scelte . Clausola di genere dei due candidati per ogni candidatura. Fino ad ora la produzione culturale del Cnog è stata assolutamente iunsufficiente. Un solo piccolo esempio: da vari anni il Consiglio nazionale non conosce più la percentuale di genere fra gli iscritti. -Come si fa a gestire formazione/aggiornamento se non si sa che cosa succede nel mondo? Neanche nel proprio? - Prevedere esplicitamente un gruppo di lavoro permanente su quello che succede nel settore, che guardi fuori e dentro il paese. E gestisca un suo flusso di informazione verso il mondo del giornalismo. Un Centro studi ristretto ma forte, con consulenti esterni che cambiano a seconda del tipo di ricerche programmate, ecc. L’ Ordine del giornalismo L’ Ordine è anche ‘’Ordine del giornalismo’’. Contribuisce a creare una cultura del buon giornalismo e cerca di assicurare che diritti, doveri, saperi ed etica valgano per qualsiasi tipo di attività giornalistica. Anche per il cittadino che saltuariamente e per passione fa attività giornalistica. Omogeneizzare a questo principio le norme sulle fonti, l’ art. 2 della legge del 63, le Carte deontologiche, ecc.
       
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