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Non in suo nome (sì al Marson day!)


Oggi sull'Unità così scrive Roberto Natale: Sono un ricordo recente ed impegnativo, le piazze italiane che negli ultimi anni si sono riempite per dire no alla legge-bavaglio, per contrastare i pestaggi mediatici, per chiedere un’informazione libera e corretta. Verso quella marea di cittadini noi giornalisti abbiamo contratto un debito: ora che la condanna di Sallusti fa tornare in primo piano la possibilità di riformare la legge sulla diffamazione a mezzo stampa, è innanzitutto a loro che dobbiamo garantire di non esserci fatti risucchiare nella trappola mortale del corporativismo. Per il direttore del “Giornale” non bisogna neanche scomodare Voltaire, perché la diversità delle opinioni non c’entra: il pezzaccio di Dreyfus/Farina conteneva notizie false, nemmeno rettificate nei giorni successivi, e a nessuno dei soggetti citati nell’articolo sono arrivate delle scuse. Sallusti fa di tutto per essere indifendibile, e per fare il martire non ha il fisico del ruolo. Ma la norma che stiamo chiedendo (da anni, non da una settimana) non è l’ennesima legge ad personam. E’ una misura di civiltà che ci sollecitano tutti gli organismi internazionali che si occupano di diritti umani e di libertà: dall’Onu, all’Osce, alla Corte Europea di Strasburgo. Con una sola voce, dicono che è inaccettabile il carcere per i giornalisti responsabili di diffamazione. Siamo una anomalia europea, abbiamo uno spread da ridurre anche sotto questo profilo. Sallusti ha fatto notizia (più precisamente: ha orchestrato una campagna), ma questa legge sbagliata colpisce più frequentemente di quanto si pensi: per stare soltanto agli ultimi mesi, ne hanno fatto le spese giornalisti dell’“Alto Adige” e del “Centro” abruzzese.Cambiare la norma non significa affatto rivendicare per il giornalismo un regime speciale di impunità, in cui i Sallusti, i Farina, i Feltri possano colpire a mano libera. Sollecitiamo da tempo una riforma che imponga a chi sbaglia una rettifica immediata e vera (se il titolo e il pezzo errati sono in prima pagina, le scuse non possono essere nascoste a pagina quaranta), sanzioni economiche, ma soprattutto la sospensione dall’attività professionale, e nei casi più gravi perfino la radiazione dall’Albo. Già oggi possiamo portare - ai cittadini che sono stati al nostro fianco - più di una prova che non facciamo scattare malintese solidarietà di “casta”: dopo il caso Boffo, Vittorio Feltri è stato sospeso per mesi dall’Ordine, anche su richiesta di tanti di noi che giudicavano vergognosa l’operazione mediatica ai danni dell’allora direttore di “Avvenire”. E Renato Farina - lo stesso coprotagonista delle vicende di questi giorni - era stato di fatto costretto dall’Ordine a dimettersi, per gravi violazioni della legge professionale, un attimo prima che arrivasse a suo carico la radiazione (anche per questo aveva dovuto nascondersi, qualche mese dopo, dietro lo pseudonimo di Dreyfus). Abbiamo considerato queste decisioni come un doveroso segno di rispetto verso i lettori e verso i tanti giornalisti per bene. E per rendere ancora più incisiva l’azione di sorveglianza deontologica guardiamo con favore alla proposta di un Giurì per la lealtà dell’informazione, rilanciata negli ultimi giorni da un gruppo trasversale di deputati, che potrebbe assicurare un più pronto e rigoroso rispetto dei diritti dei cittadini lesi da un cattivo giornalismo. Paghi anche Sallusti, dunque, e duramente. Ma il carcere no. Il convegno che faremo martedì prossimo nella sede della Fnsi con il ministro Severino non è una improvvisazione costruita in 48 ore, “sull’onda dell’emozione”. Le proposte che ripresenteremo sono il risultato di un lavoro di lungo periodo. Non sarà di certo il Sallusti-day. Vogliamo difendere la libertà dell’informazione, anche a dispetto di chi le fa pessima propaganda. Roberto Natale Presidente Fnsi
       
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