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News of the word: ma noi siamo meglio?


di Michele Urbano E’ curioso come lo scandalo di News of the world abbia suscitato scarsissima attenzione da parte degli addetti ai lavori. Eppure, quello scandalo, di problemi e di analogie, ne mette in mostra parecchie. Tanto per dirne una: i pericoli non solo per la democrazia, ma anche per una sana pratica giornalistica insiti nella concentrazione dell’informazione. So che certi temi non sono né semplici da analizzare né si prestano a sintesi veloci, però, accidenti, di fronte a quello che è successo potremmo pure perderci qualche minuto. Già, cosa è successo? Stando a quello che è emerso finora, è successo che un potente settimanale (News of the world, quasi tre milioni di copie a numero) praticava con la complicità della polizia londinese e la benevolenza del governo, intercettazioni, ovviamente illegali, sui telefonini di personaggi che potevano fare notizia. Da notare che già qualche anno prima un reporter dello stesso giornale (Clive Goodman) era stato arrestato perché colto a praticare lo stesso “controllo” illegale su qualche rampollo della famiglia reale. Stavolta ha fatto il bis. Dunque, le intercettazioni – oltre quattromila – erano pratica diffusa e collaudata. Ergo, erano un segreto di pulcinella per molti “anelli” della catena di comando del settimanale. Tutti sapevano, ovvio, anche la polizia. Ma perché dei giornalisti dovrebbero sviluppare pratiche gangsteristiche? Per soldi, per carriera? A pensarci bene questa domanda non è scontata. Insomma, potrei capire il direttore, il vicedirettore il caporedattore, l’inviato di punta. L’ambizione fa parte della vita e purtroppo c’è chi è disposto a tutto per raggiungere i suoi obiettivi. Ma a News of the world c’erano troppi giornalisti che sapevano per liquidare il problema con la spiegazione della carriera e dei soldi. Insomma, il sospetto che affiora è che era un codice interno, una specie di filosofia aziendale, che pagava bene - per alcuni big del giornale anche nel senso letterale, anzi prosaico - per tutti, con il prestigio della testata, più esattamente, il senso di potere che una testata, appunto potente, può concedere ai suoi redattori. E questo vale per tutti i giornali a tutte le latitudini. Domanda: siamo sicuri che in tutti i giornali italiani lavorano gentlemen? Domanda: siamo sicuri che il modello Corona in Italia non abbia fatto proseliti anche nelle news? Non sarebbe necessaria una riflessione corale? Non sarebbe necessaria un’allerta generale? Ma andiamo avanti. Lo scandalo di News of the world pone certo un problema generale che ha, però, al suo interno un sotto-problema tutto di noi giornalisti. Vediamo di spiegarci. Lo scandalo di News of the world evidenzia in modo drammatico che un’informazione che si fa potere, automaticamente diventa soggetto distorcente della democrazia stessa. Attenzione, non un’informazione che si fa potere di controllo (the watch dog) ma un’informazione che si fa potere punto. Insomma, un’informazione che si fa strumento di potere per raggiungere obiettivi commerciali e politici. E un’informazione che si fa strumento di potere in una situazione di monopolio o di concentrazioni editoriali massicce è ancora più pericolosa per la democrazia: l’avvelena, la deforma, la piega. Questo è un problema della politica. Non affrontarlo, non sviluppare vaccini (leggi) utili a ripristinare un pluralismo reale sulla base di fatti reali, significa contribuire ad avvelenare le coscienze, a costruire un’opinione pubblica artificiale e debole. Ricordo che il primo ministro conservatore Major venne massacrato dal gruppo Murdoch mentre il primo ministro laburista Blair no. Perchè? E ricordo che dopo Blair arrivò Gordon Brown (anche lui laburista) che però venne distrutto anche utilizzando notizie riservate circa la grave malattia del figlio. Perché? Domanda: tutto questo non ci riporta a qualche similitudine italiana? Non ci riporta alle campagne per la casa di Montecarlo di Fini? Alle campagne della cosiddetta commissione Mitrokin, alle intercettazioni tra Fassino e Consorte? Già, con una differenza. Che in Gran Bretagna News of the world era strumento di potere di un gruppo commerciale specializzato in editoria mentre in Italia l’area grigia che avvolge questi giornali è più spessa dello smog londinese. Esempio classico: il Giornale, si sa, è il quotidiano più schierato a difesa di Silvio Berlusconi. Ma ufficialmente nessuno può dire che è un giornale di Silvio Berlusconi, come potrrebbe dirlo riferendosi a Fininvest-Mediaset-Mondadori. In effetti è del fratello Paolo… Ovvio, non è l’unica differenza. Murdoch, opera in proprio ma non si è mai sognato di entrare in politica. In Italia, Berlusconi lo ha fatto alla grande. Ma fermiamoci qua e torniamo a bomba. Per dire che il caso  News of the world, ci piaccia no, riguarda noi giornalisti, tutti- i giornalisti. Certo, la prima risposta deve essere necessariamente politica, ma ce n’è una seconda che logica e dignità vorrebbe fosse almeno abbozzata dai giornalisti. Siamo in grado – vogliamo? – di porci il problema e proporre delle risposte? O preferiremo saltare un giro e aspettare per vedere l’effetto che fa?
       
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