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Nella storia di Piero le radici di Nuova Informazione
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Sala stracolma, antisala stracolma, ingresso idem: stamane l'addio a Piero Scaramucci ha riunito attorno alla sua bara, al cimitero di Lambrate dove sarà cremato, una marea umana e poi labari, bandiere e violini, trombe e coro. Piero era stato tante cose e poiché in ciascuna eccelleva, ne diventava un punto di riferimento fondamentale: nel movimento, in Rai, a Radiopopolare, nel sindacato, nell'Anpi, su Pinelli o i fatti di Genova, ... Si sono così succeduti al tavolo altrettanti amici e ciascuno illuminava con la sua testimonianza una diversa faccia del poliedrico impegno di Piero. Per Nuova Informazione/Gruppo di Fiesole ha parlato Guido Besana. Finendo inevitabilmente col ricostruire oltre mezzo secolo di storia e di storie. di Guido Besana Piero Scaramucci è stato anche per noi di Nuova Informazione un padre fondatore e un maestro. Ricordare una persona richiede una iniziale introspezione, bisogna ritrovarne in sè le tracce. Perdonate quindi l’introduzione un po’ soggettiva, e le successive incertezze. Ne parlo perché ho l’impressione di essere sempre passato in luoghi e stanze dove poco prima, o poco distante, passava anche Piero. Sono nato nel 1961, se non sbaglio l’anno in cui Piero Scaramucci entrò in Rai per concorso. Ero piccolo, però sono cresciuto in una famiglia di giornalisti, e qualcosa mi è rimasto degli affanni di chi raccontava l’Italia degli anni sessanta e settanta, dal boom alla strategia della tensione. Cose che ho capito tempo dopo, quando ne ho scritto io alla fine degli anni ottanta, eravamo al ventennale della strage di Piazza Fontana, e per scrivere prima bisogna leggere e il lavoro di Piero era lì. Il lavoro di Piero, ne hanno parlato e scritto in molti in questi giorni: il bollettino di controinformazione dei giornalisti democratici e la Cambogia, l’alluvione della Valtellina e l’Irak, la vicenda di Pinelli e i telegiornali, Radio Popolare e Samarcanda. Del lavoro a 360 gradi di Piero si potrebbe parlare per ore, io dico solo un grande giornalista. Al ginnasio mi ero appassionato alla politica, entrai in una Lotta Continua che si scioglieva, e Piero era passato di lì. Mi sono avvicinato al giornalismo praticato quotidianamente entrando a Radio Popolare nel marzo del 1980, e le tracce di Piero erano in ogni articolazione. Sarà stata una coincidenza, ma lì ho lavorato con Mimosa, che veniva dal mio stesso liceo. Era quindi abbastanza naturale che, entrato nel mondo del lavoro regolare, mi iscrivessi al sindacato e cominciassi poi a frequentare Nuova Informazione. In quei primi anni ero affascinato da Piero, e un giorno capii finalmente cosa fosse a rendermelo un esempio: è sempre stato capace di essere schierato, apertamente, pronto a argomentare con una competenza rara che veniva dalla conoscenza, dallo studio, dalla curiosità; e contemporaneamente a non essere aprioristicamente di parte. Piero è stato un uomo capace di raggiungere, o indicare, una mediazione quando questa portava soluzioni positive ai problemi reali. Nello stesso tempo era un asso nel separare il grano dal loglio, di fronte a un casino capiva con rapidità incredibile quali fossero le poche cose veramente rilevanti e cosa fosse invece fuffa. Per questo, anche per questo, credo sia diventato l’uomo delle regole, il costruttore di statuti (Usigrai, Fnsi ) ma anche di palinsesti radiofonici. Qualche anno fa, ricordando la nascita di Radio Popolare, si descrisse intento a tracciare su grandi fogli il susseguirsi dei programmi e dei tempi ridacchiando tra sè e con un caro amico nella previsione dello scompiglio che si sarebbe creato, ad esempio aprendo i microfoni in modo per i tempi rivoluzionario, trasformando l’idea di radiofonia. Quando sono entrato nella struttura del sindacato ho dovuto imparare a giocare con le regole statutarie che, insieme a altri, aveva scritto lui. Regole molto democratiche e molto proporzionali, per qualcuno anche troppo. Mi sono tornate alla mente quando difese la posizione maturata in seno all’Anpi di schierarsi contro la riforma costituzionale voluta dal governo Renzi. Per le sue qualità umane, politiche, intellettuali, legate spesso tra loro da un’ironia affettuosa e a volte da una lucidità tagliente e definitiva, abbiamo sempre continuato a sollecitarlo a una partecipazione nelle vicende di questo piccolo mondo che sono il sindacato e gli altri istituti di categoria dei giornalisti. Lui si ritraeva un po’, a volte bisognava corteggiarlo, in altre occasioni appariva inaspettato. Sfogliando a ritroso le sue mail ho trovato suoi interventi degli ultimi anni. Sul finire del 2014 scriveva, parlando delle bozze del Jobs act, “Tutti i tentativi di erosione della democrazia in Italia sono passati da un attacco al sindacato, negli anni Sessanta e Settanta con le bombe e lo spionaggio contro le lotte dei lavoratori, nei primi Ottanta con il craxismo e le marce antisindacali, nei Novanta con i tentativi berlusconiani di delegittimazione... Nell'attuale sfaldamento della sinistra il sindacato appare una delle poche (unica?) forza organizzata in grado di esprimere una dialettica. Finché dura.” E se questo era uno dei cardini del suo pensiero un altro cardine ruotava intorno a una data, il 25 aprile, e quel che rappresenta: antifascismo e Costituzione. Sapete tutti cosa accadde l’ultimo 25 aprile, questa primavera. Appena censurato e cancellato dalle manifestazioni di Pavia Piero scriveva: “Un 25 aprile come data di conciliazione? Salò e Partigiani commemorati insieme? È un tema che periodicamente tentano di varare. Mi tocca ripetere: la colpa è nostra. È la sinistra che da anni, progressivamente, abbandona il campo, media, cede, dimentica, cancella. Sto nell'Anpi, uno degli ultimi baluardi dei diritti e della democrazia a partire dalla sua difesa della Costituzione. Ma l'Anpi non può sostituire la politica.” E subito dopo, quando il suo pensiero aveva avuto un risalto amplificato dalla stupida censura: “Sono fiero di essere considerato indigesto, come per 30 anni in Rai. Allora erano i democristiani, che oggi si sono divisi sulla vicenda, a partire da Rognoni che ha protestato vivacemente. Alcune esponenti PD hanno solidarizzato, altri han fatto finta di niente. Ma la cosa non riguarda la mia persona, quanto la vocazione a silenziare quel che potrebbe disturbare i manovratori. Se il commissario prefettizio si è mosso da Podestà è segno dei tempi. Brutto segno.. Che tanti pavesi si siano ribellati è un altro segno. Ottimo segno.” Poche frasi in cui si trova l’importanza che per me, per noi, per quelli come noi ha sempre avuto Piero Scaramucci. È per la sua efficacia, acutezza, visione che a febbraio scorso lo abbiamo quasi costretto a venire all’ultimo Congresso della Federazione nazionale della stampa, convinti che dovesse essere un momento di riaffermazione del ruolo costituzionale, democratico e antifascista del giornalismo; abbiamo fatto il viaggio insieme a qualche membro di comitati di redazione, qualche cassintegrato o disoccupato, qualche resistente di una categoria che cambia proletarizzandosi mentre viene precarizzata. E ancora una volta Piero è stato con noi, convinto che anche un giornalismo trasformato e calpestato debba avere una schiena abbastanza diritta e forte, e che debba essere messo nelle condizioni di svolgere il suo dovere, garantire al cittadino il diritto all’informazione, alla conoscenza. Con noi di Nuova Informazione ma in fondo con noi tutti giornalisti. Ognuno di noi porta con sè il suo ricordo di Piero, io ho quello di un sorriso, quel sorriso che ti rivolgeva dopo che per mezz’ora gli avevi raccontato casini, dubbi, contraddizioni e problemi, quel sorriso con cui ti guardava e diceva: tutto chiaro, è semplice, si fa così. Ciao Piero, grazie del tuo sorriso, grazie di tutto. .................................. Mimosa Burzio, collega (Rai), compagna di Piero, è stata la regista silenziosa della mattinata di commemorazione. Qui mentre parla con Vera Paggi (Rai3) della Banda degli ottoni. Si intravede appena in primo piano Marianna Scaramucci, la figlia che Piero avevo in precedenza avuto con Chiara Plumari, anch'essa nostra collega (AdnKronos). Il presidente dell'Anpi di Pavia (qui al suo arrivo alla cerimonia d'addio), ha ricordato dal palco la brutta vicenda che lo scorso 25 aprile vide il Comune anzi il Commissario ritrattare l'invito a Piero come oratore ufficiale. Ma la voce di Piero, attraverso Radiopop ed un altoparlante, riuscì ad arrivare egualmente a tutti e non solo ai pavesi... :