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Milano, un altro anno se ne va. Già, ma come?
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di Oreste Pivetta In un anno che passa si può anche assistere a una “fine lavori” che chiude il buco davanti al Teatro Smeraldo, il cuore di una Milano gaia, un palcoscenico che ha sofferto allo stesso tempo il rovesciarsi delle fortune teatrali (anche l’avanspettacolo è teatro) e l’eternità degli scavi dedicati a una iniziativa che muove al paradosso, anche se per ragioni simboliche, ragioni fragili e – ci si augura – di passaggio: costruire e consegnare box per auto, quando pare che il mercato dell’auto stia toccando i minimi storici. Lo Smeraldo diventerà supermarket del gusto raffinato, sincero, genuino, a prezzo contenuto. Gli scavi continueranno altrove senza indugi, ancora per dar riparo alle macchine, in un luogo ben più celebre di Milano: tra S. Ambrogio, la Cattolica e i suoi collegi, la caserma della polizia. Quando la costruzione sarà completata, una larga piastra di vialetti e giardinetti trasformerà quello spazio, potendo occultare nel sottosuolo svariate decine di auto, che forse non si presenteranno mai: per risparmiare il biglietto d’ingresso o fermate dal caro benzina. A gloria del candidato ed ex sindaco Albertini, tenace costruttore di box e garage sotterranei. Auto, sempre auto, malgrado l’Area C, la tassa che vorrebbe sconsigliare l’accesso delle macchine in centro. I tribunali, accogliendo il ricorso di un garagista, hanno tentato prima d’agosto di cancellare l’Area C. Ma l’Area C si è ribellata e la tassa è tornata, restituendoci un certo modo di guardare la città cui ci eravamo abituati e un certo modo di sentire e giudicare la politica. La congestione si è ridotta, la politica dell’amministrazione si è mostrata per una volta vigorosa. È un’altra novità di questo 2012. Servirebbero il coraggio e la coesione per un altro disegno che estendesse l’area proibita, perché solo così la riduzione del traffico e degli inquinamenti sarebbe tangibile. O si potrebbero immaginare altre misure, come nuove isole pedonali o come severi divieti di sosta. Non sarà per punizione degli automobilisti, ma per una originale spending rewiew, tagliando i costi dell’inquinamento e dell’intasamento, perché il “tempo è denaro” e curare anche solo un raffreddore o una bronchite è una spesa. Qualcuno ci penserà. Sono cresciuti rapidi e alti i cosiddetti grattacieli, che sono di quella misura media dettata dalla modestia (o dalla mediocrità) milanese. Non oso giudicare la qualità architettonica (potrei riferirmi solo alla categoria del “banale”, probabilmente sbagliandomi). Certo lo skyline, ambizione di sindaci trascorsi, come il “candidato” Albertini o come la signora Moratti, non è mutato, non è trionfale e niente ci ricorda Abu Dhabi. Per la seconda volta sono passato sotto il grattacielo della Regione, traversando la “piazza”. La prima volta, all’inizio, vidi teorie di vasi a pianta rettangolare con arbusti rigogliosi, disposti a dividere lo spazio. La seconda volta ho assistito all’allestimento di un maneggio, con la sabbia stesa e le tribune attorno. Poi ho letto che si sarebbero esibiti cavalli in concorsi ippici. Prima e dopo ho pensato che qualcosa non funzionasse perfettamente in quella architettura, che si volesse riparare dividendo e occupando in modo non proprio adeguato. Milano cambia, non si capisce se con soddisfazione dei milanesi, mai consultati peraltro: il caso riguarda le precedenti amministrazione che non si sono mai negate un deficit di democrazia, in omaggio alla “governabilità”. Sono arrivati anche i giorni delle consultazioni: primarie e ancora primarie, che hanno rivelato un certo attaccamento alla politica. Le primarie hanno restituito a Milano il senso di una città capace di impegnarsi, di mobilitarsi, persino con abnegazione: due turni e un’altra votazione per le regionali sono un ammirevole tour de force e un incitamento alla speranza quando si vede in giro tanta rassegnazione, anche di fronte al risorgere della più offensiva corruzione. Nel cuore di Milano le isole dei rassegnati sono infinite. I rassegnati sono i vecchi che vivono delle più basse pensioni Inps, sono i malati, sono gli “esodati”, i cassintegrati di una certa età ma anche i giovani che non trovano lavoro, anche se i giovani sono forti e possono reagire. L’abito fa il povero. I mezzi pubblici sono un bel punto di osservazione, cominciando dalle scarpe, risalendo agli abiti, ai giacconi, ai cappotti. La consunzione del cuoio, delle stoffe, delle fodere dicono non tanto di una povertà affamata quanto di una penuria che si trascina di mese in mese fino alle estreme conseguenze. Quando si scoprono giacche lise di decenni fa indosso al vecchietto che arranca con la spesa, l’avvertimento è netto: una parte di città costretta ad arretrare dagli orizzonti del consumismo. Non c’è abbandono, c’è dignità. Ma quanto si può resistere dignitosi in certe condizioni. La “crisi” ci ha colpiti in modo pesante nelle poche fabbriche che restano, negli uffici, nei mercati. Negozi chiusi, imprese che nascono e muoiono, illusioni che si coltivano per breve tempo e presto crollano. La Lombardia ha superato tutti i record di cassa integrazione e sono anni che la cassa integrazione si trascina. L’effetto si moltiplica, la condizione di sofferenza si prolunga. Ci sono anche i ricchi a Milano e ci sono gli evasori. La ricchezza ha più armi e cerca di segregare la povertà, sempre più emarginata. La povertà non è notizia, è uno stato compassionevole, è una colpa.Persino la Chiesa parla meno di un tempo di povertà. La Chiesa del vescovo, ovviamente, distante da quella di certi parroci e di certe associazioni. L’anno che si chiude è l’anno della morte di Carlo Maria Martini ed è l’anno di Angelo Scola, il successore di Martini e di Tettamanzi e il testimone di un’altra idea di Chiesa, che pochi mesi fa, nella sua prima lettera pastorale, “Alla scoperta del Dio vicino”, invitava i fedeli a “concentrarsi sull’essenziale”e raccomandava “decisione di dedicare tempo alla conoscenza e alla contemplazione più che proliferazione di iniziative, silenzio più che moltiplicazione di parole, l’irresistibile comunicazione di un’esperienza di pienezza che contagia la società più che l’affannosa ricerca del consenso”. Raccomandava: “in una parola, testimonianza più che militanza” .Così sono mancati quei richiami alle difficoltà dei poveri, alle questioni del lavoro e della disoccupazione, alla denuncia della sperequazione sociale, alla scandalosa ricchezza dei ricchi e allo stesso tempo al dovere dell’accoglienza e della solidarietà, dell’impegno al fianco dei più deboli, richiami ascoltati e letti più volte nei discorsi e negli scritti di Martini o di Tettamanzi. Un’altra Chiesa ha cercato d’imporsi via via durante un anno, il primo per intero di Scola, nella diocesi, rompendo una tradizione, una storia, quel “rito ambrosiano”, che era immergersi nelle pene della città e battersi per richiamare su di esse l’attenzione ma anche per provare a sanarle. Una Chiesa cattolica, che un tempo si misurava con i disagi della collettività, si ritrae su se stessa.Ai primi di giugno, per le giornate della famiglia, calò su Milano anche papa Ratzinger. Pochi giorni dopo Giuliano Pisapia annunciava che si sarebbe avviato il registro delle coppie di fatto. Che riguardava ovviamente coppie omosessuali (ma non solo). Il sindaco l’aveva promesso in campagna elettorale. Si farà il registro delle unioni civili e si ricorda una mattina in piazza della Scala la coda per entrare a Palazzo Marino e porre le prime firme. Il sindaco ha dato prova di coerenza e di fermezza. Non sarà un passo decisivo verso la felicità, ma Milano si presenta più laica, più equa, più sensibile, più vicina in fondo al suo popolo. Sarà un pregiudizio positivo, ma con Pisapia sembra ricostruirsi una qualche forma di rapporto tra l’amministrazione pubblica e i cittadini. O almeno lo sguardo dei cittadini è di fiducia oltre che di attesa.Vorrei concludere ricordando che è stato un anno senza Giorgio Bocca, morto il 25 dicembre 2011. È una voce che ci manca e anche questo silenzio sembra rappresentare simbolicamente il declino di un mestiere nella caduta che ha colpito tutti giornali, anche monumenti come il Corriere della Sera e il suo editore. Il palazzo di via Solferino nelle mani di qualche oligarca russo o di un fondo americano e le redazioni acquartierate in un palazzone periferico non sono fantasia e sarebbero un colpo a uno degli ultimi miti di una “capitale”.http://www.arcipelagomilano.org/archives/22887