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Mafia alla meneghina. Dialogo con Giampiero Rossi


di Maria Teresa Manuelli Siccome la mafia non dorme mai, men che meno nel capoluogo lombardo, e siccome i fatti di cronaca degli ultimi giorni ci ricordano che non si deve mai abbassare la guardia, vi riproponiamo il libro di Giampiero Rossi Mafia a Milano. Sessant'anni di affari e delitti con una breve intervista all'autore. Ricordiamo che il volume è edito da Melampo Editore ed è scritto insieme ai colleghi Mario Portanova e Franco Stefanoni. Introduzione di Nando Dalla Chiesa. La prima edizione del vostro libro risale a quasi 16 anni fa. Da allora cosa è cambiato a Milano e nei milanesi? E perché fare una seconda edizione? La prima edizione uscì nel 1996. Allora, quando andavamo in giro a presentarlo, la gente mostrava un certo stupore: "Ma come, davvero abbiamo tutti questi mafiosi qui vicino a noi? Nel nostro Comune, o quartiere? Ma non non ci siamo accorti di niente...". La politica negava e diceva che c'era qualche mafioso isolato e che era "un tema cavalcato strumentalmente dall'opposizione e da certa stampa". L'economia raccoglieva l'allarme e lo faceva, formalmente proprio, "perchè l'economia illegale fa male a quella legale e sana". Nel 2011, 15 anni dopo: la gente non mostra più stupore e, anzi, alle presentazioni in periferia o nei piccoli paesi ci sommerge di informazioni, percezioni, segnalazioni, sospetti, consapevolezze. La politica, quella politica, dice che è  "un tema cavalcato strumentalmente dall'opposizione e da certa stampa". L'economia, che nel frattempo è stata mangiata a bocconi dall'imprenditoria mafiosa, soprattutto in settori come le costruzioni, si è mostrata permeabile, ben disposta nei confronti del denaro che, sempre e comunque, no ha odore. Insomma, soltanto la società civile è davvero cresciuta, su questo terreno, ha tutte molte consapevolezze, la politica e l'imprenditoria, invece, sono molto più indietro rispetto alle regioni del sud, quelle che hanno storica consuetudine, nel bene e nel male, con  le mafie.  La giunta Pisapia e tante amministrazioni dell'hinterland si stanno attrezzando, ma la parola mafia è ancora  oggetto di dibattiti a volte stucchevoli tra maggioranze e opposizioni di turno. Perché in Lombardia finora di mafia non si era mai parlato? E adesso, se ne parla davvero? In realtà qualcuno ha cercato di parlarne. Noi, per esempio, con quella prima e più "magra" edizione del 1996 (e ci stavamo lavorando dal 1992). La procura di Milano in quegli anni ha operato più retate, inchieste, ha smantellato e smascherato più trame mafiose rispetto a quanto avveniva a Palermo, Napoli o Reggio Calabria, anche perché c'era parecchio "arretrato" da recuperare. Qualcosa come più di 2.000 arresti per mafia, puntualmente confermati ai processi. Però i giornali, i grandi giornali, avevano un'attenzione solo occasionale al tema, mai un'inchiesta, mai un minimo di continuità. La parola "mafia" sparata nel titolo il giorno dopo una grande operazione e poi più nulla. Non c'era memoria... e per occuparsi di vicende di mafia la memoria è indispensabile. Lo è per chi deve indagare, ma anche per chi deve raccontarla. Possiamo dire che noi, allora, per quanto giovani e ancora non smaliziati, forse abbastanza inconsapevoli, avevamo questo gusto per la memoria, appreso alla scuola del mensile "Società civile", dove Mario Portanova, Franco Stefanoni ed io ci siamo conosciuti. Oggi, tuttavia, c'è una nuova leva di cronisti, in quasi tutti i giornali, che sa di cosa stiamo parlando e segue con la memoria che prima mancava le saghe di certe famiglie mafiose, giunte alla terza generazione qui al nord. In cosa differisce la 'nostra' mafia? E comunque si può parlare di una sola mafia in Lombardia? A Milano, in Lombardia, nel nord Italia non esiste una sola mafia ma sono ben presenti tutte le mafie di origine meridionale: Cosa nostra siciliana, n'drangheta calabrese, camorra campana, Sacra corona unita pugliese. Oltre alle reti criminali straniere (di quella cinese in particolare Giampiero Rossi se n'è occupato, insieme a Simone Spina, nel libro I boss di chinatown, sempre con Melampo Editore, ndr), che però lavorano su segmenti della filiera criminale che i grandi clan hanno ceduto. In passato, fino agli anni '90, queste mafie agivano in perfetta federazione, spartendosi affari e territori, senza pestarsi i piedi per non attirare attenzioni. Oggi c'è un netto predominio della 'ndrangheta, che di fatto ha colonizzato molti spicchi del territorio attorno a noi, conquistando anche tante "amicizie" in politica e nell'economia "padana". Nessun partito escluso.
A Milano che rapporto c'è tra mafia e giornalismo?
 
Non si può certo parlare di connivenze di alcun tipo, così come non si può dire che vi sia qualcuno, finora, che davvero si trovi in pericolo per aver scritto di mafia. In passato - e nel nostro libro se ne parla per molte pagine con dovizia di ricostruzioni storiche e citazioni - c'è stata una certa "sufficienza", sfociata da un lato nella vecchia polemica dei "professionisti dell'antimafia" cavalcata anche dai giornali "milanesi". Ma stiamo parlando degli anni '80, anni "pericolosi" da più punti di vista, anche per qualche grande testata.
 
 
Quale verità ti ha più sconcertato scoprire?
 
Purtroppo non lo dico con enfasi particolare, ma con sincero allarme: quando abbiamo assemblato le nuove parti del libro per questa nuova edizione, mi sono davvero spaventato nel constatare l'avanzata delle famiglie calabresi nella nostra economia. Se non si crea una diga solida e permanente, a tutti i livelli, politico, economico, giudiziario, civile, culturale, anche le città del nord rischiano davvero una brutta fine. Il rischio ultimo è che un giorno la mafia non avrà più nemmeno bisogno di fare la mafia.
       
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