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L'arma del buon giornalismo contro i criminali


scavuzzo e saveriodi Laura Barsottini Legalità, lotta alla criminalità organizzata, importanza dell’informazione. Oggi alle 10 presso il teatro Grassi di via Rovello, 2 a Milano, si è tenuta una tavola rotonda aperta alle scuole superiori della città dal titolo: “Giancarlo Siani, un eroe contemporaneo”. Moderati da Saverio Paffumi, giornalista freelance e presidente della cooperativa editoriale FreeMedia, si sono incontrati Paolo Siani, medico, presidente della Fondazione Polis (Politiche integrate di sicurezza per le Vittime innocenti della criminalità e i Beni Confiscati) e fratello di Giancarlo, giornalista napoletano ucciso dalla camorra a ventisei anni nel 1985 (del quale è ora in libreria la raccolta di articoli "Fatti di camorra – Dagli scritti giornalistici", ed. IOD, prefazione di Roberto Saviano), Giampiero Rossi, giornalista del Corriere della Sera e autore di “Mafia a Milano” e “La regola” sulla ‘ndrangheta, Alessandro Galimberti, presidente dell’Unci, Unione nazionale dei cronisti italiani, Gabriele Dossena, presidente del Consiglio della Lombardia dell’Ordine dei Giornalisti, e Giulia Minoli, autrice di “Dieci piccole storie così”, spettacolo-progetto di denuncia e lotta alla criminalità organizzata. Da registrare la grande e interessata partecipazione degli studenti che hanno sollevato questioni nodali sulla legalità e l’informazione: il valore del social journalism, come fidarsi del giornalismo tradizionale, come riconoscere il valore e la veridicità di un articolo giornalistico. Punto di partenza, la macchina da scrivere di Giancarlo Siani, una Olivetti Lexikon M80 ospitata per qualche tempo al Museo della macchina da scrivere di Milano. «Giancarlo», ha ricordato Paolo Siani, «non era un giornalista “fissato” con la camorra, non voleva fare l’eroe. Però era curioso di scoprire il perché delle notizie in cui si imbatteva». Incaricato dal quotidiano “Il Mattino” di seguire i fatti che accadevano a Torre Nunziata, regno della famiglia camorristica che faceva capo al clan Gionta capeggiata da Valentino Gionta, scriveva di tutto. «Ricordo», continua il fratello, «che un giorno mi disse di essere particolarmente soddisfatto di un articolo sulla chiusura di una boutique a Torre Nunziata, la Fagiò. Mi disse di aver scoperto che Fagiò stava per Famiglia Gionta e la boutique era un punto di riciclo di denaro sporco». «In Italia», ha detto ancora Siani, «è in corso una guerra. L’unico modo di combatterla è con l’arma della cultura. Un recente studio sociologico su Napoli dice che il 5% dei bambini che nascono sono figli di mamme con la licenza elementare. Il 34% sono figli di madri si e no con licenza media. Significa che tra dieci anni avremo 30mila ragazzi a forte rischio di arruolamento nelle file dei camorristi. Oggi a Napoli c’è il fenomeno delle baby-gang, poco indagato e documentato: si tratta di adolescenti che escono di notte e sparano per esercitarsi. È a questi ragazzi che va data una chance. Appena nascono. Prima ancora che nascano. Attraverso l’educazione e la culturarizzazione dei genitori». Alessandro Galimberti ha ricordato che, a Palermo, al “Giardino della memoria”, proprio su iniziativa dell’Unci vengono ricordate ogni anno le vittime della mafia. «Concetto da estendere alle vittime anche delle altre organizzazioni criminali», ha aggiunto il presidente. «Gli uccisi non sono eroi. Ed è inacettabile che chi faccia con dignità e correttezza il proprio lavoro di giornalista, ovvero di denuncia, venga ucciso. Attualmente si sta creando nel nostro Paese lo stesso contesto culturale che vigeva qualche tempo fa, dove i cornisti erano calunniati e vilipesi. Oggi si sta diffondendo l’idea, anche grazie a certi “guru” della rete, che i giornalisti siano da demonizzare. Anche Donald Trump, l’uomo più potente del mondo, l’ha dichiarato di recente. Invece, dobbiamo imparare a stare vicini ai cronisti che raccontano, documentandole, le notizie scomode. E non cantarli come eroi dopo la loro uccisione». «Per i giornalisti esiste il reato a mezzo stampa», continua. «Ed è giusto: se un giornalista sbaglia, deve renderne conto. Negli ultimi tempi, la politica ha allargato il fronte della punibilità. Però questo non succede in rete: nella rete mancano le regole. Tutti possono postare ciò che vogliono e poi, eliminare i file, diventa impossibile. Google e compagni non vogliono regole, perché il loro fine è fare profitti. Invece servono regole internazionali condivise». «Il pubblico siamo noi», ha ripreso il concetto Giampiero Rossi. «Il mezzo non dovrebbe essere importante, non dovrebbe cambiare le regole. E il giudice sono i lettori. L’unità di misura non possono essere solo i click sui post dove si intravedono le mutande. Decenni di certa Tv ha annacquato l’informazione per sopravvivere: per interesse di potere che è poi interesse economico. Poi ha denunciato: «Qui a Milano, in questo momento, l’infiltrazione della ‘ndrangheta calabrese è molto forte. La criminalità organizzata ha interessi soprattutto nelle grandi opere, è forte nel “movimento della terra”, che è il primo gradino della filiera. Su dieci camion di terra che si vedono passare, sette sono collegati in qualche modo all’ndrangheta. Dobbiamo renderci conto che si tratta di una realtà radicata tra noi, anche qui nel profondo nord: a Paderno Dugnano, i boss si riunivano al circolo Arci intitolato a Falcone e Borsellino. Di buono c’è che la cultura dei giornalisti sta cambiando e sempre di più sono quelli curiosi, che approfondiscono le notizie delle agenzie di stampa. E che cercano di convincere i propri capiredattori che seguire con costanza un certo tipo di notizie non è ripetizione. Bensì, come ha detto l’ex presidente della Regione Campania Antonio Bassolino, “una goccia che scava la pietra”». Perché le organizzazioni criminali riescono ad ammortizzare una denuncia una tantum, quella da scoop. Ma non possono fare i conti con un giornalismo di osservazione e approfondimento che rispetti le regole deontologiche della professione e sia un’alternativa credibile alle fake news e al social journalism.   L’iniziativa è stata sponsorizzata dal Comune di Milano nella persona della vicesindaca e assessore all’istruzione Anna Scavuzzo, organizzata dalla cooperativa editoriale FreeMedia e dal Museo della macchina da scrivere di Milano (via Menabrea, 10 www.museodellamacchinadascrivere.org) e promossa dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti e dal Consiglio regionale della Lombardia dell’OdG. (Nella foto, la vicesindaca Anna Scavuzzo parla con gli studenti intervenuti al Piccolo e alle sue spalle la macchina da scrivere di Giancarlo Siani, un ragazzo poco più grande di loro quando venne ucciso, ed il coordinatore del dibattito Saverio Paffumi)
       
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