Aggiornato al

La Rai, e l'arte dell' "ammuina"


di Maxia Zandonai 

La Rai, il caso Villari e l'arte antica di "facite ammuina".  Una storia senza tempo. Che si può raccontare così.

°°°°°

 Un ufficiale napoletano, Federico Cafiero (1807 - 1889), passato dalla parte dei piemontesi già durante l’invasione del Regno delle Due Sicilie, venne sorpreso a dormire a bordo della sua nave insieme al suo equipaggio e messo agli arresti da un ammiraglio piemontese, in quanto responsabile di mancanza di disciplina a bordo. Una volta scontata la pena, l’indisciplinato ufficiale venne rimesso al comando della sua nave dove pensò bene di istruire il proprio equipaggio a “fare ammuina” (ovvero il maggior rumore e confusione possibile) nel caso in cui si fosse ripresentato un ufficiale superiore, con lo scopo di essere avvertito e contemporaneamente di dimostrare l’operosità dell’equipaggio. “Facite ammuina. All’ordine facite ammuina: tutti chilli che stanno a prora vann’ a poppa e chilli che stann’ a poppa vann’ a prora: chilli che stann’ a dritta vann’ a sinistra e chilli che stanno a sinistra vann’ a dritta: tutti chilli che stanno abbascio vann’ ncoppa e chilli che stanno ncoppa vann’ bascio passann’ tutti p’o stesso pertuso: chi nun tiene nient’ a ffà, s’ aremeni a ‘cca e a ‘ll à”. N. B. : da usare in occasione di visite a bordo delle Alte Autorità del Regno. Altri ordini “borbonici” che si racconta venissero impartiti alle reclute durante l’addestramento sono: il “facite ‘a faccia feroce” e il “facite ‘a faccia fessa”. Sicuramente il neopresidente della Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai, il senatore Riccardo Villari, indubitabilmente napoletano benestante, rampollo di un’importante famiglia di medici, gran tifoso del Napoli, conosce la pratica del “facite ammuina”. Probabilmente la conoscono - insieme a quella del ”facite ‘a faccia feroce” e del “facite ‘a faccia fessa” - anche coloro che, nel variegato fronte del popolo dell’opposizione, hanno gridato al “regime” e alla “dittatura argentina”. Perché quello che è stato certo fin dal primo momento, sin dalla conta delle schede, era che, dallo schieramento di Villari, arrivavano una scheda bianca e due voti. Ovvero che lo stesso (“ma per fortuna che c’è il”) Riccardo (“che da solo gioca al biliardo, non è in grande compagnia, ma è il più simpatico che ci sia!”) si era votato. E che era tutt’altro che sorpreso dell’elezione. Già dal lunedì precedente il voto sapeva che la sua nomina era ormai più o meno decisa (“Evidentemente ho degli estimatori bipartisan”, scherzava con gli amici). Dopo 152 giorni di tentativi falliti e 43 riunioni andate a vuoto, Villari ha quindi “inspirato” la “fumata bianca”, spento i numerosi telefonini e per qualche istante si è goduto la nomina in un piccolo bar romano a pochi passi, guarda caso, da viale Mazzini. Ha quindi assicurato, a detta di Veltroni, di volersi dimettere, ma “solo dopo aver informato dell’evolversi della situazione le massime cariche dello Stato”. Ha poi precisato che la sua nomina “è purtroppo il frutto di una normale decisione democratica varata da un organismo democratico”. Poi ha sagacemente ufficializzato di “essere pronto a dimettersi se il Pd troverà un nuovo nome sul quale convergere” (ben sapendo che le probabilità di convergenza nel Pd sono pari a quelle di vincita al Superenalotto, ovvero 1 su 622.614.630). Intanto il Riccardo è ancora lì, e a lui sembra non dispiacere affatto. Porge il suo petto ai dardi, come San Sebastiano, ma da medico non se ne cura. Rimarrà a lungo, e lui lo sa. E probabilmente anche gli altri - che urlano al colpo di tv di stato - o “ci sono” o “ci fanno”. Vale il "facite 'a faccia fessa" o il "facite 'a faccia feroce". Era evidente che, dopo 5 mesi di “cul de sac”, non c’era altra soluzione per trovare una via d’uscita. La Rai agonizzante, con un Cda incompleto, scadente e scaduto, Pannella in perenne sciopero di qualche cosa, l’Usigrai in via del Seminario davanti a San Macuto (angolo via del Corso…), con tanto di poltroncine dei puffi pronte per il prossimo Cda: per non perdere quel poco che le rimane della faccia la politica “doveva” inventarsi qualche cosa. Non foss’altro per non rimandare oltre la spartizione delle spoglie di quanto rimane del fu servizio pubblico. A dimostrare il grado di decomposizione dell’eterea salma l’ultimo sondaggio rivolto al pubblico dal prestigioso Tg1 di Riotta: “Siete favorevoli o contrari alla sentenza della Cassazione su Eluana Englaro?”. Un’idea degna di Pilato, ricordandosi che poi la folla votò per Barabba. Tornando a Riccardo Villari, più preoccupante, da un certo punto di vista, è che gran parte della stampa abbia tenuto e tenga bordone a questa “ammuina”. Bisognerebbe invece ammettere che un epatologo, considerati gli effetti collaterali dovuti alla somministrazione di certi programmi Rai, è quanto di meglio ci sia per la Commissione di Vigilanza. Villari, sin dagli anni Ottanta, ha agilità politiche da far invidia ad Alberto Tomba: vincenzoscottiano, demitiano, buttiglioniano, mastelliano, rutelliano, franceschiniano, mariniano, financo dalemiano (non risulta ancora una corrente villariana). Egli sottende in realtà quasi tutto l’arco costituzionale del centro della politica. Ideale per la Rai. “Nù poco sfaticato”, come lo definisce il suo mentore Mastella, è perfetto per i “fannulloni” del servizio pubblico. La domenica va a Capri: non a caso due delle quattro proposte di legge che ha presentato come senatore riguardano “misure a sostegno delle isole (dei famosi?) minori” e l’”istituzione dell’Osservatorio dei porti turistici e della nautica” (ovvero il programma di Raiuno “Linea Blu”). Da buon democristiano è sposato e divorziato, da buon napoletano è garbato, moderato, accorto. Come ogni rappresentante del Pd che si rispetti è pieno di soldi. Alle votazioni in Parlamento è stato presente 3.325 volte su 4.875 (il 68,2%, appena sotto la media, come lo share della Rai). E’ anche andato, a testimonianza della buona fede, 19 volte in missione. Onestamente ha dichiarato: “Io non ho trattato niente, non ho fatto baratti”: qualcun altro, con buona probabilità, lo ha fatto per lui. Ha chiarito, anche lui, di non aver sentito Walter Veltroni: “Ho solo parlato con qualcuno del suo entourage… probabilmente, l’altra sera, al cellulare, ci siamo capiti male… purtroppo a San Macuto c’era un tale trambusto…”. Forse Villari ha tradotto dal napoletano “ammuina”. Intanto il sodale di Saccà, il consigliere d’amministrazione Giuliano Urbani, considerata la “necessità che si arrivi a un nuovo vertice della tv pubblica per prendere decisioni, alla luce della crisi economica e quindi della scarsa raccolta pubblicitaria, non più procrastinabili” (intendesi rischio di crack, ndr), suggerisce una soluzione “ponte”. Vista l’impossibilità di trovare in Vigilanza una maggioranza dei due terzi per l’elezione del presidente del Cda Rai, “si potrebbero - dice Urbani al Messaggero – intanto rinnovare gli otto consiglieri per cui basta un voto semplice. Si aprirebbe un periodo di reggenza del consigliere anziano”. Come successe tre anni fa con Curzi, prima di trovare un’intesa a palazzo Grazioli con Petruccioli candidato dell’opposizione. Anche oggi la scelta del presidente può essere tranquillamente posposta. Urge però scardinare l’attuale quattro più quattro con voto doppio all’ex collaboratore di Occhetto e sostituirlo con un meno musicale cinque più tre. E, certo della riconferma da parte del Pdl, Giuliano Urbani - compagno solo della focosa Ida Di Benedetto - sarebbe imbattibile, in mancanza di Curzi, come presidente pro tempore. Mentre Villari, che rischia una formale espulsione dal Pd - come Riccardo I Cuor di Leone - può puntare ad essere il “re” che ha passato più anni fuori dal suo regno che in patria. 

 

       
    Il sito Archivio notizie

logo nuova informazione