Redazione
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La Grande Speranza di un ottimo giornalismo
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Una di noi, non importa chi - perché nella Grande Speranza delineata da Oreste Pivetta (vedi articolo precedente) ci riconosciamo tutti - ha lanciato un grido d'incoraggiamento: "Forza Oreste, trova un editore o qualche finanziatore, crowdfonding o altro e poi fai il direttore di questo bellissimo giornale di cui hai tratteggiato le linee editoriali, dacci una speranza in un mondo giornalistico migliore". Una speranza che si accompagna alla Certezza che, così come esistono ancora ottimi giornalisti, altrettanto esistano ottimi lettori oggi orfani... Lo ricopiamo, l'intervento di Oreste, così che eventualmente possa essere rilanciato con un unico link. Sai mai che un ottimo editore sia in agguato... Non c’è dubbio che gli ultimi siano stati giorni assai intensi per noi tutti. Ne abbiamo viste di tanti colori, colori tendenti al grigio tutto sommato assai meno pauroso tragico doloroso del nero che domina il cielo di Gaza. Tuttavia, ripeto, ne abbiamo viste di tanti i colori dal contratto in poi (lo cito solo per riferimento temporale). Comincio dai dati che certificano il calo della diffusione dei giornali, il crollo della pubblicità, la crisi dell’informazione on line, continuo con la liquidazione di Ferruccio De Bortoli (liquidazione in tutti i sensi), la chiusura dell’Unità, la “fusione” Stampa-Secolo XIX. Ignoro lo stato di salute di Mondadori (mi giungono solo notizie sparse e assai tristi), sappiamo ben poco dei piani di ristrutturazione Rai e, colpevolmente, dimentichiamo le mille crisi sparse lungo la penisola, da Milano in giù. Nell’infelice contesto nazionale, politico, culturale, che conosciamo. I numeri della crisi erano prevedibili. Credo che a Ferruccio De Bortoli sia stato recato un torto: che un rapporto si chiuda è naturale, ma c’è modo e modo per chiudere tra persone per bene (De Bortoli mi pare lo sia e chi solleva lo scandalo per l’entità della sua liquidazione fa rumore ignorando le leggi del “mercato” che ci siamo scelti). Credo inoltre che un torto lo si stia recando al suo successore, che sarà un bravissimo professionista, ma rischia di passare per il classico cane da guardia: etichettato alla nascita. Mi spaventa la fusione Stampa – Secolo XIX. Quali sinergie metterà in campo Marchionne? Quale sarà la nuova Mirafiori? I conti del Corriere li faranno a Detroit o ad Amsterdam? Chi pagherà mobilità e prepensionamenti degli “esuberi”? In un eccesso di autocensura non dico nulla a proposito della qualità dell’informazione oggi. Non posso tacere le preoccupazioni per il futuro: assisteremo all’avvento del giornale monoculturale, che si mangerà tutto, cioè quel poco che si salverà? Esempi alle spalle non mancano. Tuttavia non mi posso negare, proprio di fronte alle ultime notizie, qualche forma d’ottimismo, non solo perché non mi nego la speranza che la crisi, quella grande, prima o poi si addolcirà, ma anche perché crisi –e qui torno alla nostra stampa- significa movimento e prima o poi qualcosa di buono dal movimento potrebbe emergere e poi perché nella tragedia culturale di questo paese mi pare sopravvivano minoranze politicamente, culturalmente, eticamente “virtuose”, non ancora inquinate dal morbo del qualunquismo e dell’antipolitica e del grillismo (mentre i manganellatori grillini brindano esultanti alla morte del giornale fondato da Antonio Gramsci, ma non alzano un dito davanti alla “festa” mediatica che ci stanno preparando), minoranze capaci intellettualmente e moralmente di reagire al piatto unico delle news. Per questo non sono pessimista neppure per l’avvenire dell’Unità, le ragioni della cui fine sono state largamente raccontate: contraddizioni esasperate nel rapporto con il partito di riferimento, rinuncia o difficoltà a definirsi secondo una nuova identità, pessima gestione, inserzioni pubblicitarie inesistenti...altro si potrebbe aggiungere… io penso soprattutto al tracollo di quella idea di appartenenza che aveva contraddistinto il sistema dei partiti in Italia. Tuttavia, ripeto, sono ottimista. Sono convinto che di fronte “al piatto unico” e a una minoranza non assopita, basterebbero un editore coraggioso, un collettivo agguerrito, un concetto forte di informazione che rinunci ai modelli e agli stili imposti dai leader del sistema (volete il nome di una “cattiva maestra”? Repubblica! ), alle ipocrisie e alle accademie, per provare almeno a giocare una partita difficile ma fondamentale per il pil mentale (e quindi economico) del paese. Come? Intanto imparando a vedere la realtà, rinunciando alle immaginette della dietrologia politica. Considerando il lettore eventuale con rispetto, non come un raro mostriciattolo da intrattenere, a base di illazioni, interviste alla fidanzata di Silvio e di ricette. Forse pure riflettendo un poco sul nostro passato, sulle stagioni migliori del nostro giornalismo (che è stato capace anche di grande coraggio e di grande onestà). Oreste Pivetta p.s. per caso, mi è capitato di leggere qualcuna delle recensioni teatrali di Gramsci (siamo negli anni venti e trenta): sarebbe il caso di dare un’occhiata, almeno da parte di chi crede ancora nei giornali, nel giornalismo, nei giornalisti.