Il prezzo della credibilità

Mi sembra evidente che è arrivato il momento di chiarirci e di chiarire alcuni punti fondamentali, approfittando del dibattito su "colui che non nominerò più". Che differenza c'è tra libera espressione del proprio pensiero e giornalismo? Non sono, come alcuni vorrebbero sostenere, la stessa cosa. Fare il giornalista per me vuol dire raccogliere informazioni, verificarle e porgerle a un pubblico che non le conosce nella versione il più possibile vicina alla verità dei fatti. Sono lontani i tempi in cui la gente si fidava, quando "l'ha detto la televisione" era sinonimo di verità. Ora viviamo in un tempo in cui pesa di più l'interpretazione della notizia, ed è purtroppo la prima, non la seconda, ad indossare i panni della verità. Un commento, per essere giornalistico, deve essere basato anch'esso sulla verità. La libera interpretazione diventa qualcosa di diverso. I commentatori, quindi, non necessariamente devono essere giornalisti. Chi dà una notizia, invece, deve esserlo, e deve assumersi tutte le responsabilità, deontologiche e non solo, del caso. Ben venga, dunque un meccanismo sanzionatorio che preveda pene pesanti per l'esercizio abusivo della professione. La legge (art.343 C.P. - 6 mesi di detenzione - rinforzato dal pronunciamento n.11545 del 23 marzo 2012, sezioni unite della Cassazione) esiste, ma non mi risulta sia mai stata applicata ai giornalisti. L'Ordine, per quanto disastrato e inquinato dalla presenza massiccia di Consiglieri che poco hanno a che fare anche solo con le tutele previste dall'art. 21, cerca e ha cercato di fare la sua parte. Ma non mi pare abbastanza.

 Non sono, anche se qualcuno lo pensa, giustizialista e forcaiolo. Ma perché chi esercita abusivamente la professione di avvocato, di medico o di dentista rischia la prigione e Farina (assieme a chi ha "favoreggiato" il suo reato) non rischia nulla, se non l'espulsione da un albo da cui si è già autoespulso? È una sanzione bastevole a fungere da deterrente? L'esperienza ci insegna di no