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I "corsi" e Sergio Rizzo. Critiche, ironia e fonti romane


di Oreste Pivetta IMG_0830.JPGE’ davvero questione di primaria importanza la formazione permanente continua dei giornalisti, se il Corriere della Sera ha deciso di dedicarvi domenica scorsa (30 novembre) mezza pagina, impegnando nella stesura dell’articolo uno dei suoi più brillanti redattori, Sergio Rizzo, che ha consultato regolamenti, letto titoli, interpellato autorevoli protagonisti della vicenda (ma perché solo a Roma?), traendo spunti per esercitare la propria ironica scrittura, testimoniando un’altra volta e da un punto di vista particolare lo stato confuso se non comatoso della stampa italiana. Rizzo comincia ricordando che la formazione è imposta ai giornalisti da una legge dello stato (legge che risale all’autunno del 2011), come per tutti gli ordini professionali, avvocati notai veterinari architetti ecc. ecc., sulla base di una direttiva dell’Unione europea. Norma assurda, spiega Rizzo, sostenendo che i giornalisti sono professionisti per modo di dire, perché non hanno “clienti”, al contrario di avvocati notai veterinari architetti ecc. ecc. Non solo: essendo gli italiani gli unici giornalisti iscritti a un Ordine sono anche gli unici in Europa a dover rispettare un simile onere. Perché onere? Forse si dovrebbe cominciare a pensare come la formazione e l’aggiornamento possano diventare opportunità, occasioni che ogni bravo giornalista dovrebbe cercare, inseguire, desiderare, soprattutto nel momento in cui la professione vive una gravissima crisi, il mondo vive un formidabile trambusto, le tecniche vivono una rapidissima trasformazione (me ne rammarico, essendo nato cresciuto e invecchiato nell’era della carta, ma come si fa a pensare ancora ad un giornalismo di taccuino, penna e macchina da scrivere sulle ginocchia come ai tempi, gloriosi, di Montanelli, di alata scrittura, di brillanti metafore, di forbite citazioni, di italianissimi e classici orizzonti, mentre il numero dei lettori tradizionali, compresi quelli del Corriere, crolla, se siamo assediati da una infinità di modi per comunicare?). Meglio se formazione e aggiornamento vengono forniti gratis, ovviamente, come cerca di garantire l’ Ordine almeno per alcune fasce di sapere (ad esempio, per la deontologia: non sarebbe poi male se un giornalista la conoscesse, magari “frequentando”, senza neppure muoversi da casa, il corso on line, dieci crediti, quattro o cinque ore di lettura senza sborsare un euro). Ovviamente il collega Rizzo ha ragione a ironizzare a proposito di certi “corsi” di formazione o di un Credit Day – sanatoria laziale (di cui peraltro non esiste traccia tra le carte dell’Ordine nazionale) che regalerebbe a chiunque (a Roma) facesse atto di presenza i crediti necessari a completare il bottino annuale. Per gli esempi che propone dovrebbe comunque chieder conto ai suoi interlocutori romani. Ma il problema esiste e non è un caso che una componente del Cts, il Comitato tecnico scientifico che dovrebbe appunto sovrintendere nazionalmente alla formazione, abbia proposto una misura di controllo secondo la quale ogni partecipante a un corso dovrebbe rilasciare un “voto di gradimento”. E’ l’unica arma di verifica per un Comitato tecnico scientifico, che purtroppo si deve limitare ad un giudizio burocratico sulla base di alcuni parametri (luogo, data, congruità del titolo, costo), mentre la qualità (dei temi e dei relatori) spetta unicamente agli ordini regionali, oberati di lavoro, soprattutto alcuni ordini regionali schiacciati dalle richieste degli iscritti, migliaia di iscritti (Lazio e Lombardia, in prima fila). Ma Rizzo – dicevo – ha ragione: troppe imbarazzanti esibizioni (anche di colleghi un poco narcisi) passano troppo facilmente per corsi di formazione e troppi eventi che sanno lontano un miglio di pubblicità sono stati rivestiti all’ultimo momento della patina dorata della formazione (anche una crema di bellezza ha offerto argomenti di studio). Posso però rassicurare Rizzo che seguendo i programmi anche distrattamente avrebbe potuto imbattersi in “giornate” che avrebbe apprezzato: potrei segnalarne alcune. Non nego che qualche mercato vi sia stato, ma i giornalisti non pagano in euro, tuttalpiù in voti (siamo vicini al congresso della Fnsi!). Non tutto dunque si declina in burletta (“Condoni e punti ai relatori/ I corsi burletta per giornalisti” il titolo del Corriere: mi chiedo anche perché mai i relatori non dovrebbero essere gratificati da qualche credito, due magari) , ma il problema esiste, oltre le incertezze di un breve tumultuoso rodaggio, oltre le ostilità o le diffidenze (in primo luogo dei giornalisti), oltre gli appetiti (di qui la corsa degli enti formatori, tali –ricordo a Rizzo – per decisione del ministero e non dell’Ordine, nella speranza di chissà quale commercio: ricordo un seminario di altissimo livello proposto dall’Università Bocconi, alla modica cifra di cinquemila euro, al quale con certezza nessun giornalista si presenterà). Il problema della formazione di vecchi e nuovi giornalisti esiste, ma la possibile soluzione (o una possibile parvenza di soluzione) potrebbe comparire tra le voci di una riforma dell’Ordine, istituito da una legge che è arrivata ormai a cinquantaquattro anni di età, del tutto inadeguata a governare un mondo che si è ribaltato. I nemici della riforma sono tanti, anche tra i giornalisti e soprattutto tra i consiglieri dell’Ordine (centocinquanta, tra professionisti e pubblicisti, e non centoventi, come ha scritto Rizzo) , ma è sempre utile ricordare che a scrivere la riforma dovrebbe essere il Parlamento. Siamo in attesa da anni e dovremo continuare ad attendere.



       
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