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"Gaba" poteva dire di più, ma intanto ha detto molto


gabadi Saverio Paffumi Provo a dire due cose, anche in quanto ex Unità, ma non solo. Prima di scrivere ho guardato il servizio e condivido le parole di Maxia. E’ un approccio “diverso”, ma giornalisticamente molto efficace, sul lato oscuro della Luna. Oscuro al punto che, mi pare lo stesso Oreste dica “di non aver saputo nulla ai tempi e di non saper nulla oggi". L’immensa tristezza che ci assale nel vedere gente che aveva una dignità da difendere - non solo la loro, anche la nostra e quella di una storia importante! - mendicare denaro da un ricco quanto squinternato, compassionevole figuro, è il frutto di una rivelazione che è a tutti gli effetti una notizia. E che gente: su su fino a Bersani, a quanto pare. Pecunia non olet. Insomma, delle due l’una: o è un falso o è una notizia; perché tutta questa acredine contro i colleghi di Report? E’ vero o non è vero che l’azionista Falco, pur avendo la maggioranza, era vincolato da un patto riservato che gli toglieva ogni potere decisionale a favore del PD, detentore di una quota irrisoria? E quale può essere stata la merce di scambio tra un imprenditore che accetta tali forche caudine e il PD? E ancora: sono questi i metodi degli eredi (prerenziani) della “questione morale”? E’ questa la “trasparenza” per la quale si battevano e si battono? E’ vero o non è vero che in quattro o cinque colleghi (di un giornale in crisi a rischio chiusura) guadagnavano più della redazione messa insieme, per non dire dei collaboratori esterni pagati poco o qualche volta niente? (fate caso quando l’ex amministratore delegato dice che i suoi 180 mila euro l’anno, benefit esclusi, in fondo erano solo il quinto stipendio in ordine di grandezza dopo direttore, vicedirettore…). Il problema, che giustifica l’amarezza, ma probabilmente non una critica così severa per la parte del servizio che abbiamo visto, nasce dalla parte che non c’è: basta guardare le cifre - se non le ho lette male - per capire che con la crisi dell’Unità i pochi milioni messi da Mian c’entrano poco o niente. E’ chiaro che il servizio non tocca quella che oggi è la vera ferita aperta: la brutta fine di un giornale che nonostante le cattive gestioni ha avuto una grande storia, una grande funzione culturale politica e sociale. Un DNA che probabilmente poco ha a che fare con le idee di Veneziani. E qui c’è del cinismo in Report, non so fino a che punto voluto o malaccorto. In più di 35 minuti (un’eternità in tv) non ci si sforza mai di dar voce al problema dei posti di lavoro perduti o in sospeso, alla posizione dei colleghi dell’Unità, del sindacato e del Cdr. Pare soprattutto una questione tra il Partito Padrone con l’amministratore furbetto e i cittadini derubati. Così, alla fine, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci rischia di sembrare poco più di una zombie tenuta in vita o resuscitata dai soldi dei contribuenti, un giornale “assistito” che meriterebbe di chiudere (al di là di alcune parole di circostanza spese dalla stessa Gabanelli). Questa impressione, che alla fine il servizio di Report lascia ai telespettatori, è sbagliata profondamente e merita il disappunto di Oreste Pivetta e di altri che si sono espressi.
       
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