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Freelance nel sindacato? Sì, ma come?


di Saverio Paffumi

Perchè i freelance non si sentono rappresentati nel sindacato? E, al contrario, a quali condizioni vorrebbero essere rappresentati? Un tema spinoso, complicato, difficile: ma su cui bisogna cominciare a discutere seriamente. Per questo pubblichiamo un'analisi senza sconti di Saverio Paffumi, giornalista professionista,  freelance, responsabile Dipartimento Freelance dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti e consigliere nazionale dell’Ordine. La discussione è aperta. Di Saverio Paffumi

QUALE SINDACATO PER I FREELANCE  Milano, 3/9/2009 Sommario Pag. 2 Cosa è un freelance? Partite IVA, precari, disoccupati      Pag. 3 Fermi da otto anni, come mai? Diciamo le stesse cose, ma non le facciamo, almeno dal 2001 Pag. 4 Perché questo sindacato non rappresenta i freelance? La delusione del contratto e i motivi di una sconfitta. Gli stipendi dei contrattualizzati che aumentano (poco) e i compensi degli autonomi che calano (tanto). L’incapacità di organizzarsi e lottare Pag. 5 Sindacato di Base sì o no? Cosa fare per rimediare. Uscire dalla questione nominalistica, dalle beghe fra componenti e passare alla fase costituente di un organismo eletto dai freelance Pag. 6 Sindacalisti freelance retribuiti? La caduta di un tabù resa necessaria dal grande lavoro da fare Pag. 6 L’Ordine può fare una sua “rivoluzione”? È etico un certo tipo di sfruttamento del collega sul collega? È deontologico essere complici dell’umiliazione dei collaboratori, essere parte dirigente dell’ingranaggio? È lecito assistervi con indifferenza? Pag. 7 E all’Ordine niente stipendi? Un freelance, oggi come oggi, non potrebbe “mantenersi” il lusso di fare il presidente regionale o nazionale, di accedere alle cariche più impegnative. C’è un solo modo per rimediare Pag. 7 Qualche idea nuova,  fuori dagli schemi? Oltre alle consulenze tradizionali e all’aggiornamento (da intensificare e rendere più moderno) si impone un’esplorazione senza remore di altre possibilità e servizi. Pag. 8-9-10 TRE ALLEGATI La ragazza del Bar (Barbiere delle Sera) – 2001 Adotta un freelance – Conferenza CDR 2001 Misure Anticrisi – proposte del Gruppo di specializzazione dei giornalisti dell’informazione visiva/ALG

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 Cosa è un freelance? Partite IVA, precari, disoccupati Cosa è un freelance? Sicuramente lo è un giornalista professionista o pubblicista con partita IVA, che non ha un rapporto di lavoro giornalistico subordinato. Ma va incluso, nella categoria, anche chi – pur non avendo partita IVA – di fatto è costretto dal sistema a vendere i propri pezzi, oppure il proprio lavoro, con o senza lettera d’incarico, con o senza contratti precari di varia natura. Il criterio più utile e più rispondente al vero per il sindacato è dividere chi vive (totalmente o prevalentemente) di giornalismo in due grandi categorie: chi ha un contratto a tempo indeterminato e chi non ce l’ha. Il freelance, in questa accezione molto ampia, è chi lavora come giornalista senza un contratto definitivo. Poi è utile, anzi indispensabile, operare ulteriori distinguo in sede di analisi e di attività sindacale. Ma bisogna capire una volta per tutte che chi ha davanti a sé un contratto a tempo determinato con poche certezze di rinnovo “assomiglia” molto di più a un freelance “puro” che a un giornalista a contratto ex articolo 1. Osservazione a margine ma non marginale rispetto alle dinamiche sindacali, il precario del giornalismo “assomiglia” socialmente molto di più ai precari di altri mestieri e professioni, creati dalle nuove flessibilità, che ai colleghi giornalisti protetti dal contratto nazionale e dai vari integrativi, più o meno di lusso: stesse sofferenze, stesse problematiche psicologiche e materiali, stesse esclusioni. A meno che – mi pare un’ovvietà – il precario in questione sia così ben remunerato da non poter più essere definito tale, come nel caso di molti direttori. Anche alcuni pochissimi freelance con partita IVA sono ricchi: beati loro, che del sindacato e dell’Ordine hanno poco bisogno. Non mi pare invece affatto un criterio corretto dividere i freelance in “per scelta” e “per necessità”, come a volte si fa. Chi può indagare seriamente una sfera così privata? Inoltre tutti facciamo cose “per necessità”, non dall’entrata in vigore della legge Biagi, ma direi dalla cacciata dal Paradiso Terrestre. La distinzione è del tutto irrilevante. Semmai ragioniamo sulla collocazione, nelle nostre categorie di pensiero, del “disoccupato”. Formalmente il collega disoccupato, per il nostro antiquato sistema, è il giornalista contrattualizzato che ha perso il lavoro (oggi anche se contrattualizzato a termine, ma se lo perde un freelance puro?). Superato il periodo in cui percepisce il sussidio di disoccupazione, il disoccupato – a meno che cambi mestiere o venga riassunto – deve essere considerato un freelance a tutti gli effetti. Un supplemento di riflessione per le “partite IVA” nella nostra professione. A molti di questi colleghi è stato spiegato (dagli editori, più che dai commercialisti) che aprire una posizione IVA era il modo migliore per continuare a collaborare. A volte l’UNICO modo. A molti altri, partite IVA di lungo corso – vedi i fotografi – è stato imposto sulla base dei rapporti di forza un  declino inarrestabile, sul piano di pagamenti e trattamento. Tutti i compensi, del resto – scriventi e fotografi – sono stati decurtati unilatelarmente dagli editori (ci tornerò sopra). Anche in altre professioni e mestieri avere la partita IVA non corrisponde necessariamente ad uno status sociale superiore, checché ne dicano i famigerati studi di settore. Nell’era della flessibilità selvaggia e della crisi tutto è possibile… Il paletto ostativo ai miglioramenti di trattamento per questi liberi professionisti abbandonati a se stessi è fissato spesso non dal contratto, ma dalla “legislazione vigente”. Si sappia che, in tanti casi, il paletto andrebbe comunque divelto e sostituito da regole meglio ponderate. Se non dal sindacato o dall’editore, dal legislatore. Ma il sindacato deve lavorarci. Magari insieme ad altri sindacati, all’Ordine, a parlamentari, esperti.

 Fermi da otto anni, come mai? Diciamo le stesse cose, ma non le facciamo, almeno dal 2001 La cosa che più mi colpisce, rivedendo un po’ della documentazione prodotta in questi anni, è che tutto quanto sto per scrivere oggi è già stato detto e scritto, da me e da altri. Detto, scritto, condiviso, approvato. Se le conclusioni non avessero ogni volta bisogno di un minimo di premessa potrei cavarmela in dieci righe, o – diciamo – nel 10% di questo testo. Che tanto per cominciare, invece, prende le mosse da un paio di utili letture datate 2001 allegate in coda per non spaventarvi, ma che consiglio di gustare come antipasto. Siamo invecchiati di 8 anni, tutto è invecchiato di 8 anni. Il tempo passa e neanche ci accorgiamo. Proprio così: ma le rughe si vedono tutte. Detto, scritto, condiviso, approvato, ma neanche in minima parte realizzato. Né dagli editori, né dal sindacato. Vi risparmio altri articoli, altre virgolette: fidatevi. Faccio un solo esempio: la prima volta che ho scritto di retribuzione del sindacalista freelance (il primo documento scritto a mia disposizione) risale al 2000. Da una parte, certamente, rifletto sulla mia/nostra incapacità di freelance di fare breccia nel sindacato, nei colleghi articoli uno che lo compongono (Cdr e gruppi dirigenti), ma questa forse non è una riflessione interessante per chi mi legge. Dall’altra rifletto, e su questo vale la pena di sviluppare il confronto, sulle ragioni di quella che non saprei definire se non come una immobilità pressoché ASSOLUTA, sancita e certificata dall’esito dell’ultima vertenza contrattuale che di fatto, nella parte essenziale , ci inchioda al contratto precedente dopo 5 anni di vano calvario sindacale (scusate, continuo a riferirmi ai freelance). La FNSI spende parole egrege almeno dai tempi di Montesilvano (2001, “tutela di tutti i giornalismi”), tuttavia non produce fatti. Non determina sostanziali cambiamenti contrattuali o legislativi (ovvero non influisce su Fieg e Parlamento/Governo), non modifica la sua rappresentanza in sintonia con il cambiamento della categoria, non la riorganizza, non fa nulla per renderla più efficace. Immobile il sindacato. Immobile, anzi “di male in peggio” il contesto legislativo e dei rapporti di forza.  Perché questo sindacato non rappresenta i freelance? La delusione del contratto e i motivi di una sconfitta. Gli stipendi dei contrattualizzati che aumentano (poco) e i compensi degli autonomi che calano (tanto). L’incapacità di organizzarsi e lottare. Perchè non abbiamo strappato alcun passo avanti significativo sul lavoro autonomo, in sede di confronto-scontro con la FIEG? Per due motivi oggettivi: 1) perché il lavoro autonomo non può essere considerato prioritario da un sindacato che non rappresenta il lavoro autonomo. 2) perché anche se con una illuminata e lungimirante strategia questo sindacato decide di farsene carico, in condizioni di debolezza è costretto a salvare i figli e abbandonare i figliastri. Parole dure? Vorrei arrivassero chiare, più che altro. Questo non è un j’accuse al sindacato, è un tentativo di vederci chiaro e di trovare qualche rimedio. Il mio pensiero è che il sindacato non aveva la forza e la categoria non aveva la determinazione sufficiente per conseguire un risultato utile su un terreno ove invece gli editori hanno esercitato sia la forza che la determinazione. Mentre, tanto o poco, abbiamo contato l’aumento strappato dal lavoro cosiddetto garantito, i compensi del lavoro autonomo sono stati decurtati mediamente del 30% da una grande parte di testate e case editrici, a causa o con la scusa della crisi. Assumendo i contorni di una beffa, la decisione del “cartello degli editori” di abbassare i compensi (questione che potrebbe interessare l’antitrust?, mi chiedo) è avvenuta durante la fase decisiva della trattativa per il rinnovo del contratto. Gli strumenti adottati non sono state trattative individuali con i singoli professionisti, come tutto sommato potrebbe sembrare lecito, anche se ci sarebbe da ridire, tantomeno confronti collettivi con i Cdr… bensì secche circolari o lettere di direttori. E nessuno, dico nessuno in ambito sindacale ha mosso un dito salvo spendere qualche critica (altre parole). Nemmeno l’Ordine, che pure è estensore di un tarriffario e ha voce in capitolo sui rapporti deontologici fra colleghi, è interventuto con efficacia a livello nazionale o periferico. Se dico che dopo la firma del Contratto i freelance guadagnano meno di prima, in una condizione peggiorata sotto ogni aspetto (maggiore concorrenza fra loro, maggiore arroganza dei datori di lavoro, minore dignità del lavoro, minore aspettativa di tutela) non stabilisco un rapporto di causa effetto – il che sarebbe abitrario – ma fotografo la realtà. Di questa situazione i colleghi assunti diventano complici, a volte senza nemmeno rendersene conto: il padrone sfrutta il lavoratore, il padrone e il lavoratore sfruttano il precario e il freelance. Ordine e sindacato debbono con estrema urgenza prendere coscienza delle ragioni dei propri limiti e della propria debolezza su questo terreno. Se è vero che l’attuale legislazione del lavoro non aiuta, è vero anche che la forza contrattuale ha origine nella rappresentanza. E noi il lavoro autonomo non riusciamo a rappresentarlo. Concetto che si può ribaltare: i freelance, pubblicisti e professionisti che vivono di giornalismo, non riescono a fasi rappresentare dal sindacato e dall’Ordine. Non riescono a farsi rappresentare da… qualcuno: e su questo bisogna stare attenti, perché le spinte centrifughe non mancano, non mancheranno. Non riescono a contarsi, a conoscersi, a organizzarsi. Non riescono quindi a lottare. Si lamentano, soffrono, ma non lottano, non sanno come lottare, non hanno una forma di lotta praticabile. Sono in una fase di pre-movimento. E sono fermi a questa preistoria sindacale da quanto? Dieci, vent’anni? Da quando hanno smesso di essere una quasi trascurabile minoranza.

 Sindacato di Base sì o no? Cosa fare per rimediare. Uscire dalla questione nominalistica, dalle beghe fra componenti e passare alla fase costituente di un organismo eletto dai freelance La FNSI attraverso una mozione respinta a Montesilvano e poi approvata in ben due congressi successivi a St. Vincent e Castellaneta ha individuato uno strumento per dare una prima risposta a questo stato di cose: un sindacato di base sul modello USIGRAI e Pensionati. Con l’evidenza dei fatti credo non si offenda nessuno se rilevo che il gruppo dirigente della FNSI non ci ha creduto, e si è fin’ora assunto la responsabilità di non dare seguito a quelle mozioni. I motivi sono diversi, primo fra tutti – questo però non è un fatto, è una mia opinione – il timore che uno strumento del genere rischi di essere gestito da minoranze che non sono effettivamente rappresentative dei freelance in generale, ma soltanto di quei pochissimi che sono legati al sindacato. Il serpente, insomma, si sta mordendo la coda: non esistendo una vera rappresentanza, a chi si può attribuire la titolarità della rappresentanza? È la classica situazione in cui si rende necessaria una fase “costituente”. Che sia un “sindacato di base” o che si chiami in un altro modo, l’organismo dovrà avere due caratteristiche fondamentali: - Essere costituito da freelance (almeno in netta prevalenza e salvo casi ben motivati da opportunità precise) - Essere eletto da freelance Il primo obiettivo della fase costituente dovrà essere quello di dare un numero e un volto alla base dell’organismo. Quindi una monumentale e approfondita opera di identificazione e censimento (prima fase), seguita dalla creazione di un minimo di struttura organizzativa su base territoriale (seconda fase). Le due fasi potranno in parte anche procedere parallelamente, se si vogliono accelerare i tempi. Ma in ogni caso secondo me si tratta di un lavoro lungo, che può richiedere un anno o due lavorando sodo. Ritengo che soltanto al termine di tale fase costituente sia opportuno e produttivo andare ad una elezione di un gruppo dirigente dell’organismo, attraverso un congresso o altra forma. Immediatamente, invece, va creato un gruppo di freelance sufficientemente rappresentativo delle esperienze esistenti , che si faccia carico della fase definita costituente, di concerto con la direzione della FNSI, e con gli organismi che la FNSI deciderà debbano essere coinvolti nei vari passaggi (Dipartimenti, Segreteria, Consiglio Nazionale, Associazioni Regionali di Stampa).

 Sindacalisti freelance retribuiti? La caduta di un tabù resa necessaria dal grande lavoro da fare. Si pone subito un problema, molto serio. Poiché chi fa sindacato nella FNSI e nelle associazioni regionali, anche a tempo pieno, è tradizionalmente a libro paga delle aziende editoriali, chi retribuirà i colleghi freelance che saranno chiamati a dirigere, in un numero da stabilire, una delicatissima e difficilissima fase di nascita e organizzazione del movimento? Ritengo che fin da subito si debbano trovare le risorse per retribuire al minimo sindacale, tempo pieno e/o part time, almeno 4 o 5 colleghi in Italia.  Di cui almeno uno a Milano e uno a Roma. Si tratta della caduta di un tabù fondato, oltre che sul risparmio, su un paio di presupposti che non stanno più in piedi. Che si possa dare al sindacato solo un po’ di tempo, tanto va avanti da solo (non so se è mai sato vero, se siamo mai stati così forti; certo oggi non è più vero); che il lavoro volontario evita la formazione di una “casta” distaccata dal lavoro (quel che è successo è la rappresentazione reale dell’esatto contrario). Il risultato è che oggi fa sindacato a certi livelli soltanto chi per una ragione o per l’altra mette da parte la carriera o chi è già in pensione. A mio avviso questo è un problema che affligge tutto il nostro sindacato, ma riguardo ai freelance va risolto radicalmente e subito.

 

L’Ordine può fare una sua “rivoluzione”? È etico un certo tipo di sfruttamento del collega sul collega? È deontologico essere complici dell’umiliazione dei collaboratori, essere parte dirigente dell’ingranaggio? È lecito assistervi con indifferenza?

C’è un lavoro anche per l’Ordine: è etico, mi domando, un certo rapporto di sfruttamento? Uno sfruttamento che a volte è soltanto concettuale e indiretto, in quanto riferito a una situazione complessiva (si aumentano gli stipendi mentre si riducono i compensi per le collaborazioni e mentre vengono lasciati senza lavoro i precari), altre volte è diretto, riguarda il comportamento di un certo direttore o redattore capo, o caposervizio verso certi collaboratori esterni: per esempio quando si avvallano determinati diktat vessatori da parte degli editori e si accetta di diventarne strumento, a danno dei colleghi più deboli. Siamo sicuri che sia etico per un caposervizio pagato alcune migliaia di euro netti al mese coordinare una squadra di ragazzi freelance o precari, sapendo che sono compensati con 8 Euro lordi ad articolo? È normale per un collega di un grande gruppo editoriale ordinare a un collaboratore lavori compensati 20 euro lordi a cartella compresi i rimborsi per le telefonate e la ricerca fotografica? Quanto dovrebbe scrivere o lavorare in un mese lo stesso collega per giustificare il suo stipendio lordo a parità di valutazione del lavoro giornalistico? Siamo sicuri che all’Ordine non debba neppure interessare se un direttore non si oppone a un andazzo che considera normale pagamenti a sei mesi, un anno dalla pubblicazione? Che dice l’Ordine se ai freelance un direttore chiede di farsi sponsorizzare le spese dagli stessi soggetti su cui poi scriveranno? (È la prassi, ad esempio, nel comparto dei viaggi e turismo, ma non soltanto: un freelance sa che i pezzi non devono avere costi di produzione, o devono costare il meno possibile, è già tanto se ti pagano per quello che scrivi, figurati i rimborsi!) Quanti dei freelance/collaboratori non sono né pubblicisti né professionisti, quindi per certi versi esercitano abusivamente la professione? E vogliamo parlare dei fotografi…? A quale foto editor importa se il fotografo è giornalista o no? L’Ordine insomma nel complesso che fa, sanziona, tollera, abbozza, ignora, fa finta di non vedere… almeno ne vuole discutere? Dimentichiamo per un attimo il quadro legislativo, l’azzeramento dei tariffari ordinistici (azzeramento che in ogni caso non è scritto sulle tavole dei comandamenti), diciamo cosa pensiamo noi che sia giusto e che dovrebbe essere. Stabiliamo dei codici di comportamento, dei principi di eguaglianza su cui non si transige, salvo incorrere in provvedimenti disciplinari. Il punto, prima ancora di fissare una tariffa, è proclamare che un giornalista che lavora in proprio o è precario ha la stessa dignità e di conseguenza ha diritto alla stessa dignità di trattamento. È opportuno che Ordine e sindacato operino insieme, cioè ognuno per le proprie vie e competenze, ma possibilmente in sinergia, anche promuovendo ricerche e indagini puntuali, osservatori permanenti. Nasceranno casi controversi (sempre difficile tracciare la linea di confine),  ma certe nefandezze che vediamo oggi sono lampanti e intollerabili.

E all’Ordine niente stipendi? Un freelance, oggi come oggi, non potrebbe “mantenersi” il lusso di fare il presidente regionale o nazionale, di accedere alle cariche più impegnative. C’è un solo modo per rimediare

Analogamente a quanto detto per il sindacato, non è più adeguato ai tempi basare l’attività di tutti i dirigenti dell’Ordine sul volontariato, grazie ai permessi sindacale retribuiti, alla costanza di retribuzione da parte dell’azienda anche in assenza di prestazione lavorativa, all’aspettativa con il versamento dei contributi figurativi, alla pensione e così via. Sono istituti sconosciuti agli autonomi, impraticabili dai precari, salvo forse la pensione per chi l’avrà. Per assurdo, faccio soltanto un esempio, oggi un normale freelance sarebbe impossibilitato a diventare presidente, segretario o tesoriere dell’Ordine Nazionale. Non può pensare nemmeno di ricoprire la carica di Presidente regionale.

In generale chi vive di lavoro autonomo, deve fermare il proprio livello di militanza nell’Ordine e nel sindacato a un livello molto basso e contenuto…salvo sia in grado di fare affidamento su altre risorse per vivere. Una concezione aristocratica della democrazia che non appartiene alla nostra epoca.

Qualche idea nuova,  servizi fuori dagli schemi? Oltre alle consulenze tradizionali e all’aggiornamento (da intensificare e rendere più moderno) si impone un’esplorazione senza remore di altre possibilità e servizi.

Avverto infine la necessità di idee nuove, o di riesaminare idee nuove nate qualche anno fa che poi si sono arenate. Ci sono aspetti che il sindacato tradizionalmente non cura, servizi che non fanno parte dell’azione strettamente sindacale, ma che interessano enormemente il lavoro autonomo vero e proprio e determinate aree di precariato. Il supporto al collocamento, più massicci e moderni approcci al tema dell’aggiornamento, la consulenza su aspetti imprenditoriali e di marketing, sugli sbocchi societari (fra professionisti) o la semplice condivisione di spazi e risorse, l’offerta di posti-ufficio a prezzi (molto) convenzionati: sono terreni su cui abbiamo mosso passi quasi esclusivamente teorici arenatisi sul timore di non essere in grado di gestirli (un timore che ricorre!). Credo che quel timore e l’immobilità che ne consegue facciano più danno di quel che farebbe ciò che ci spaventa. Ma anche per dare un minimo di professionalità alla creazione-gestione dei suddetti servizi, ognuno dei quali meriterebbe un approfondimento specifico, non si può pensare al puro volontariato di qualche collega già disperato di suo, “nei ritagli di tempo”. In qualche caso, inoltre, il sindacato può “gestire” direttamente, in altri può semplicemente favorire e se è il caso finanziare la nascita di associazioni e organismi specifici, esercitando un controllo più o meno stretto.

In conclusione volutamente non entro nel merito degli aspetti rivendicativi. Questo contributo di riflessione non è sulle piattaforme (ne abbiamo fatte diverse, nazionali e internazionali, ne faremo altre), ma sullo strumento che in futuro potrebbe consentirci di sostenerne una.

 

 

 

 

 TRE ALLEGATI

26.11.2001 – BARBIERE DELLA SERA Svuotando la valigia escono i gadget di La ragazza del bar La nostra inviata al Congresso della Fnsi(*) torna a casa, svuota le valige e riordina il materiale (estratto) Non me ne voglia il nuovo presidente Fnsi, Franco Siddi, uomo di molte parole, ma per me la prima voce è quella dei precari e free lance che hanno rivendicato 'regole contrattuali per dipendenti e free lance, elementi di tutela per i contratti a termine, collaboratori e precari'. Che han chiesto emergesse tutto il lavoro nero e il precariato. Che vedono nella dichiarazione d'intenti di Serventi - la tutela di tutti i giornalismi - un vero e proprio programma di lavoro permanente per la Fnsi e chiedono 'un'adeguata rappresentanza della libera professione e del precariato negli organismi dirigenti del sindacato'. 'Occorre riorganizzare immediatamente dipartimenti e gruppi di lavoro che possano proseguire nell'opera di approfondimento delle tematiche relative e nell'opera di coinvolgimento e sindacalizzazione della base reale. E' indispensabile che trovi concreta applicazione quanto già disposto nel regolamento dei Cdr a proposito di tutela di freelance e precari. Al contempo vanno studiate per questa parte della categoria forme più efficaci di rappresentanza e di raccordo con gli stessi Cdr'. Seguono 22 firme (il foglio che ho in mano mi è stato consegnato da Saverio Paffumi). (*) Montesilvano Adotta un freelance (Documento approvato dalla Conferenza Nazionale dei CDR nel 2001) L'ipotesi di accordo siglata tra FNSI e FIEG contempla per la prima volta una sia pure parziale e ancora insufficiente regolamentazione del lavoro giornalistico autonomo. La Conferenza Nazionale dei Cdr (o altro soggetto adeguato) - sottolinea che assume sempre maggiore rilevanza, nell'attività sindacale, il coinvolgimento dei colleghi freelance -  - individua nella redazione, in tutte le sue articolazioni tematiche e gerarchiche, il naturale luogo di aggregazione professionale e quindi sindacale fra giornalisti contrattualizzati e no - osserva che la precarietà in cui gli editori vorrebbero far lavorare i collaboratori esterni può alla lunga a trasformare capiservizi e capiredattori nei soggetti materialmente deputati a praticare forme di sfruttamento, attraverso la richiesta di prestazioni cui corrispondono trattamenti iniqui, retributivi e non solo. - individua il pericolo che tale situazione - in numerose realtà già in atto - determini di fatto un'apparente contrapposizione di interessi tra giornalisti freelance e giornalisti dipendenti, quasi i secondi fossero una controparte dei primi. - invita pertanto tutti i Cdr a praticare un  costante coinvolgimento dei collaboratori esterni, e a dotarsi di regole, o di aggiornare gli statuti sindacali vigenti - laddove esistono - con norme che vadano in tal senso. Si fornisce a titolo di esempio e modello il seguente articolo: E' preciso compito del CDR promuovere tutte le iniziative possibili di coinvolgimento e tutela dei collaboratori esterni utilizzati dalle varie testate. In particolare il CDR deve verificare la regolarità dei pagamenti e il rispetto del tariffario minimo previsto dal CNLG. Deve inoltre assicurarsi che il rapporto dell'Editore con collaboratori e service che producono lavoro giornalistico avvenga nel più rigoroso rispetto del CNLG e delle leggi vigenti, anche per quel che riguarda la correttezza delle informazioni fornite ai lettori e gli aspetti deontologici di dette prestazioni.  

        Gruppo di specializzazione dei giornalisti dell'informazione visiva                                  - Associazione lombarda dei giornalisti -

A  Roberto Natale, Presidente FNSI – Roma A  Franco Siddi, Segretario generale FNSI – Roma A Marina Cosi, Rappresentante FNSI nel FREG dell’EFJ – Bruxelles e p.c. A Giovanni Negri, Presidente ALG – Milano ______________________________________________      La crisi che sta investendo tutti i settori dell'editoria va a rendere ancora più tragica la situazione già gravissima dei fotogiornalisti italiani, travolti già da anni, come i colleghi di mezzo mondo, da una recessione senza precedenti e che, senza un’immediata strategia di interventi,  lascia poche speranze sul futuro stesso di questo settore del lavoro giornalistico e sulla possibilità di continuare a cercare di assicurare ai lettori il diritto ad un’informazione visiva corretta e libera da condizionamenti.      Il tutto è ulteriormente aggravato anche dal fatto che nel nostro Paese gli addetti a questo comparto del lavoro, essendo quasi esclusivamente dei liberi professionisti, per ora non vedono profilarsi neppure tutte le opportunità con le quali gli organismi di categoria stanno "soccorrendo" altri lavoratori del giornalismo e il governo altri comparti produttivi. In sostanza, negli orizzonti attuali dei fotoreporter non c’è nessun ammortizzatore sociale e nessun altro genere di provvidenza che può dare loro manforte nel tentativo di superare il tunnel dell’attuale crisi.      Davanti a questa situazione di eccezionale emergenza, il Gruppo di specializzazione dei giornalisti dell’informazione visiva dell’Associazione lombarda dei giornalisti, conscio della necessità che la categoria debba anche in questo difficilissimo momento saper mantenere alti i suoi livelli di professionalità e competitività  in rapporto all’evolversi continuo dei mutamenti  imposti dalle nuove tecnologie e dalla realtà stessa dei nuovi media,                                                        chiede che gli organismi dirigenti della Federazione nazionale della stampa italiana si impegnino a trovare al più presto strumenti in grado di favorirne un adeguamento meno traumatico alle nuove esigenze e regole del lavoro e del mercato e nel contempo di fare da volano per un suo possibile rilancio.    In alcuni casi si dovrebbe trattare di iniziative simili a quelle già da anni attuate, o in via di attuazione, in altri comparti del lavoro autonomo e delle attività produttive in generale, che prevedono investimenti economici a fondo perduto da parte, oltre che dei nostri organismi di categoria, soprattutto di enti pubblici sia a livello nazionale che europeo.    Alcune di queste iniziative tra l’altro, essendo la professione di fotogiornalista in crisi in tutta Europa, potrebbero essere  affrontate dalla Fnsi in concerto con gli altri sindacati dei giornalisti membri della Federazione Europea dei Giornalisti ( EFJ ) così da avere molto più peso, autorevolezza e diritti nel porsi come interlocutore con gli organismi dell’UE, Commissione europea in primo luogo, per sollecitare adeguati interventi economici .    Tra le iniziative più  urgenti, il Gsgiv dell’Alg

                                                     propone le seguenti come prioritarie :

1 - Fare pressione sugli enti pubblici italiani ed europei affinché anche ai fotogiornalisti liberi professionisti vengano date le stesse opportunità che hanno permesso in passato, e permettono ancora, a fotografi artigiani e ad altri soggetti configurati come esercenti "attività d'impresa", di adeguarsi alle nuove tecnologie rinnovando le proprie attrezzature con contributi a fondo perduto variabili, secondo le Regioni di residenza, dal 90 al 40 per cento. Fenomeno quest'ultimo che ha pure creato gravi situazioni di "concorrenza sleale" tra chi, giornalista come legge comanda, non ha potuto usufruire di queste provvidenze perché destinate solo agli esercenti attività d’impresa e invece chi, fotogiornalista di fatto ma giuridicamente fotografo d'altra natura, si è trovato a poterne godere a piene mani adeguando così l’evoluzione tecnologica dei propri strumenti di lavoro con significativi aiuti economici e, di conseguenza, con esborsi irrisori e più libero poi di operare sul mercato con tariffe al ribasso impraticabili invece da chi, come appunto i fotoreporter giornalisti liberi professionisti,  non ha avuto nulla a costi ridotti.

2 - Creare un fondo di solidarietà che, attraverso "borse di lavoro" a fondo perduto,  intervenga per permettere ai fotogiornalisti italiani di sviluppare concretamente progetti che portino alla realizzazione di fotoreportage di qualità. Un'iniziativa del genere servirebbe anche, sotto il profilo dell'indipendenza dell'informazione, a sottrarre almeno in parte i fotogiornalisti dal rischio dei pericolosissimi condizionamenti e conflitti d'interesse che ora si annidano nelle produzioni di reportage finanziati da entità estranee al giornalismo ma fortemente interessate ad orientarne le scelte:  fenomeno che, dopo lo stop quasi totale degli editori al finanziamento di produzioni proprie,  ormai domina nel concreto anche nei settori più delicati e sensibili del giornalismo visivo. 3 –  Intervenire per favorire l’offerta, la distribuzione e la vendita direttamente "on line" del lavoro, archivio compreso, dei singoli fotogiornalisti studiando e finanziando  la realizzazione di una "piattaforma" standard da mettere a loro disposizione a bassissimo costo, se non totalmente gratis. Questo facendo soprattutto in modo di offrire ai singoli fotogiornalisti anche la possibilità di aggregarsi poi in  forme di network nazionali e internazionali che permettano loro l’immissione del proprio lavoro in un sistema in grado di proporlo più efficacemente su orizzonti di mercato molto più globali e competitivi senza abdicare alla propria individualità operativa e senza soggiacere ai costi ( dal 30 al 60 per cento ) dell'intermediazione delle tradizionali fotoagenzie commerciali. Grazie per l’attenzione anche a nome di tutti i colleghi del Gsgiv dell’Alg , Amedeo Vergani, presidente Milano, 4 aprile 2009 GSGIV dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti
       
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