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Fra Iacopino e Lorusso ci basta una buona riforma...


bilanciadi Oreste Pivetta Dovendo discutere il Parlamento di una legge sull’editoria, cioè di una legge esattamente intitolata “Istituzione del fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione e deleghe al Governo per la ridefinizione del sostegno pubblico all’editoria”, insomma una legge di vaste ambizioni, sono stati ascoltati (esattamente mi pare si dica “auditi”, trattandosi di audizione) in commissione Cultura alla Camera il presidente dell’Ordine, Enzo Iacopino, e il segretario della Fnsi, Raffaele Lorusso. I quali hanno detto la loro, divagando sull’universo nostro piccolo mondo antico, invadendo i campi. Ma francamente che il presidente dell’Ordine parli del sindacato e che il segretario della Fnsi parli dell’Ordine, non dovrebbe scandalizzare, anzi potrebbe consolare se tutto avvenisse in un “clima di reciproca intesa”, come dovrebbe capitare tra chi rappresentasse, per un verso o per un altro, diritti, doveri, interessi di una categoria travolta dagli infiniti disastri di questi anni. Anni tremendi, che sono trascorsi però nelle sale dei nostri massimi organismi rappresentativi tra ripicche e ostilità, assecondando intrighi correntizi, riducendo l’Ordine all’obsolescenza, il sindacato all’impercettibilità. Non neghiamolo: non solo, si spera, ma anche per la spartizione di sedie, poltrone e dei classici “strapuntini”. Non parliamo neppure di “unità”, termine ormai desueto (cancellato per tempo dal vocabolario il sostantivo “lotta, lotte”), ma almeno di cortesia reciproca come capita tra vicini di casa bene educati e come in fondo una discreta cultura politica potrebbe suggerire. Perché mostrare i pugni, quando attorno tutto sembra precipitare? Condividendo, per quanto mi è stato possibile capire, il senso della legge, un paio di righe mi hanno colpito in modo particolare: là dove si delega il Governo alla revisione della composizione e delle competenze del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti. Con una sola indicazione precisa: ridurre i consiglieri fino a un massimo di diciotto, due terzi professionisti, un terzo pubblicisti. Qui i nostri si sono dati battaglia, Iacopino intelligentemente (o furbescamente) riscoprendo un progetto di riforma elaborato e votato a stretta maggioranza dal Consiglio nazionale che di fatto prevede con il realismo della mediazione aritmetica la riduzione a novanta dei consiglieri, Lorusso abbracciando un po’ inconsapevole quel fatidico numerino di diciotto (un po’ inconsapevole, perché a Lorusso non dovrebbe mancare notizia dell’obbligo per dodici di quei diciotto di andare a costituire il Consiglio nazionale di disciplina, del tutto autonomo dall’Ordine, senza considerare altri compiti superstiti affidati al Consiglio nazionale... e perché da Lorusso ci saremmo aspettati una visione meno pugilistica e un poco più alta). Stiamo ai numeri. Novanta o diciotto: la disputa si potrebbe ridurre a questo, alla difesa di se stesso e dell’Ordine architettata da Iacopino, alla liquidazione firmata da Lorusso. Iacopino ha recitato la sua parte, molto affidandosi all’arma della demagogia (ad esempio nella anacronistica salvaguardia dei pubblicisti... ma è opinione del tutto personale... oppure battendo i pugni a proposito di retribuzioni da fame, equo compenso, precariato...). Qualche cosa di meno brusco e frettoloso ci sarebbe piaciuto ascoltare da Lorusso, tanto in Commissione cultura quanto poi nella replica a Iacopino (si può leggere tutto nei vari siti). Lo diciamo perché vorremmo sentirci vicini a Lorusso (segretario anche con il nostro voto) e al sindacato e ci dispiace che il segretario sposi invece la squallida, grossolana oleografia di un Consiglio nazionale popolato da una schiera di profittatori privilegiati e pasciuti, che alzano barricate a difesa dei propri vantaggi. Il segretario della Fnsi dovrebbe sapere che dentro quel Consiglio (abnorme, certo, abnorme però come lo ha voluto una legge dello stato, in vigore dal 1960), che un poco lavora e qualcosa produce, ci sono stati molti che si sono battuti per anni (e per anni inascoltati dalla politica) per una riforma di qualche peso (quella che intanto avrebbe potuto ridurre della metà il numero dei consiglieri) e molti altri (una cospicua minoranza) si sono scontrati, sconfitti in aula e mai neppure sfiorati da uno sguardo benevolo del sindacato, per una riforma radicale, che ridefinisse i compiti dell’Ordine, la questione degli accessi, il problema delle scuole, la revisione profonda degli elenchi, eccetera eccetera, soprattutto la ridefinizione del ruolo del giornalista, sulla linea di quello slogan con il quale noi, minoranza in Consiglio, ci siamo presentati all'ultimo turno elettorale: "Giornalista è chi lo fa". Semplice, persino elementare, nel disegnare una figura professionale, cioè nel restituire una figura alla professione. La “revisione delle competenze” dell’Ordine dovrebbe passare da una discussione di questi temi, discussione alla fine della quale si potrebbe stabilire che dieci, nove, otto, sette consiglieri nazionali sarebbero più che sufficienti. Credo che Lorusso dovrebbe conoscere queste battaglie e queste proposte. Mentre, travolto dalla polemica, mi pare che si ingegni a sparare nel mucchio (vogliamo pure parlare dell’ordine del giorno con cui si invitavano gli Ordini regionali a non applicare la norma di legge che obbliga a cancellare dagli elenchi chi non esercita la professione con continuità? vogliamo ricordare l’andamento del dibattito e quello del voto?). Il segretario spari pure a Iacopino, se non sopporta Iacopino. Spari pure a se stesso, dal momento che il sindacato qualche responsabilità nella sopravvivenza del blob ordinistico e nella aggregazione di certe maggioranze potrebbe averla avuta. Non spariamo neppure noi nel mucchio e precisiamo: alcuni del sindacato, in passato naturalmente. Non spari a me e a molti altri come me, che non si sentono nel mucchio... Un punto ancora. Lorusso suggerisce in un passaggio della replica al presidente Iacopino che dell’Ordine si potrebbe fare a meno, qui correttamente ricordando come molti all’interno dello stesso Consiglio nazionale se ne chiedano l’utilità. Me lo sono chiesto anch’io, sollecitato peraltro dalla minima conoscenza di quanto avviene in altri paesi d’Europa e magari dalle vene liberiste degli ultimi decenni. Concludendo che si potrebbe fare a meno dell’Ordine dei giornalisti e degli Ordini dei notai, degli avvocati, dei farmacisti, dei geometri e degli architetti, ma che il costume degli italiani e la società italiana, nella miseria dell’etica pubblica, pretenderebbero qualche prudenza. Chissà, con il tempo, che non si diventi tutti onesti. Si farebbe comunque prima con una buona riforma.
       
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