Redazione
Visite: 313
Fare sindacato ai tempi del brand & gossip
Redazione
Visite: 313
Agli inizi di questo mese ci siamo trovati negli scantinati della Lombarda. More solito. Cioè quei pochi (o molti, dipende dal bicchiere) che da almeno tre lustri e ogni trenta giorni si riuniscono, oggi in Lombarda e ieri al "vecchio" Circolo della Stampa, per discutere animatamente... Quest'ultima volta il quesito era roba tosta. “Ha ancora senso fare sindacato? E come farlo con questo nuovo giornalismo?". Ne aveva già scritto qualche settimana prima nel newsgroup Guido Besana, altri a ruota erano intervenuti sulle sue proposte. Insomma il tema era in parte già sbozzato; ma quella sera la presenza di alcuni giovani con dure e stimolanti testimonianze ne dimostrava l'attualità. Passano i giorni ed è Laura Barsottini a tornarci sopra per prima, prendendo a spunto un corso di formazione sulla Carta di Milano in cui si raccontava la nascita del giornale del carcere di Opera: "...all'interno del quale ci sono inchieste e articoli molto interessanti e 'sul pezzo' come, cito tra gli altri, 'Le origini del fanatismo religioso', 'America Latina: carceri senza pietà', eccetera, costruiti attraverso le testimonianze raccolte sul campo (il carcere) dei compagni di detenzione dei redattori del giornale". Il paradosso, ammesso che sia un paradosso, è che il giornalismo canonico, quello delle cinque W, quello dell'andare alla fonte, quello che "è la stampa bellezza, e tu non ci puoi fare niente" lo troviamo più lì, nelle pagine di "In corso d'Opera", che in molti giornali scritti e stampati fuori dalle sbarre. Così Laura si chiede: "Mentre da una parte si difende la diversità profonda tra informazione e comunicazione, e la qualità e il coraggio che deve avere l'informazione per tentare di arginare - forse - la slavina (il che mi trova assolutamente d'accordo), dall'altra esistono e prosperano sempre più periodici (pubblicazioni?, per tacere dell'informazione web in perenne lotta con il tempo) dove, invece, è il sensazionalismo più grosso (poi, se sarà una bufala, vedremo...) e la forma a contare di più... ". E analizza le testate che illustrano senza infingimenti dei brand, raccontandone eccellenze e metodi di lavorazione. O quelle incentrate sul gossip strillato del solito giro di Vip. Non è pubblicità, ma non è neanche inchiesta. E' una cosa che sta in mezzo, secondo i fautori della "nuova frontiera del giornalismo". Conclude Laura: "Vero che non esistono solo le hard news, ma ormai sono rimasti in pochi e di nicchia i giornalisti e giornali che le trattano... Ho come l'impressione che la maggior parte sia... il resto. Allora, come superare l'impasse tra il "da grande volevo fare il giornalista”, con tutti i valori che si porta dietro, per me, questo progetto, e le redazioni attuali di periodici & co? Mi sembra che il mondo del giornalismo italiano, oggi, con i suoi mercati di pubblicità e marketing, si basi molto di più sul “resto”... Ragiono su queste cose ma non ne vengo tanto a capo... Siamo noi giornalisti-persone ad accettare un cambiamento che investe, soprattutto, i valori? Sono quelli, come me, che pensano che dovrebbe esserci una notizia, per fare un articolo? Sono semplicemente la persona sbagliata al posto sbagliato? E quanti siamo? E quanti giornali-pubblicazioni, ormai ci sono?" Bisogna capire. Capire non per sè, ma per tutti, perchè solo così poi si può "trovare un nuovo modo di fare sindacato". A seguire, sempre per i "tipi di Nuova Informazione"...:-), un commento di Oreste Pivetta... e di Michele Urbano, due altri frequentatori dello scantinato di cui sopra.