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Facce nuove e fiducia, i candidati all'Ordine


fotodi Stefano Jesurum Mercoledì sera, Circolo della stampa, presentazione dei candidati di Unaltroordinepossibile alle prossime elezioni per il rinnovo del Consiglio nazionale e di quello regionale. Prima sorpresa: sono/siete venuti in molti. Un sacco di visi nuovi (per me), un mucchio di belle facce. Speach non banali, e soprattutto non scontati, alcuni tuttalpiù imbarazzati come può essere imbarazzato chi non ha dimestichezza con l'impegno pubblico. Perché – ed è la seconda piacevole sorpresa – l'aria che si respira non è affatto quella di una riunione “di corrente”; insomma è palese che chi è lì, e in particolare chi si candida, lo fa per il semplice, semplicissimo motivo che dell'Ordine così com'è non ne può davvero più. E che dunque l'alternativa a “provarci” non può essere altro che andare dietro a “grillismi” più o meno interessati e urlare che l'Ordine va sciolto e i giornalisti mandati affa. Cartaceo, web, fotografico, multimediale... chi è in sala pratica tutti i giornalismi possibili. E, terza sorpresa, ci si capisce al volo, si dialoga, emerge un linguaggio condiviso. Con ciò dimostrando nel vivo che le barriere tra antico e moderno sono in buona parte invenzioni di chi si arrocca (vecchi e giovani che siano), di chi non vuol capire né cambiare. Sul sito www.unaltroordinepossibile.com si può leggere il profilo di ogni candidato, pubblicista e professionista. Forse sarà messa in rete anche una piccola gallery di video-spot personali. Ce n'è per tutti i gusti. In sala, mercoledì sera, ho visto molti sorrisi, una rarità preziosa. La consapevolezza che si respirava era immediata: qui, o si cambia o si chiude. Ma non si chiude semplicemente l'Ordine, si chiude con la professione. Per chi non vuole solamente urlare, o piangere o indignarsi, per chi ha l'onestà intellettuale di dire che così non funziona sotto mille punti di vista, per chi vuole cercare di capire, la serata al Circolo della stampa è stata proprio una serata importante. P.S. Diceva Baruch Spinoza: «Riguardo alle cose umane non ridere, non piangere, non indignarsi, ma capire».
       
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