Redazione
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Buona Pasqua laica da un credente speciale
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di Piergiorgio Gamba (collega e missionario) Sono partito tanti anni fa come missionario. Prima ancora di diventare prete. Lasciavo l'Italia per andare in Africa e quello che mi avevano consegnato era un grande crocifisso. Arrivavo in Malawi per insegnare a seguito di tanti anni di studio che mi avevano dato risposte, per me convincenti. Dal 1978 a oggi sono passati tanti anni, scanditi dalla stagione delle piogge, quando i monsoni fanno rifiorire la terra e crescere il grano che deve bastare per un anno intero. Ho avuto in sorte di vivere anni di grande condivisione con la comunità cristiana e i tanti eventi sociali e politici del paese. Prima c'era stata la dittatura terribile quando la gente spariva, letteralmente data in pasto ai coccodrilli. Poi ho visto da vicino anche il ritorno alla democrazia quando la nostra piccola stamperia era stata incendiata dagli squadristi del governo. Oggi vivo la sofferta esperienza di un paese che sta affogando in una crisi economica di proporzioni così vaste che "ci vorranno 74 anni per uscirne" precisa uno studio compiuto dall'Università di Oxford. In Malawi l'età media si ferma sotto i cinquant'anni e questo resoconto sembra una condanna a morte. All'inizio, appena arrivato in missione, l'impegno maggiore era quello di passare di villaggio in villaggio a raccontare la mia storia. Gli africani rispettosi e in silenzio chiedevano il battesimo. Ascoltavo le loro confessioni, discutevo gli equilibri impossibili dei matrimoni regolati da tradizioni che accettavano la poligamia e come tutti i missionari contavo il numero dei convertiti. Nel mio cammino c'è stato un momento preciso che definisco come il momento della mia conversione, quando ho accettato di lasciarmi condurre dal vissuto quotidiano della gente: piccoli e grandi, pochi che avevano studiato e la stragrande maggioranza analfabeta, tutti uniti nella condivisione di una grande povertà. E' successo durante la celebrazione della settimana santa. Dopo la lunga quaresima e il digiuno a cui la gente è abituata da sempre, la domenica delle Palme aveva radunato tutto il villaggio. Partita da lontano, la nostra processione verso la chiesetta di paglia si era trasformata in quello che mi era sembrato un "raptus dello spirito". La gente cantava ininterrottamente, danzava al suono dei tamburi, facendo a gara a stendere sul cammino mantelli colorati così che i miei piedi non toccassero mai il suolo. La processione era andata ben oltre il tempo e la stessa esperienza doveva poi ripetersi lungo tutti i giorni che portavano alla Pasqua: la cena dell'Eucarestia che terminava con il cibo condiviso, la lunga processione della Via Crucis quando la gente sembrava portasse letteralmente la croce di Gesù come aveva fatto il Cireneo, da protagonista e non da attore. Così è stato fino alla lunga veglia nella notte della Resurrezione. Gente poverissima abituata da sempre a vivere in capanne di paglia e spesso provata dalla fame, dalla malaria endemica e dall'AIDS che non perdona. Gente capace di vivere la gioia e la festa. Quale era il loro segreto? Dai loro antenati gli Africani hanno imparato ad incontrare Dio in tutto quanto capita e in tutto il vissuto. Dal contadino che semina affidandosi alla protezione di Dio, al bambino che nasce, a chi inizia un viaggio o si prepara per la caccia. non esiste un momento della vita che sia oltre lo sguardo benevolo di Dio. Quello che io chiamavo religione, era per l'Africa la celebrazione della vita nella sua totalità. Loro già sanno che la vita è sacra e infinita. Nella notte di Pasqua ho imparato che per i cristiani d'Africa il momento principale non è solo la resurrezione di Gesù dalla tomba e la vittoria sulla morte: la vita difatti non si interrompe mai. La morte non ci separa, anzi è il momento di passaggio quando ci si riconcilia con Dio e ci si trasforma in mediatori per il bene della comunità. La grande famiglia africana infatti comprende al suo interno chi era, i living-dead i morti che sono vivi, e anche chi nascerà nelle generazioni a venire. La festa della Pasqua ci permette di scoprire che Gesù, che viene da Dio, è ora il nostro antenato. E' stato per me un momento dello Spirito, ho intravisto nella celebrazione della vita, in tutti i suoi momenti di vittoria e di sconfitta, di silenzio e di canto, la Pasqua continua. In tutta questa gioia non manca la sfida del male, la forza negativa che lotta contro la vita condivisa: esiste il genocidio del Rwanda e la guerra del Congo, la corruzione e l'oppressione, la fame, la miseria e la stregoneria. E' questo il peccato che viene dalla chiusura alla comunità, all'armonia del creato, alla pace e alla riconciliazione. Nelson Mandela ha vinto questa lotta e scontro quotidiano, anche per questo è l'eroe africano che ha creduto alla vita. Anch'io ho imparato cos'è la Pasqua: l'incontro con Dio nella sua grande famiglia. E come ero partito missionario per l'Africa, ora mi sento pronto a ritornare a casa. E vorrei portare con me una festa: la festa della Pasqua. Per il nostro mondo che si sente spiazzato dalla crisi economica per avere incentrato tutta la vita sui soldi e il successo personale e fatica ora a pensare ad alternative creative oltre le tasse da imporre. La Pasqua per la difficoltà che sperimentiamo a lasciarci riconciliare attorno ai valori della vita, preferendo la divisione e l'individualismo. La Pasqua per l'incapacità di vedere e incontrare Dio nel creato relegandolo in un mito, sepolto nel passato. E' terminata la Santa Settimana al nostro villaggio. La gente venuta anche da lontano per le celebrazioni è ora tornata a casa. Sono ripartiti con una gioia inspiegabile. Sanno di non essere soli. Io ero partito per evangelizzare e ho finito per essere un neofita africano. Ero venuto per parlare di Dio e l'ho incontrato in tutte le le storie di questo paese. Storie che hanno un messaggio importante anche per quel mondo e quella chiesa che mi aveva mandato missionario in Africa. NOTA: Piergiorgio bergamasco del Malawi, o viceversa - che colà fonda, pubblica e scrive e distribuisce dei giornali, una radio, una televisione e una collana di libri in lingua inglese e nativa - un anno fa è stato "adottato" dall'Ordine della Lombardia, che gli ha conferito ad honorem il tesserino da pubblicista. Questo racconto l'ha scritto per l'Eco di Bergamo, edizione di stamane. Che ringraziamo così come l'amica Betta Ferrario che l'ha mondato da alcuni anglicismi...