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A volte ritornano (grazieadio)


di Marina Cosi Quando è troppo è troppo. E così i milanesi han scelto di girare le spalle alla banda morattisconi, votando un milanese per bene che riassume in sè le vecchie virtù meneghine: spirito pratico, garbo, niente retorica, riformismo costruttivo, solidarietà verso gli ultimi, grande rispetto per chiunque lavori a prescindere da sesso e provenienza. Ora ci aspettano 15 giorni solo in salita, durante i quali la banda farà sicuramente di tutto e di più per non mollare la presa. Sul potere, sugli affari e anche sulla molta spazzatura nascosta sotto il tappeto in questi lunghi,ahimè troppo lunghi anni. Lunedì sera è stato bellissimo: la festa nel quartier generale del Comitato Pisapia, nella seminuova bella sede del teatro Elfo, si è allargata al corso Buenos Aires, invaso da volti ridenti, mentre la banda degli ottoni suonava gioiosamente. A molti ricordava le feste spontanee del dopoguerra, per la Liberazione e forse ancor più quelle per la vittoria della Repubblica sulla monarchia. A noi, un cicinino più giovani, l'allegria del movimento nascente tra il '67 ed il '72. Ai ragazzi festanti, tanti, tantissimi, grazieadio non ricordava niente: è stata la loro prima, autentica gioia politica. Ora ventre a terra. Ho sentito diverse persone, amici ,colleghi (vero Carlito?), che mi han confessato d'essere tornati a votare dopo dieci anni. Fatelo ancora! Per parte mia lo farò in memoria di Pietro Alberto, che sabato sera è spirato con il rincrescimento - così ha detto con l'ultimo flebile fiato che aveva e senza ironia - non tanto di morire, questione ormai accettata, quanto di non riuscire a votare per Pisapia. Scusate l'accenno personale. E ora da www.arcipelagomilano.org  segnalo un commento di Luca Beltrami Gadola La vera sorpresa della vittoria di Giuliano Pisapia non è soltanto la vittoria stessa ma sono stati i milanesi, i vecchi milanesi, quelli che son qui da qualche generazione, i meno recenti e i nuovissimi: non solo hanno dato la vittoria a Giuliano Pisapia, ma l’hanno accolta con ovvia gioia e anche con generosità. La gioia è stata grande. Vedere la gente che si abbracciava in Corso Buenos Aires davanti al teatro Puccini gremito, ai vecchi milanesi ricordava la Liberazione e la fine della guerra. Ma un’altra cosa va sottolineata: quella parte della città che ha vinto guardava l’altra, quella che ha perso, senza spirito di rivalsa, senza animosità dimenticando, forse persino troppo presto, quello che di lei ha detto in passato e ha continuato a dire e forse dirà ancora Berlusconi : passando da “coglioni” ad “antropologicamente diversi”. Questo desiderio di una parte della città di farla finita con la politica incivile per ritrovare la civiltà della politica lo si respirava sia in Corso Buenos Aires che nella sala stampa del Comune dove le facce allegre si mescolavano a quelle incupite. Forse stiamo per tornare a parlare di avversari e non di nemici. E, lasciando da parte tutte le altre analisi post stupore per la vittoria di Pisapia, proprio in questo spirito che ha informato la sua campagna elettorale – l’ansia della gentilezza – io penso risieda una parte non piccola del suo successo. Altrettanto va riconosciuto a Stefano Boeri che, rapidamente lasciate da parte le amarezze delle primarie, ha dato anche l’anima per una vittoria della sinistra: le sue 12.800 preferenze lo collocano al primo posto tra i “preferiti” milanesi. Berlusconi non conta e, a parte la millanteria di qualche giorno fa di “pretendere” dalla “sua” Milano 53.000 preferenze, la sua candidatura milanese è un vecchio trucco che suona ad insulto di un Consiglio comunale al quale ci si candida sapendo che mai lo si frequenterà. Ma non dobbiamo dimenticare che questa “gentilezza” di Pisapia si è sempre coniugata con una grande attenzione alla gente alla quale si stava chiedendo non solo il voto ma anche idee e dunque la differenza tra Pisapia e Moratti è stata nell’ultimo gesto possibile: la scelta del luogo dove  auspicabilmente “festeggiare” la propria vittoria o guardarsi in faccia dopo la sconfitta. Pisapia ha scelto un teatro “popolare” in una via “popolare”, la Moratti il Centro congressi della Fondazione Cariplo: ognuno ha pensato al proprio elettorato di riferimento. Ora dunque ci aspetta la parte più dura della battaglia. Il ministro Gelmini, maestrina spietata e rigorosa, col suo visino blandamente cinese dietro gli occhialini, ci ha soavemente annunciato che le prossime settimane, abbandonati i temi nazionali ad personam, saremo puntualmente informati dell’instancabile attività del nostro sindaco uscente che non ci chiede altro che di poter “continuare”nella sua instancabile attività. Noi, da quei generosi milanesi che siamo, cont el coeur in man, vorremmo che si riposasse. Ci dia retta, è meglio per tutti.       Luca Beltrami Gadola
       
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