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2014 antistampa: 133 morti e centinaia in galera
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Quest'anno la morte ha fatto un buon bottino di giornalisti: 133. Ad oggi. Perchè il 2014, diciamocelo, non è ancora finito. Ukraina a parte, che svetta nel continente europeo coi suoi 8 caduti, il numero più elevato è per approssimazione in medioriente e dintorni, ossia là dove sorse e s'è espansa la nostra civiltà. Già, la civiltà... Uccisi 8 giornalisti in Iraq, 3 in Libia ed altrettanti in Somalia, 9 nei Territori palestinesi e altri 9 in Afghanistan, 15 in Pakistan, 2 in Turchia... La Federazione internazionale della stampa propone una cartina animata del mondo che a colpo d'occhio dà la misura della strage: http://ifj-safety.org/en/killings . Se poi ai giornalisti uccisi uniamo anche il numero di quelli incarcerati (nonchè l'elenco delle testate ammutolite ossia dei giornali chiusi da governi autoritari o dittature) possiamo dire che la libertà di stampa non se la sta passando bene. Fra questi ultimi c'è la Turchia, che da una parte alza la voce, lamentando di esser tenuta ormai da decenni in anticamera dall'Unione europea, e dall'altra si permette con apposite leggi di arrestare giornalisti, chiudere testate, bloccare internet, porre twitter al bando e raggiungere i vertici del ridicolo censurando i sorrisi delle donne in rete. Iersera, 23 dicembre, i giornalisti italiani tramite le loro istituzioni sindacali ed ordinistiche nonchè le associazioni per la libertà di stampa, hanno manifestato a Roma con una fiaccolata davanti all'ambasciata turca di via Palestro: Fnsi, Usigrai, Ordine nazionale dei giornalisti, Stampa romana, e poi Articolo21, Amnesty International Italia, Comitato 3 ottobre, Tavola della Pace, Libera Informazione... Hanno chiesto la liberazione dei 63 giornalisti incarcerati in Turchia, di cui in un colpo solo 23 lo scorso 14 dicembre. E se uno l'indomani è stato rilasciato, ossia il direttore del quotidiano Zaman Ekrem Dumanlı, ma col divieto di lasciare il paese, un altro collega, Hidayet Karaca direttore di Samanyolu Television, in galera ci è rimasto e ci rimarrà a lungo poichè l'hanno accusato di terrorismo. Termine che va scritto con le virgolette, poichè nel paese di Erdogan l'articolo 309 del codice penale definisce "terrorista" chi scriva in appoggio all'opposizione (o all'imam Fethullah Gulen). Proprio nei giorni scorsi è stato infatti graziosamente liberato, dopo "soli" cinque anni di prigione, il giornalista Mustafa Balbay che era stato condannato a 34 anni ed 8 mesi nel marzo del 2009. Nè era servita a liberarlo la sua elezione, mentre era in carcere, a deputato del CHP (Partito Repubblicano del Popolo), il principale partito d'opposizione. La colpa di Balbay - direttore e fra i massimi opinionisti del paese - era di aver fatto il suo, il nostro, mestiere, pubblicando in esclusiva i diari di un ammiraglio, Örnek, su trascorsi tentativi di colpi di stato avvenuti durante la prima legislatura dell’AKP (2002-2007): la sua redazione, all'indomani dalla pubblicazione, fu perquisita da 50 poliziotti dell'antiterrorismo, le pubblicazioni sospese e infine il settimanale chiuso. Non solo tv, quotidiani, settimanali, ma anche libri mandati al rogo (ci ricorda qualcosa?). Risale ad un anno fa, ma per farsene un'idea conviene leggere l'intervista ad Ahmet Sik: http://www.linkiesta.it/ahmet-sik Inoltre segnaliamo su CHANGE.ORG una raccolta di firme per lanciare un "appello" ad Erdogan - oltre che al nostro governo ed alla Commissione europea - perchè sia più rispettoso dei diritti delle persone. Segnaliamo sì, ma con tutto lo scetticismo del caso. Sapendo che Erdogan a qualcosa è sicuramente sensibile: certo non al fascino democratico, ma al mantenimento dell'interscambio economico e commerciale con l'Europa. Infine sulla manifestazione di ieri vedi Giorgio Santelli: http://www.articolo21.org/2014/12/nobavaglioturco-turchia-sitin-liberta-manifestazione/