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Con Assange e per la libertà d'informare
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“C’è finalmente un barlume di speranza” per Julian Assange; così Kristinn Hrafnsson, il caporedattore di Wikileaks, ha commentato il verdetto dell’Alta Corte di Londra che ha affermato il diritto del giornalista ad appellarsi contro l’estradizione negli Stati Uniti. La Corte doveva valutare se nel processo Assange fosse al riparo dalla pena di morte, che non venisse discriminato per la sua nazionalità, che gli fosse garantita la tutela del primo emendamento della Costituzione USA. La Corte, dopo aver sentito James Lewis, il rappresentante degli Stati Uniti, ha concluso che le tre condizioni, poste a marzo in un altro giudizio di legittimità, non sono pienamente garantite; in particolare gli USA escluderebbero che Assange possa essere tutelato dal primo emendamento, che garantisce la libertà di parola e tutela l’informazione, e le rassicurazioni sulla pena di morte non sono stringenti.
Ora il giornalista australiano dovrà prepararsi a un nuovo ricorso contro l’estradizione. Il 52 enne, molto debilitato dalla lunga detenzione, non era presente in aula. Plausibilmente rimarrà in cella fino a quando non sarà bloccato il tentativo USA di processarlo per divulgazione di segreti militari e attentato alla sicurezza dello Stato, in totale 17 capi di accusa per i quali rischia una condanna fino a 175 anni di carcere. L’annuncio del verdetto è stato accolto da fragorosi applausi sia davanti alla Corte sia nei presidi in tutto il mondo in cui oggi si manifestava, come anche a Milano, con lo slogan “Free Assange”.
Nella foto un momento della manifestazione milanese durante il presidio davanti alla Loggia dei Mercanti e l'intervento di Guido Besana.