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Perchè il caso Fanpage non convince


Cosa pensiamo del caso Fanpage? Naturalmente, giornalisticamente parlando, perchè politicamente non penso ci sia da dire molto, salvo ribadire il disgusto etico. Va bene, bisogna rimanere ottimisti, ci saranno - spero - tempi migliori. Ciò detto, il problema, almeno per me, rimane. E' giornalismo mandare uno - che giornalista non è - a contattare una controparte - oggi pubblica domani magari privata - proponendogli una combine truffaldina (appalti in cambio di tangenti) e poi avuta la risposta pubblicare il tutto? Ricordo che secondo i nostri principi deontologici il giornalista deve sempre farsi riconoscere come tale. Unica deroga possibile è quando l'esercizio pubblico della professione potrebbe essere causa di pericolo mettendo a rischio l'incolumità stessa del giornalista. E' proprio questo elemento che ha giustificato - e giustificherà - le inchieste in cui il giornalista si "camuffa" per potere raccontare quello che davvero accade in alcune realtà dove il pericolo è reale. Ma nel caso di Fanpage non c'è nulla di tutto questo. L'agente provocatore - non so come altro chiamarlo - non è un giornalista e apparentemente almeno non c'è una situazione di pericolo. E allora? Un amico - e collega - mi ha risposto che il discrimine è il fine, ossia smascherare il pubblico malaffare. Ho ribattuto che capivo, ma che trovavo questa giustificazione pericolosa. Molto pericolosa. Chi stabilisce i confini entro i quali la logica dell'agente provocatore è "giusta"? E chi sarebbe il giudice? Non so. Sono molto, molto, perplesso. Sarà l'età. Michele
       
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