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Paola Bacchiddu avrebbe ragione, ma manca la legge
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Anche nell'esercizio di cronaca c'è qualcuno che è più uguale degli altri. George Orwell applicato al giornalismo, web e cartaceo. Tutto è cominciato il 4 febbraio, quando con una lunga lettera l'amica e collega Paola Bacchiddu ci chiedeva sostegno per una querela per diffamazione ricevuta in seguito ad un articolo pubblicato sul quotidiano online Linkiesta. Testata registrata. Scoprimmo tutti, come già aveva scoperto purtroppo Paola sulla propria pelle, che nella legislazione sulla stampa c'è un "buco" che rende appunto l'informazione via web penalmente meno garantita. Il confronto nella Lista di discussione di Nuova Informazione è stato acceso, con interventi di molti colleghi fra cui cronisti giudiziari sull'omesso controllo del direttore (non applicabile nell'online) e sul riferimento alla pubblicità anziché alla stampa. Quindi, coinvolta Autonomia e Solidarietà nonché il gruppo ordinistico di Liberiamo l'informazione, s'è cominciato a ragionare sul concreto da farsi. Tipo contatti parlamentari per modifiche legislative, norma ad hoc nella (eterna) riforma dell'Ordine, un tavolo propositivo Fnsi/Ordine sul tema... Se n'è parlato anche in due dibattiti sulla diffamazione - a fagiolo a Roma proprio negli stessi giorni - e nel frattempo il caso è stato discusso fra gli altri da Ossigeno per l'informazione, da Articolo21, dal Fatto, ma soprattutto da Lsdi. Su www.lsdi.it Pino Rea non si è limitato a dare la notizia e a far intervistare Paola, ma ha rilanciato un parere legale, un po' di confine ma interessante, stilato dall'avvocato e blogger Bruno Saetta, sentendolo ed affiancandone il giudizio a quello di Mario Tedeschini Lalli; così giungendo alla conclusione che "il caso c'è" . Ci sarà pure, ma come uscirne evitando che si ripetano altri "casi Bacchiddu"? Depenalizzando il reato di diffamazione e assieme inserendo la querela temeraria. Questo il link a LSDI: http://www.lsdi.it/2014/paola-bacchiddu-secondo-noi-il-caso-c-e/. E qui sotto invece ampi brani della lettera di Paola Bacchiddu: "Vi segnalo la mia vicenda su una querela che solleva una questione che riguarda tutti i colleghi che lavorano per il web. Mi chiamo Paola Bacchiddu e sono una giornalista professionista iscritta all'Albo. Sono stata citata a giudizio per una querela di diffamazione relativa a un pezzo di due anni fa su Linkiesta; io e il mio legale pensavamo archiviassero, dato che si tratta di un esposto virgolettato che ha fatto aprire un'indagine della Procura sull'edilizia popolare di Milano. Nella formulazione della citazione non si è tenuto conto né che l'articolo fosse pubblicato su una testata giornalistica (sebbene on line), né tanto meno che io esercitassi il diritto di cronaca come cronista. La diffamazione è infatti aggravata per aver utilizzato, si legge nel documento della Procura, "un mezzo di pubblicità". Il mio legale mi ha spiegato che c'è, in effetti, un vuoto normativo e che le leggi applicabili per la stampa cartacea non sono valide, giuridicamente, per quella online. Questo comporta che il giornalista che scrive sul web è l'unico ad assumersi il rischio penale di quello che il suo giornale pubblica, poiché l'omesso controllo non è applicato al suo direttore responsabile. Credo che questo costituisca un pericolosissimo precedente per i colleghi del web ed è evidente che, considerando la trasformazione epocale che sta attraversando la professione in questi anni, occorre un robusto intervento di riscrittura del corpo normativo in materia. Ho già sentito due avvocati che se ne stanno interessando e mi confermano che la giurisprudenza, negli ultimi tempi, solleva direttore e testata dalla responsabilità penale - diversa cosa è quella civile dove il giornale potrebbe essere chiamato a corrispondere una sanzione pecuniaria - ma non il giornalista autore del pezzo. Nel marzo del 2011 mi ero occupata per Linkiesta, testata per cui lavoravo con articolo 1 a tempo indeterminato, dell'edilizia popolare Aler qui a Milano, dove emergevano casi molto gravi di collusione tra dirigenti politici, forze dell'ordine, spartizione di tangenti per appalti, eccetera. Marco Osnato, genero di La Russa, ricopriva, all'epoca, il ruolo di direttore dell'area gestionale Aler. Nel mio pezzo (http://www.linkiesta.it/dopo-trivulzio-arriva-l-affittopoli-dell-aler) ho riportato il virgolettato di un esposto della Procura che aveva fatto aprire un fascicolo d'indagine dove l'impenditore Luca Bellisomo era stato indagato. È lui che mi ha querelato per diffamazione (art 595 commi 1^ 2^ 3^ c.p). Dopo la chiusura delle indagini la sua posizione è stata archiviata. Ma, al momento della scrittura del mio pezzo, lui era stato raggiunto da un avviso di garanzia e sotto indagine. Nè dopo l'uscita del pezzo è stata richiesta una rettifica o una smentita. Il mio avvocato mi ha spiegato che, poiché c'è un vuoto normativo, non si possono applicare le stesse leggi che vigono per la carta stampata, anche a quella on line. È il principio di "malam partem". Ecco perché la posizione dell'allora direttore, Jacopo Tondelli, è stata archiviata: l'omesso controllo (ex art 57 c. p. ) non è applicabile alle testate online. Il capo d'imputazione è la diffamazione con l'aggravante "di aver fatto uso di mezzo di pubblicità", cioè la mia testata giornalistica! Dal punto di vista penale, quindi la responsabilità è solo mia, mentre civilmente, in caso di condanna, la testata potrebbe essere chiamata a pagare una sanzione pecuniaria. Continuo a trovare discriminatorio che l'esercizio della professione sul web non venga sottoposto alle stesse leggi che vigono per quello sulla carta stampata.