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Ordine, una "sporcata" dozzina. Dall'anagrafe


di Michele Urbano Nasce il consiglio di disciplina dell'Ordine nazionale dei giornalisti che in buona sostanza sarà il tribunale (deontologico) di secondo grado. Nasce all'insegna dell'incertezza normativa e – diciamolo – di una battaglia di potere, definiamola per carità di patria, di retroguardia.Già, il presidente, per ragioni di età – così stabilisce l'acuta norma ministeriale – è Severino Felappi, detto Rino, classe 1923, pubblicista. Per le stesse ragioni anagrafiche ma al rovescio (la più giovane, professionalmente parlando) diventa segretaria Francesca Santolini, anche lei pubblicista dal 2004 e come il buon Felappi appartenente all'area di Peppino Gallizzi, storico leader milanese dei pubblicisti. Ciò detto, ossia che le principali figure del nuovo consiglio nazionale di disciplina, sono due pubblicisti e che quindi nella vita - legittimamente -potrebbero svolgere tutt'altro lavoro che quello di giornalista – che come incongruenza non è male – vediamo un po' chi sono gli altri. Ecco l'elenco degli altri dieci (il consiglio è di 12 membri): Anzalone Pino, professionista (Basilicata), Cembran Antonio, professionista (Trentino), De Liberato Dario, professionista (Marche), De Rosa Armando, pubblicista (Campania), Donno Elio, pubblicista (Puglia), Giovagnoni Paolo, professionista (Umbria), Paffumi Saverio, professionista (Lombardia), Partipilo Michele, professionista (Puglia), Seveso Luisella, professionista (Lombardia), Trovellesi Laura, professionista (Lazio). Ancora una precisazione, giusto per rassicurare i più ostili al gran guazzabuglio dell'Ordine: il Consiglio nazionale di disciplina decide sulle sanzioni a maggioranza. E il relatore non vota. E fin qui tutto chiaro. Peccato solo che anche l'elezione dei consigli di disciplina è l'ennesima spia della confusione che avvolge l'Ordine dei giornalisti vittima dell'indolenza colpevole di una classe politica che alla riforma organica – dispersa in qualche cassetto del Senato - preferisce la politica del rinvio e delle riformicchie pasticciate come quella dei Consigli di disciplina. Infatti, checchè ne dica qualche solone non necessariamente vecchio, nel merito, il modello normativo è tutt'altro che chiaro. Tanto che sull'insistente iniziativa di Autonomia e solidarietà il presidente Iacopino è stato costretto a andare in via Arenula a chiedere spiegazioni. Le ha ottenute a voce con l'assicurazione che nei prossimi giorni sarebbero state trasferite nero su bianco. Solo un esempio circa l'incertezza normativa: cosa succede se il giudice naturale (concetto costituzionale) cambia nel corso di un processo? Il problema è serissimo e vale proprio per i consigli di disciplina. I procedimenti infatti transiteranno dalla vecchia commissione ricorsi al nuovo organismo. E' normale? Il ministero dice sì. Ma i dubbi ci sono eccome. Tanto che l'Ordine, giusto per non sbagliare, ha eletto nel nuovo consiglio praticamente tutta la vecchia commissione ricorsi (Anzalone, Cembran, De Liberato, Donno, Paffumi, Partipilo). Almeno nelle persone dei giudici la continuità è assicurata. Come si è arrivati all'elezione del Consiglio di disciplina? Anche questa è una storia che va raccontata perché da il segno di un organismo che anche per ragioni numeriche (quasi 150 consiglieri!) fa della confusione politica il suo tratto distintivo. Il primo giorno dei lavori del Consiglio nazionale dei giornalisti è un mercoledì freddo come i messaggi che i centurioni della maggioranza arlecchino (quella di Iacopino) fanno arrivare all'urbe: sui consigli di disciplina si deve votare, punto e basta. E si fa sapere che addirittura la votazione verrà anticipata al giovedì (quello scorso). Seguono minacciosi quanto improbabili scenari di commissariamento da parte del ministero. Per Autonomia e solidarietà c'era da scegliere, inevitabilmente, tra due posizioni. 1) sostenere la linea “vogliamo chiarezza normativa e fino a quando questa non ci sarà noi non votiamo, anzi ce ne andiamo dall'aula facendo, se possibile, mancare il numero legale” (non a caso un rappresentante di Autonomia aveva chiesto ufficialmente il voto segreto). 2) “vogliamo chiarezza normativa ma all'interno di un responsabile presidio democratico dell'istituzione”. La linea che passa a maggioranza soprattutto tra i milanesi, i veneti e i toscani è la seconda. Che porta direttamente a ricercare un compromesso con la maggioranza. E così sarà, Iacopino va al ministero a cercare risposte, le ottiene e le riporta al consiglio. L'opposizione è appagata. La richiesta di voto segreto viene ritirata. Il confronto sui nomi può iniziare. Già, ma quanti sono i soggetti della trattativa? Due? No, tre. E sì, tra i gallizziani e gli iacopiniani sono urla pubbliche e dispetti privati. Il motivo del contendere è il buon Felappi che per la sua età, se presentato, non avrebbe rivali come presidente. Iacopino, invece, vorrebbe come presidente Donno (membro uscente e storica colonna della “ricorsi”). Donno peraltro sta bene anche ad Autonomia. Ma nel segreto dell'urna i desideri non bastano a disegnare la realtà. Che premia come ultimo degli eletti Felappi. Che diventa presidente. Seguono brindisi. Anche se non era chiaro cosa ci fosse da festeggiare.
       
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