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Ordine/ Finalmente ce la si fa. A cambiarlo


di Giancarlo Ghirra (coordinatore di “Liberiamo l’informazione”) Dopo anni di disinteresse Parlamento e Governo mettono mano alla riforma dell’Ordine, intanto riducendo il pletorico numero di un Consiglio nazionale di 158 componenti a 18 o al più 36, e poi mettendo mano alle regole di ingresso nella professione. La notizia filtra da Montecitorio e da Palazzo Chigi, accompagnata dall’annuncio del varo all’interno del Milleproroghe di un decreto di slittamento a dicembre delle elezioni previste per maggio, fra tre mesi. C’è da non crederci, dopo tante speranze a vuoto, frustrazioni e delusione di chi – come i consiglieri di “Liberiamo l’informazione”, all’opposizione nel Consiglio nazionale - è andato alle elezioni tre anni fa con lo slogan “o si cambia l’Ordine dei giornalisti…o si chiude”. A lungo ci siamo battuti nell’ultimo quinquennio contro una maggioranza e un presidente controriformisti, ma finalmente, grazie anche a un rinnovato gruppo dirigente del Fnsi ora sensibile a una svolta nell’Ordine, il Parlamento prima (con la proposta di legge del Pd) e quindi il Governo hanno inserito nei provvedimenti per l’editoria un articolo che consentirà di cambiare volto all’Ordine. Era febbraio anche nel 1963, quando il Parlamento varò la legge istitutiva dell’Ordine. Allora i giornalisti professionisti italiani erano diecimila (e i pubblicisti poco meno del doppio) in un Paese nel quale uscivano una settantina di quotidiani, poche centinaia di periodici, e si contava una sola azienda radiotelevisiva, la Rai. Oggi l’Ordine si trova immerso in un magma incandescente, con ben 112 mila iscritti, migliaia di tivù, radio, e, soprattutto, siti e testate on line. Solo il numero dei quotidiani è rimasto invariato, ma, per il resto, il giornalismo è esploso nei new media con l’irruzione di tecnologie avveniristiche e l’allargamento dei confini della professione, privo però delle tutele giuridiche e sindacali del recente passato. Ordine e Federazione della stampa hanno ottenuto la legge sul’equo compenso, ma, per evitarne un uso soltanto propagandistico, adesso occorre trasformarla in conquista concreta cambiando radicalmente l’accesso alla professione e garantendo retribuzioni contrattuali. Giornalista dovrà essere chi lo fa, chi viene retribuito per scrivere e paga i contributi all’Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti. Non si può continuare con l’antistorica divisione fra professionisti e pubblicisti che penalizza tanti giovani sfruttati, costretti al precariato, e consente a iscritti ad altri albi professionali non soltanto di essere iscritti all’Ordine, ma anche di rappresentare i giornalisti nei Consigli. Giornalista è e deve essere chi ha la necessaria preparazione, figlia di una laurea e di un tirocinio serio e rigoroso. Giornalista è chi rispetta le regole deontologiche, non viola il rapporto di fiducia con i lettori praticando la commistione fra informazione e pubblicità, non scrive il falso, verifica rigorosamente le notizie. Laurea, dunque (basta con la favola del praticantato sul campo, che nessuno fa più nelle forme dei decenni scorsi), elenco unico nel quale si entra soltanto se si supera l’esame di Stato e si versano contributi all’Inpgi, e grande rigore etico: se ne sente il bisogno davanti a un giornalismo fazioso e impreciso che va perdendo di credibilità giorno dopo giorno. Anche il Consiglio nazionale dell’Ordine, con i suoi 158 membri, deve riacquistare prestigio, credito ed efficienza, riducendo drasticamente i suoi componenti, assegnando obbligatoriamente metà dei seggi alle donne (oggi ventidue appena) e spalancando le sue stanze ai più giovani, a quanti vivono sul campo successi, ma anche, quotidianamente, drammatiche sconfitte. Mai come oggi l’alternativa al cambiamento è la fine non tanto dell’Ordine ma dell’autorevolezza di una professione sotto attacco, in una fase di drammatico travaglio del sistema dell’informazione in Italia al quale non ha dato risposte adeguate un Ordine ridotto a organismo burocratico da una gestione conservatrice e miope. Oggi finalmente si può credere che l'Ordine cambi, che l’Ordine riacquisti senso e ruolo. Se questo avviene, avviene anche grazie all’impegno di “Liberiamo l'informazione”, una pattuglia di consiglieri che non si è mai arresa davanti a di chi non voleva mutare nulla. Ce l’abbiamo fatta, forse. Ora lavoriamo perché, con il decreto di proroga delle elezioni nazionali e regionali, si dia vita a una vera, coerente riforma dell'Ordine, che veda presenti nei suoi Albi soltanto quanti fanno i giornalisti, sottraendo agli editori il potere di sfruttare l'enorme massa di disoccupati, sottoccupati e precari, abbandonati ai meccanismi di un mercato senza regole anche a causa di politiche demagogiche e clientelari.
       
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