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Ordine alle urne, senza voto elettronico e senza seggi in provincia


di Oreste Pivetta Non solo il coronavirus. Ci sono anche le elezioni. Negli Stati Uniti, ma anche in Italia. Lì si vota per eleggere il capo della prima potenza al mondo, qui solo per rinnovare il consiglio nazionale e il consiglio regionale dell’Ordine dei giornalisti. Negli Stati Uniti si sono posti solo una volta il problema della data e l’hanno risolto inventando l’Electionoreste Day. Tra i giornalisti è invece in corso da mesi un tira e molla estenuante, anche in conseguenza di qualche ambiguità interpretativa della legge e delle disposizioni e pure di convenienze e d’opportunismi in varia forma. Ma è ovvio che il primo ostacolo allo svolgimento delle elezioni (tra l’altro, come si sa, in doppio turno, con prima convocazione, valida “quando intervenga la metà degli iscritti” ma sempre deserta, seconda convocazione e quindi ballottaggio) e la prima giustificazione è qui, purtroppo, tra di noi: il maledetto virus, l’obbligo quindi di evitare assembramenti, il dovere di scongiurare contagi tra gli elettori (già pochi di per sé: alle ultime votazioni, tre anni fa in Lombardia si presentarono mille colleghi quando gli aventi diritto iscritti all’Ordine sono ben più di ventimila). Che si sia potuto votare per il referendum, per regioni e città, persino per l’Ordine dei medici (in questi giorni) poco importa: i giornalisti sono evidentemente più contagiosi e più contagiati. Ci sarebbe stata però la via per superare ogni problema: ricorrere al voto elettronico, come peraltro ci ha spiegato il collega Pierluigi Franz in un articolo letto nel blog di Franco Abruzzo e, soprattutto, come si pratica senza intralci per Fnsi, Inpgi, Casagit, Fondo... secondo modelli che potrebbero tornare assai utili. Certo con un impiccio in più, perché a modificare il sistema di voto, avviando il voto elettronico, non può provvedere l’Ordine per conto suo, ma occorrono due righe del ministero, due righe che introducano il nuovo procedimento, modificando un paio di articoli della legge istitutiva, anno 1963, cioè mezzo secolo e oltre addietro. La storia del voto elettronico non comincia in verità oggi e neppure ieri ma ormai tempo fa, attorno al 2016 e prima ancora, quando alcuni consiglieri (tra i quali il sottoscritto, mi permetto di vantarmi) tentarono di sostenere una radicale riforma (ci eravamo presentati, non a caso, sotto la sigla “Giornalisti per la riforma”) approfittando della legge sull’editoria (primo relatore l’onorevole Roberto Rampi), che sarebbe andata in vigore il 15 novembre 2016. In quel testo, un punto riguardava proprio l’Ordine e in particolare il numero dei componenti il consiglio nazionale, sulla cui dimensione la legge ci diede ragione, riducendo una pletorica assemblea di 156 consiglieri alla più ragionevole dimensione di sessanta consiglieri. Niente altro, però, neppure quelle due righe che avrebbero innovato le votazioni, con il vantaggio per l’Ordine di tagliare le spese necessarie per allestire i seggi e di garantire a tutti gli iscritti le stesse condizioni (mi è difficile immaginare un collega di Sondrio che scende a Milano, nell’unico seggio lombardo a disposizione, per compilare la sua scheda). Niente altro per colpa di chi? Sottovalutazione della questione, disattenzione, magari ingenuo conservatorismo e insano attaccamento al passato. Da questo triste elenco non escluderei un calcolo particolare, perché si sa che con i piccoli numeri degli elettori si gioca facile con i risultati. Sta di fatto che allora in Consiglio non si era costruita una maggioranza a sostegno di una simile proposta e senza una forte e convinta maggioranza non ci fu verso di convincere qualcuno, nel governo, nel ministero competente, tra i parlamentari impegnati nella stesura della legge per l’editoria, a interessarsi del modo con il quale si sarebbero ancora presentati alle urne alcune migliaia di giornalisti. C’era altro a cui pensare... a cominciare dalla crisi economica che stava travolgendo i media di ogni genere in Italia. Sono passati gli anni di una nuova consigliatura e non mi pare che di voto elettronico si sia più parlato, non so sinceramente se iniziative in tal senso siano state prese. Facciamo finta che sì, che il voto elettronico sia stato all’ordine del giorno, che convegni, mozioni, documenti abbiano reclamato un tale passo e che i governi, Conte uno e Conte due, siano rimasti sordi al grido di dolore. Ma si è persa traccia di tutto. Così mi sembrerebbe indispensabile, in futuro, far sentire in via Arenula più robusta la nostra voce, perché mi sembra impensabile che al ministero di Grazia e Giustizia qualcuno si svegli e arrivi per conto suo ad occuparsi di come votano i giornalisti. Senza una poderosa spinta politica non succede mai nulla. La storia insegna. Anche la terribile esperienza che stiamo vivendo e le consapevolezze che ne sono venute potrebbero aiutare la nostra prossima battaglia, perché le porte dell’elettronica e del web si aprano nella vetusta casa dell’Ordine. Potrebbero pure aiutare l’Ordine ad avvicinarsi al mondo reale e soprattutto al mondo reale del giornalismo. P.S. In un comunicato il presidente dell’Ordine di Milano ha annunciato il rinvio dell’assemblea per l’approvazione dei bilanci, consuntivo e preventivo, convocata per il 31 ottobre. Rinvio “a data da destinarsi”, nel rispetto delle indicazioni dell’ultimo dpcm, del precedente dpcm e del precedente dpcm ancora. Una catena di sette/otto mesi, fino alla prossima puntata. Galimberti ci ricorda che per i bilanci non si può procedere se non “in presenza” e che non è praticabile “la modalità del collegamento via web, che non è riconosciuta dalla normativa e non produrrebbe pertanto gli effetti di legge”. Superfluo qualsiasi commento. Ma anche questo rinvio è la dimostrazione che molto va cambiato, a partire appunto dall’adozione degli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione.
       
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