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Monti taglia le unghie al marketing editoriale
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di Paolo Pozzi C’è una norma nel Decreto “liberalizzazioni” approvato dal governo Monti che, di fatto, dà uno sonoro schiaffone ai soloni del marketing della nostrana editoria e suona invece a favore della qualità dei giornali. La norma riguarda gli edicolanti. Sì, insomma, i giornalai, oggi nuovi e inaspettati amici dei giornalisti. Si tratta dell’articolo 39 dell’ultima stesura del decreto liberalizzazioni che, se verrà confermato e approvato dalle Camere e verrà convertito in legge, riconosce agli edicolanti il diritto di rifiutare i prodotti collaterali, cioè i gadget. La vera novità delle liberalizzazioni del “sistema di vendita della stampa quotidiana e periodica”, infatti, non è tanto nella possibilità da parte degli edicolanti di fare sconti (cosa che potrà essere applicata verosimilmente più dai supermercati che dagli edicolanti), ma nella possibilità di vendere al cliente-consumatore-lettore il suo quotidiano o il suo periodico ‘nudo e crudo’, senza quelle dannate pentole, tazzine disegnate, pacchetti di pasta, borse e borsoni, macchinine, cuffiette, trolley, fazzoletti e carta igienica, trousse e trucchi vari o altre diavolerie che hanno fatto diventare le edicole dei veri bazaar e le case di tutti noi dei magazzini di merce da buttare. Con l’art. 39 del suo Dl, Monti assesta un duro colpo alle genialate del marketing che hanno contribuito non poco ad affossare le vendite di quotidiani e periodici. E giornalai e giornalisti, forse, potranno puntare di più sulla vendita di notizie (e di giornali) di qualità. L’articolo 39 del Dl Monti, in buona sostanza, boccia, in un colpo solo, le strategie di marketing che da 15 anni a oggi hanno perseguito tutti gli editori d’Italia sulla carta stampata. Monti riuscirebbe a fare così quello che i giornalisti e i giornalai non sono riusciti a contrastare in tre lustri di storia dell’editoria italiana. Con la differenza però che i giornalai hanno sempre fatto sentire la loro voce e le loro proteste contro inique imposizioni di marketing editoriale che hanno diseducato alla lettura dei giornali come la vendita dei gadget, i giornalisti no. Vediamo allora cosa dice l’articolo 39 e quali leggi regolamentano il mercato delle edicole. Il decreto Monti e le leggi del settore Nel dettaglio l’art. 39 del Dl Monti riconosce tre cose e ne stabilisce due: - riconosce agli edicolanti il diritto di rifiutare la vendita di gadget - riconosce agli edicolanti la facoltà di fare sconti e di defalcare in compensazione il prodotto fornito in conto vendita e restituito al distributore locale - riconosce la facoltà di vendere altri prodotti secondo la normativa vigente (ancora da stabilire quali) Lo stesso decreto stabilisce poi: - che il rifiuto di fornitura o l’eccesso o il difetto di fornitura da parte del distributore locale sono pratiche commerciali sleali - che tutte le clausole contrattuali tra edicolante e distributore locale in contrasto con i suindicati principi sono nulle e quindi non si applicano. La modalità di vendita della stampa quotidiana e periodica è attualmente disciplinata dall’articolo 5 del Decreto legislativo n. 170 del 24 aprile 2001 (che ora viene modificato con l’aggiunta dell’art. 39 del Dl sulle liberalizzazioni). Dal 10 gennaio 2006 esiste poi un Accordo nazionale (siglato il 19 maggio 2005) tra editori, distributori ed edicolanti che regolamenta tutto il settore e i rapporti commerciali dell’intera filiera editoriale. Le norme sono ferree. In pratica le edicole sono una rete ‘esclusiva’ al servizio degli editori. Per fare un paragone potremmo dire che le edicole sono come le Concessionarie di auto per la Fiat. Le 33mila edicole d’Italia (nel 2000 erano 40mila) sono una rete di Concessionarie in esclusiva per la Fieg e per gli editori in genere. Le edicole, oggi, non possono decidere di praticare sconti su nessun giornale, non possono decidere quali prodotti editoriali vendere, non possono rifiutarsi di vendere la pentola di fagioli insieme al settimanale Gente, hanno un margine di guadagno fisso del 19% (sulla base del prezzo defiscalizzato) sui prodotti editoriali di prima uscita (cioè la gran parte del venduto) e del 24% sui supplementi autonomi (muniti di codice a barre e indicazione della testata di riferimento) e hanno un calcolo delle rese ai distributori da parte dell’edicolante che prevede il pagamento dei giornali contestualmente alla consegna (quindi anche sui prodotti invenduti). Qualsiasi atto dell’edicolante, insomma, non è deciso dall’edicolante ma dagli editori tramite i distributori. Due sono i distributori nazionali, Anadis (Associazione nazionale distributori stampa) e Ndm (Network distribuzione media) che raccolgono insieme l’80% dei distributori locali. Ma sono gli editori che dettano legge e impongono prezzi, prodotti, abbinamenti e gadget. Dire ora – con l’art. 39 del Dl Monti – che gli edicolanti possono rifiutarsi di vendere gadget, è una rivoluzione copernicana. Non solo per gli edicolanti, ma anche per il diritto all’informazione e (non è retorico dirlo) per la democrazia. E’ importante sottolineare, infatti, che gli edicolanti devono garantire, per legge (art. 16 legge 416/81 e art. 1, comma 3 dell’Accordo Nazionale), parità di trattamento a tutte le testate. Le edicole, insomma, non sono un esercizio commerciale qualsiasi. Sono anche e soprattutto un ‘servizio’ per il diritto all’informazione e quindi per la democrazia. Un principio, questo, scritto a chiare lettere anche nell’art. 1 (Preambolo) dell’Accordo nazionale tra edicolanti, distributori ed editori, che fa – non a caso - esplicito riferimento all’art. 21 della Costituzione (diritto all’informazione). Marketing e informazione: convergenze parallele o divergenze concordate? Brand extention, abbinamenti e gadget, senza dimenticare i supersconti sulle tariffe pubblicitarie: da una quindicina d’anni sono queste le uniche (sig!) strategie partorite dalle menti dei vari direttori marketing che reggono le sorti dell’editoria italiana. I listini pubblicitari sono puramente nominali, visto che gli sconti praticati intorno al 70% sono la regola. Brand extension e abbinamenti (fra diversi giornali dello stesso editore) sono state (e lo sono anche oggi) il Vangelo e le parole d’ordine di intere case editrici, Mondadori in testa. L’obiettivo è chiaro: quello di drogare i numeri delle diffusioni per attirare più pubblicità. Tutti (o quasi) invece hanno puntato sui gadget per almeno un decennio pieno. Al punto che i gadget hanno letteralmente salvato i fatturati degli editori negli anni compresi tra il 2002 e il 2008, ma non hanno prodotto utili e tanto meno investimenti nelle redazioni. Il fenomeno dei gadget era esploso nel 2002, quando i ricavi da vendita dei collaterali (gadget) sui soli quotidiani è aumentato del 746% rispetto all’anno precedente. Gli uffici marketing degli editori gridavano vittoria e pensavano di aver trovato l’Eldorado. Dal2002 inpoi è stato un crescendo continuo per quattro anni con un ulteriore + 49% nel 2003, + 46% nel 2004 e + 12% nel 2005, anno in cui il mercato dei collaterali è arrivato a coprire quasi il 15% (14,8% per l’esattezza) dei ricavi editoriali complessivi. Il calo (brusco) è iniziato nel 2006 (-15,2%) ed è proseguito nel 2007 (-23,3%) e nel 2008 (-42,9%) facendo ripiombare la quota di mercato dei gadget al 6% rispetto ai ricavi complessivi. Il risultato dell’utilizzo smodato delle brand extension, degli abbinamenti e dei gadget (tutte strategie teorizzate e praticate dagli uffici marketing dei nostri editori), oggi, è di drammatica evidenza per l’editoria italiana: esaurita l’ubriacatura miope dei ricavi facili con i gadget, tutto il sistema di strategie di marketing (brand extension, abbinamenti e gadget stessi) non solo non ha fatto aumentare di una copia la vendita dei giornali, ma ha disabituato alla lettura a vantaggio delle pentole di fagioli e delle borsette, insomma a vantaggio della vendita dei gadget. Il risultato (evidente nei numeri) è che alla fine del decennio, nel 2010, i quotidiani hanno avuto una media di vendita di 4 milioni e mezzo di copie (più o meno ai livelli degli anni Cinquanta, a fronte di una punta massima che era stata toccata nel 1990 con 6,8 milioni di copie). Colpa di Internet? Anche, ma non solo. Il marketing, certo, ha messo del suo. In peggio. E tra i periodici? Provate a fare un calcolo – ad esempio – su Panorama e togliete le copie acquistate con Dvd e gadget vari e vedrete che le quasi 400mila copie vendute (l'ultima rilevazione Ads di ottobre 2011 dava 351.637 copie diffuse su 460.038 di tiratura) si riducono a circa centomila, se il settimanale fosse venduto ‘nudo e crudo’, cioè ai lettori veri (gli altri 300mila acquirenti, di fatto, comprano il gadget, anche se fosse venduto senza giornale). Sul fronte pubblicitario è ancor peggio: le strategie di marketing delle brand extension, degli abbinamenti e dei gadget che hanno gonfiato i numeri delle diffusioni hanno portato le aziende che investono in pubblicità a non credere più ai dati delle diffusioni certificate dalla stessa Ads, visto che il 2009 (cioè l’anno successivo al quadriennio d’oro dei gadget), ha chiuso con un – 13,4% (dati Nielsen), il 2010 con un + 3,8% e il 2011 ha una previsione di chiusura intorno a -6%. Colpa della crisi? Anche, ma non solo. Il marketing, certo, anche in questo caso, ha messo del suo. In peggio. Vedremo ora - quando e se l’art. 39 del decreto ‘liberalizzazioni’ di Monti andrà in funzione - cosa diranno gli uomini del marketing, i pubblicitari, gli editori, i distributori, gli edicolanti e i consumatori. Forse anche la categoria dei giornalisti (che fa i giornali, ma nulla, o quasi, sa di come vengono prodotti, distribuiti e venduti) dovrà dire la sua. Forse sarà anche il caso di mettere tutti intorno a un tavolo – finalmente! - e discutere dell’intera filiera di produzione di un giornale. Di certo i giornalisti non possono lasciare solo ed esclusivamente in mano agli uomini del marketing le soluzioni per una migliore diffusione dei giornali e del futuro dell’informazione.