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Le nostre proposte per riformare l'Ordine


di Oreste Pivetta pergamenaCon la presentazione e con le successive votazioni alla Camera e al Senato della cosiddetta legge per l’editoria (Istituzione del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione e deleghe al Governo per la ridefinizione del sostegno pubblico all'editoria) si è avviato il cammino della riforma, più volte invocata, dell’Ordine dei giornalisti, il cui ordinamento venne fissato dalla legge del 1963, una legge che risale dunque a oltre mezzo secolo fa. La proposta di legge per l’editoria, si limita, per quanto riguarda l’Ordine, a fissare il numero dei consiglieri nazionali, ripristinando il rapporto due/uno tra professioni e pubblicisti (“purché questi ultimi siano come tali titolari di una posizione previdenziale attiva presso l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani”), secondo quindi l’indicazione all'origine della legge istitutiva (articolo 16 Capo II), delegando al Governo il compito di fissare le competenze del Consiglio nazionale (entro sei mesi dalla approvazione della legge stessa) in materia di formazione e di disciplina, adeguando il sistema elettorale, “garantendo la massima rappresentatività territoriale”,e ribadendo che “nessuno può assumere il titolo né esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell'elenco dei professionisti ovvero in quello dei pubblicisti dell’albo istituito presso l’Ordine regionale o interregionale competente...” (articolo 5 della nuova legge). Il documento che proponiamo rappresenta una sintesi programmatica, raggiunta sulla base delle esperienze maturate da alcuni consiglieri nazionali dell’Ordine e delle discussioni avvenute all'interno di Nuova Informazione. Lo scopo è quello di sottolineare le “voci” o gli “spunti” di una riforma complessiva dell’Ordine, alcuni dei quali rappresentano peraltro i “titoli” delle deleghe affidate alla responsabilità del Governo. L’auspicio è che questa sintesi possa servire da traccia ad un dibattito che coinvolga l’intera categoria e in particolare il sindacato e che possa pure fornire indicazioni utili a chi nel Governo dovrà completare il quadro della riforma, in una condizione del sistema della informazione e della comunicazione in piena crisi e in continuo cambiamento e i cui sviluppi sembra impossibile immaginare, partendo dalla convinzione che compito dell’Ordine dei giornalisti è assicurare sia la tutela dell’esercizio che l’osservanza dei principi deontologici in qualsiasi tipo di attività giornalistica, osservando il principio costituzionale secondo il quale l’informazione giornalistica in qualsiasi forma e attraverso qualsiasi strumento è un bene comune che va protetto nell'interesse della collettività. La legge istitutiva dell’Ordine non definiva la figura del giornalista, limitandosi a distinguere tra professionisti e pubblicisti solo in rapporto alla esclusività e alla continuità o alla “non occasionalità” (stabilendo comunque che l’attività “non occasionale” fosse “retribuita”) dell’esercizio della professione. Professione che mezzo secolo fa si poteva racchiudere dentro limiti relativamente certi (stampa, televisione, radio), ma che via via nel tempo si è sviluppata acquisendo caratteristiche nuove, in modo più rapido negli ultimi decenni in relazione all’affermazione delle nuove tecnologie e alla moltiplicazione degli strumenti dell’informazione (e della comunicazione). E’ possibile delineare con certezza che cosa sia oggi giornalismo e fissare con altrettanta certezza ruolo e caratteri di chi lo esercita? Crediamo che, al di là delle analisi e della teoria, la risposta concreta di fronte alla moltiplicazione delle possibili figure professionali stia nella definizione delle modalità di accesso alla professione. Superato l’istituto del praticantato (reale o d’ufficio), che si tentò di aggirare attraverso l’istituzione dei master, crediamo che l’unica via sia un corso universitario (prevedendo una laurea triennale non specialistica e una laurea magistrale specialistica nel biennio successivo, all’interno del quale siano previsti stage, dai tre ai sei mesi, certificati), finalizzato alla partecipazione all’esame di Stato, superato il quale si diventerebbe “giornalisti iscritti all’Ordine” (cancellando progressivamente la distinzione tra professionisti e pubblicisti, distinzione tuttavia ribadita dalla nuova legge), con l’obbligo dunque al rispetto delle leggi e dei regolamenti ordinistici (dalla formazione ai codici deontologici). Riassumendo... a) - La strada indicata per l’iscrizione all'Ordine (laurea triennale, più laurea magistrale specialistica e stage) conduce al superamento progressivo del doppio elenco professionisti-pubblicisti e impone di riconsiderare modalità e contenuti dell’esame di Stato (creando un albo di giornalisti abilitati a far parte delle commissioni d'esame, secondo competenze relative alle nuove caratteristiche e ai nuovi strumenti della informazione). Si dovrebbe prevedere inoltre la revisione (con procedure semplificate rispetto a quelle ancora operanti) degli albi, per giungere alla cancellazione di chi non essendo pensionato non esercita la professione e di chi non risulti iscritto all'Inpgi (la revisione dovrebbe riguardare comunque quanti non abbiano superato un certo numero di anni - trenta?- d’iscrizione). Anche la sentenza della Cassazione del 19 maggio 2016 ha sancito peraltro l’obbligatorietà dei versamenti Inpgi per quanti oggi sono pubblicisti. (N.B. la proposta di legge fa riferimento all’obbligo di iscrizione all’Inpgi solo per quanto riguarda la composizione del Consiglio nazionale: “due terzi giornalisti professionisti e un terzo pubblicisti, purché questi ultimi siano come tali titolari di una posizione previdenziale attiva presso l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani”). b) - Al nuovo Consiglio nazionale (che sarà eletto nella dimensione e nei termini che il governo indicherà con l’approvazione definitiva della legge, ma che in ogni caso dovrebbe accogliere almeno tre presidenti in rappresentanza dei Consigli regionali) spettano responsabilità di orientamento generale e manifestazioni di significato politico-culturale a difesa dei diritti fondamentali del giornalista e tocca ogni decisione che richiami il giornalista al rispetto dei suoi doveri (vedi articolo 2 e articolo 20 legge istitutiva 1963. Al Consiglio Nazionale compete inoltre la definizione di regole omogenee su temi di rilievo e di valenza nazionale come accesso, formazione, deontologia (con l’aggiornamento della carta deontologica). Nel Cnog, oltre all'Esecutivo, dovrebbero essere elette tre commissioni permanenti: Amministrativa, Ricorsi e Cts, per adempiere agli obblighi di legge. Le altre commissioni presenti attualmente, giuridica e culturale, dovrebbero diventare gruppi di studio a progetto, presieduti da un consigliere nazionale e aperti ad esperti delle varie professioni. c) - Gli Ordini regionali e interregionali (per dimensioni omogenee per quanto possibile), secondo quanto previsto dalla legge istitutiva, sono i titolari della tenuta degli albi, della vigilanza sugli iscritti, dell’applicazione della deontologia e della formazione. I loro Presidenti o delegati dovrebbero affiancare il Cnog con funzione consultiva e partecipare alle sedute con diritto di parola. d) - La formazione, obbligo previsto dalla legge Severino, resta in capo ai Consigli regionali, che dovranno programmarla con particolare attenzione alla deontologia. Al Cnog sono riservati i compiti di vigilanza sulla congruità delle proposte e di stesura del regolamento. Attraverso il Cts, il Consiglio nazionale stabilirà anche le sanzioni per chi non ottempera all'obbligo di legge. e) - La consigliatura, per il Consiglio nazionale e per i Consigli regionali, dovrà avere una durata di quattro anni. f) - I Consigli di disciplina dovranno avere la stessa durata del Cnog e dei Consigli regionali ed essere eletti nella stessa tornata elettorale sia per il nazionale che per il regionale. g) - Dovrà essere introdotto nelle consultazioni elettorali il voto elettronico sia per il Consiglio nazionale che per i Consigli regionali. Il voto potrà essere esercitato secondo criteri di rappresentanza nazionale (o per consigli interregionali o macroregioni) che dovranno essere adottati dopo l’approvazione della legge dell’editoria, nel vincolo della parità di genere e di un corretto rapporto tra attivi e non più attivi. h) - Limite dei mandati i) - Divieto, per i consiglieri nazionali e regionali, di rivestire altri incarichi negli organismi di categoria (regola della “non cumulabilità” che dovrebbe essere condivisa anche dagli altri organismi di categoria). P.S. Più volte (ad esempio in una recente riunione del Consiglio nazionale dell’Ordine, ma anche nel corso di incontri organizzati da Nuova Informazione) si è sollevato il tema della rapporto tra informazione e pubblicità, riflettendo in particolare su quanto sta avvenendo nell'online. Sosteniamo da sempre come l’indipendenza economica del giornalista sia la garanzia di una libera informazione e costituisca la prima tutela del diritto del cittadino ad una libera informazione, un principio questo che dovrebbe essere esteso all'intera comunità dei lavoratori della comunicazione. L’Ordine dei giornalisti, per sua natura, non può, a nostro giudizio, che sostenere questo principio, impegnandosi in una battaglia ideale e culturale, forte nella denuncia, di fronte al manifestarsi sempre più frequente di intrecci scorretti tra pubblicità, informazione e comunicazione, auspicando che su questo argomento si sviluppi un dibattito che coinvolga con l’Ordine stesso, il sindacato, la Federazione degli editori, le associazioni dei pubblicitari e naturalmente i ministeri competenti, con l’obiettivo di giungere ad un aggiornamento delle carte deontologiche, delle procedure e delle norme sanzionatorie e soprattutto ad una sensibilizzazione di operatori e di fruitori dell’informazione.
       
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