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La memoria tiene vivi, loro e noi
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Ci sono defunti e Defunti. Saranno pure tempi difficili, tempi di crisi, di disoccupazione e scarsa morale, nei quali la tentazione di prendersi una tregua dall'impegno è forte. Ma sarebbe un tradimento. Della nostra vita e della loro: non saremo noi ad ucciderli una seconda volta, comportandoci come se i loro ideali non fossero anche i nostri e come se la loro morte non ci chiamasse ogni giorno in causa. L'occasione è la data dei crisantemi per i nostri "maggiori" di famiglia, morti nel loro letto, in ospedale, in officina, sui campi di guerra. Ma anche e come ogni anno a Milano, al Campo della Gloria, commemorazione dei padri della nuova patria, i ragazzi caduti sui monti o fucilati dai nazifascisti e quelli sopravvissuti che ci han dato esempi e una bella costituzione solo in parte applicata. Il 31 ottobre Roberto Cenati, il "nostro" segretario Anpi provinciale (un gruppo di giornalisti di Nuova Informazione è iscritto alla sezione Uno ), ha riassunto tutto in un ricordo che val la pena riportare: "Nei nomi dei caduti per la Libertà incisi al Campo della Gloria è racchiusa una parte importante della storia del Secondo Risorgimento nazionale, la Resistenza, così come è menzionato nella motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita alla nostra città. Da ogni nome emerge la memoria di quelle unità italiane che cancellarono la vergogna del fascismo, che combatterono e caddero nelle isole dell’Egeo, a Cefalonia, a Lero, a Rodi; dei nostri soldati che combatterono a fianco delle truppe alleate, che parteciparono allo sfondamento della linea gotica e che nelle giornate dell’Aprile 1945 percorsero di slancio la via Emilia; dei militari italiani catturati dopo l’8 settembre 1943, deportati nei lager tedeschi (furono complessivamente 650.000; 50.000 dei quali non fecero ritorno) che preferirono la prigionia alla promessa di rientrare in Italia, subordinata alla loro adesione alla Repubblica di Salò; degli ebrei milanesi che videro spegnere la propria vita nei campi di sterminio nazisti; dei partigiani, delle partigiane del Corpo Volontari della Libertà, degli oppositori politici al regime nazifascista, dei lavoratori deportati nei campi di concentramento a seguito degli scioperi del novembre-dicembre 1943 e del marzo 1944. La memoria di questi caduti ci ricorda anche quella delle migliaia di civili trucidati dai nazifascisti nelle numerosissime stragi compiute tra l’8 settembre 1943 e l’aprile 1945. Emblematiche rimangono quelle avvenute, tra l’agosto e il settembre 1944 a Marzabotto, a Grizzana Morandi, a Monzuno, a Sant’Anna di Stazzema, dopo che le truppe tedesche, costrette ad abbandonare Roma, si ritirarono lungo la linea Gotica. Proprio recentemente la procura tedesca, con una gravissima decisione, che ha suscitato un’ondata d’indignazione nel nostro Paese, ha deciso di archiviare l’inchiesta riguardante otto SS responsabili dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema avvenuto il 12 agosto 1944 nel corso del quale furono trucidate 550 persone, di cui 116 bambini, crimine per il quale il tribunale di La Spezia nel 2005 aveva condannato all’ergastolo le otto SS.
La memoria dei morti qui, al Campo della Gloria, esige che ci interroghiamo su come abbiamo raccolto l’eredità spirituale che Caduti e Combattenti per la Liberazione ci hanno lasciato. A questa riflessione, a questo vero e proprio esame di coscienza ci invitava Piero Calamandrei sin dal lontano febbraio 1954 quando osservava che la ricerca del significato della Resistenza voleva dire “indagare dentro di noi per verificare cosa è rimasto di vivo della Resistenza nelle nostre coscienze; che cosa ci sentiamo ancora capaci di trasmettere di quel tempo a coloro che verranno dopo di noi”, se qualcosa si è rinnovato dentro di noi per ritenerci realmente degni di quel monito. Rispetto a questo interrogativo mai, finora, ci siamo ritrovati con animo così turbato come oggi. Dobbiamo affrontare, nel nostro Paese, una drammatica crisi economico sociale che investe l’Europa, che sta mettendo in discussione il futuro delle giovani generazioni e che rischia di provocare il disgregarsi della convivenza civile, la miseria, la messa in discussione delle basi e delle fondamenta della stessa democrazia.
La gravissima depressione economica dell'Europa ha indirettamente determinato e si è intrecciata con un altro preoccupante fenomeno: il rifiorire nel nostro continente di formazioni neofasciste e neonaziste che hanno assunto particolare consistenza in paesi come l’Ungheria o la stessa Grecia. In Europa populismo, nazionalismo, antisemitismo, estremismo di destra e neonazismo tendono sempre più ad accavallarsi e sovrapporsi, mescolandosi l’uno nell’altro. Anche se le situazioni da Paese a paese sono molto diverse, simile rimane invece la scelta dei partiti o movimenti di scagliarsi, in primo luogo, contro un nemico esterno, di volta in volta identificato nei rom, negli ebrei ( ricordiamo tutti con orrore la terribile strage nella scuola ebraica di Tolosa del 19 marzo scorso), nei musulmani o negli stranieri in genere. Anche nel nostro Paese e a Milano, città Medaglia d’Oro della Resistenza, si stanno manifestando pericolosi rigurgiti neofascisti e neonazisti che offendono la memoria di chi ha sacrificato la propria giovane vita per la libertà. Si è giunti persino a celebrare a Perugia e a Predappio il novantesimo anniversario della marcia su Roma, uno dei fatti più sciagurati della storia nazionale e a dedicare un mausoleo a Rodolfo Graziani, Ministro della Difesa di quella Repubblica di Salò, instauratasi contro i valori della nostra civiltà fondata sulla libertà, sul rispetto della persona umana, sulla solidarietà e l’uguaglianza.
Gli esponenti di quella pseudo repubblica, è bene ricordarlo a chi vuole ancora oggi mettere sullo stesso piano partigiani e repubblichini, furono definiti da una sentenza del 16 luglio 1945 della Suprema Corte di Cassazione, traditori e collaborazionisti del nemico, contro il quale, lo Stato legittimo aveva dichiarato guerra il 13 ottobre 1943.
Questi preoccupanti segnali hanno una spiegazione ben precisa: se il fascismo è stato sconfitto militarmente nel nostro Paese il 25 aprile 1945, non lo è stato culturalmente e idealmente. Molte persone non conoscono bene cos’è stato il fascismo, quali tragedie ha provocato al Paese e non sanno che il fascismo non promise mai l’emancipazione e la liberazione dell’uomo e tanto meno della donna. Prima e dopo la conquista del potere il fascismo dichiarò sempre apertamente di considerare le masse un materiale da plasmare per conseguire gli obiettivi della sua politica di dominio e di potenza. I Caduti di questo campo ci impongono il dovere della Memoria legata alla storia che è il contrario dell’oblio, che tende a stemperare tutto, a cancellare le differenze e a farci vivere in un presente senza storia.
Ma l’esame di coscienza a cui ci richiama Piero Calamandrei pone un altro drammatico problema. Siamo di fronte, nel nostro paese, ad una caduta senza precedenti dell’etica pubblica, a un’implosione di tutti i valori, a un allentamento delle tensioni politiche e morali, al manifestarsi quasi quotidiano di fenomeni di corruzione, sino alla scoperta di infiltrazioni della criminalità organizzata nella stessa amministrazione pubblica. La conseguenza inevitabile di questa deriva etica che ha determinato, fra l’altro, una preoccupante assuefazione della gente alle numerosissime situazioni di illegalità, è costituita dal venir meno della speranza nella possibilità di costruire una società più giusta e da una perdita di fiducia forse irreversibile da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni.
Occorre un forte sussulto delle coscienze, occorre una vera e propria rivolta morale, alla quale ci chiamano i partigiani Carlo Bianchi, fucilato con altri 66 patrioti a Fossoli e Teresio Olivelli, assassinato nel lager nazista di Hersbruck che, negli anni del regime fascista, posero a fondamento del giornale clandestino “Il ribelle”, la questione della rigenerazione e della rinascita etica della società. Bisogna rilanciare nella società contemporanea la cultura della legalità, il richiamo alla Costituzione repubblicana, ai valori dell’antifascismo, della politica intesa come servizio alla collettività come ci ha insegnato l’intera vicenda resistenziale. Anche se il quadro che ci circonda è desolante, dobbiamo sconfiggere l’odio e la diffidenza per la politica, che il fascismo ha instillato negli italiani, considerandola “una cosa sporca” e restituirle il suo significato originario di partecipazione e impegno disinteressati per il bene comune.
Ma questo non basta. La politica si salva solo se è capace di rinnovarsi profondamente, se non si appiattisce sui problemi dell’immediato, sulla pratica del piccolo cabotaggio, se non si riduce a giochi di potere, a iniziative di corto respiro, ma se si dota di progettualità e si caratterizza per la sua tensione e proiezione verso l’avvenire. La politica per ritornare a parlare alla gente non può restringersi in un’ottica provinciale, non può non fare riferimento al contesto europeo e alla constatazione che le nazioni sovrane, come già rilevato nel 1941 da Altiero Spinelli, non costituiscono più il quadro in cui possono risolversi i problemi del presente. Dalla Resistenza discende oggi la scelta europeista, di un’Europa democratica, politicamente e socialmente unita, stella polare, insieme alla Carta Costituzionale dell’Italia repubblicana.
I problemi che abbiamo di fronte sono difficili e complessi e richiedono, impegno, rispetto dei principi, dei valori e delle regole della Costituzione fondata sull’equilibrio dei tre poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) che sono alla base della democrazia repubblicana. Lo sottolineava in una intervista rilasciata il 19 gennaio 1996 al quotidiano “La Repubblica”, il compianto cardinale Carlo Maria Martini : “L’impulso ad affidarsi a uomini della Provvidenza – sosteneva il cardinale Martini - affiora sempre nei passaggi difficili della storia. Quando le situazioni appaiono troppo complesse, si vorrebbe qualcuno che quasi magicamente tirasse fuori la soluzione. In realtà occorre la pazienza di affrontare i passaggi difficili, utilizzando tutte le persone competenti e di buona volontà senza mitizzare nessuno”.
Ricordava, infine, il Presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, nella prefazione al libro di Piero Calamandrei Uomini e città della Resistenza,dedicata ad alcune considerazioni sul tragico periodo della dittatura fascista: “C’era, in quegli anni di durissime prove, tra tante tragedie e lutti, una speranza nell’aria” realizzatasi in buona parte dopo la Liberazione, ma rimasta sempre viva, a indicare il cammino da compiere, nei difficili anni del dopoguerra. “Il ricordo della Resistenza – concludeva Ciampi - incita ad andare avanti sulla strada intrapresa”.
Questo è dunque il doveroso e impegnativo compito che dobbiamo assumerci se non vogliamo essere noi, vivi, indegni di coloro che hanno sacrificato la loro giovane vita per restituirci la libertà e la democrazia. Sono la nostra vita e il nostro impegno che possono dare un significato e una ragione rasserenatrice e consolante alla loro morte". Roberto Cenati