Aggiornato al

Il cambiamento attraversa la deontologia


Il rapporto fra informazione e pubblicità (chiaro? o ambiguo? o perverso?) è stato indagato da una ricerca congiunta Ordine/Università d'Urbino presentata oggi a Milano. Ma la parte più interessante del dibattito ha riguardato la deontologia e la necessità, prima ancora che il dovere, d'un suo cambiamento entro il cambiamento più vasto. Riportiamo quindi l'intervento centrale, di Michele Urbano Si sa, la  deontologia è l’insieme dei doveri e dei diritti che regolano alcune professioni. Invece, spesso, non si sa, che la deontologia è problema moderno. Strettamente legato al mondo delle professioni. Piccola precisazione storica. Il termine è stato coniato dal filosofo inglese Jeremy Bentham (1748-1832) derivandolo  dal greco, ma la parola per la prima volta fu pronunciato in inglese: deontology. Domanda preliminare:  se una professione cambia anche la deontologia cambia? Facciamo un passo indietro, anzi a lato. La legge istitutiva dell’Ordine è del ’63 e aveva due principi deontologici di fondo: 1) la lealtà verso il lettore 2) la verità putativa Con il principio della lealtà la legge sanciva un principio morale: l’obiettività  come espressione dell’onestà del giornalista. Con la verità putativa stabiliva un principio di responsabilità professionale: non ti chiedo la verità assoluta, ti chiedo di garantirmi che hai fatto il possibile per verificare quanto mi racconti. Principi sempre validi. Che però nascono come esigenza di regolamento e controllo di un modello professionale tipico della prima metà del secolo scorso. Caratterizzato dalla stampa su carta. E poi dalla radio. La Tv ha cominciato la sua marcia di conquista. Ma in Europa  è ancora lontana un paio di decenni dalla sfolgorante pervasività che è destinata a conquistare. Dunque quei capisaldi deontologici erano il nobile riflesso di un modello informativo non ancora del tutto superato ma che  ha subito radicali trasformazioni. Prima conclusione: alla domanda se una professione cambia anche la deontologia cambia? Bisogna rispondere che i principi ispiratori – verità e lealtà – per la professione giornalistica restano validissimi ma devono trovare una nuova declinazione, anche operativa, con le nuove frontiere dell’informazione che la tecnologia ha radicalmente ampliato. Diciamolo subito: l’operazione non è facile perché il cambiamento è in corso e il sistema comunicativo-informativo presenta ampie aree grigie dove tutto si confonde. Non solo i contenuti, anche i destinatari e i ruoli (esempio: un testimone non è un giornalista) . C’è internet, che è in sé un nuovo modello di comunicazione. E che al contempo  veicola l’informazione classica e anche quei social network che sono comunicazione e informazione insieme, che sono per definizione l’intreccio tra testimonianza (cronaca) e opinione, tra verità obiettiva e deformazione critica. E c’è un telefonino che è sempre più intelligente e multiuso. Che si affianca al Pc e in alcune funzioni  ormai si sovrappone (si pensi solo alla posta elettronica). C’è la Tv digitale che significa, rispetto a ieri, una straordinaria moltiplicazione dell’offerta televisiva. Anche informativa. Ci sono i tablet  e i pc ultraportatili, che sono supporti mobili di cultura (la rete ma anche libri) e strumenti di comunicazione attiva e passiva. Tutti questi ingredienti  li vediamo bene in vista sul tavolo del presente , ma nessuno riesce a immaginare come si fonderanno tra loro . Insomma, non sappiamo quale sarà il piatto che lo chef (ossia il processo di cambiamento)  ci servirà nei prossimi anni. Qualche collega racconta col tono della favola del “giornale ricaricabile”, ossia di un foglio di materiale leggero quanto resistente che si può “caricare” via internet con le notizie del giornale preferito. Fantascienza? Non so.  So però che da parecchi mesi per andare sui mezzi pubblici a Milano non uso più il biglietto di carta ma una card su cui faccio caricare tesserini e biglietti.  So che una grande casa editrice vende degli aggeggi che stanno comodamente in una tasca e che contengono praticamente una intera libreria. La rivoluzione tecnologica corre. E sta già modificando abitudini e strumenti consolidati. Per molte grandi aziende oggi la conferenza stampa, l'incontro stampa, in una parola sola, i rapporti con la stampa funzionano in manira diversa di appena qualche anno fa. I rapporti sono differenziati tra old e new media. E naturalmente anche le cartelle stampa o il comunicato stampa vengono confezionate in maniera differente. E dunque: come si può tentare di definire gli ambiti delle regole e i criteri applicativi su un qualcosa che si fa fatica a definire nei soggetti, nei contenuti, nelle specificità  professionali? Non ci riuscirebbe nemmeno Jeremy Bentham che della deontologia voleva fare scienza esatta. E c’è un altro problema. Il cambiamento è un processo complesso che si sviluppa su diversi piani e a volte con tempi diversi. E non è derivato solo dalla tecnologia. A sostenerlo può anche essere un’evoluzione morale o se preferite politica. Succede che la collettività maturi sensibilità ed esigenze nuove. Derivanti  dallo sviluppo tecnologico  (la scoperta della macchina  vapore e l’industrializzazione) o da un cambiamento politico (la rivoluzione francese o quella russa). O da entrambi . Nuove tecnologie e nuove sensibilità possono diventare una staffetta instancabile e velocissima nel promuovere cambiamento. Ancora un paio di esempi. L’emancipazione femminile ha modificato i comportamenti ma anche il diritto, l’organizzazione del lavoro, i consumi. L’invenzione dell’aratro  modificò la vita dei primi agricoltori ma garantendo condizioni di vita migliori e minore fatica, creò le condizioni base per  lo sviluppo delle arti e delle scienze, in una parola della civiltà. Delle nuove tecnologie abbiamo già detto. Domanda: nella professione giornalistica c’è anche qualche altra tendenza culturale che spinge al cambiamento? Ebbene, da parecchi anni ormai l’informazione – non solo in Italia - vive il fenomeno di un opinionismo aggressivo.  Si pensi a qualche giornale o a qualche talk show. Un opinionismo dove la partigianeria viene orgogliosamente esibita e che spesso rende difficile distinguere tra notizie  e commenti. Accantoniamo la domanda generale (perché nell’informazione, con particolare attenzione a quella italiana,  si è affermata questa tendenza?) che ci porterebbe lontano. Ma è evidente che l’opinionismo è un acceleratore del cambiamento, in quanto influenza e modifica le sensibilità sociali e politiche. Dunque, da una parte abbiamo in corso un processo innovativo  delle tecnologie che canalizzano l’informazione, dall’altra abbiamo un modello informativo che influenza i comportamenti sociali e politici. Torniamo al la deontologia. Ovvio, difficile stabilire  nuove regole e i nuovi ambiti applicativi a una realtà che è in divenire. Dove il disorientamento convive con l'esigenza di maggiore rigore etico, dove il modificarsi delle specificità professionali corre parallelo lungo un rafforzato desiderio di identità professionale. Io non sono contro le diverse  carte che negli decenni  sono state elaborate e approvate, da quella  dell'infanzia, a quella dei diritti e doveri fino ad arrivare a quella di Roma sui migranti. Ma se alla fine ne conto tredici allora mi chiedo se non sono troppe, mi chiedo se non sono una forza ma anche una debolezza, nel senso che possono essere lette anche come spia di una identità sempre più fragile. Ma se tutto questo è vero c’è un compito ormai urgente quanto fondamentale che è precondizione deontologica: il monitoraggio del cambiamento. Qualcuno può vietare all’Ordine  nazionale di dotarsi di una struttura con  l’obiettivo di visionare i tg delle principali reti nazionali, i principali quotidiani nazionali su carta e on-line? O che gli ordini regionali facciano altrettanto per monitorare a loro volta, con sistematicità, i giornali locali su carta e on-line e le Tv locali? Sia chiaro: non commissioni di censura ma sentinelle a guardia di una professione che cambia, capaci di segnalare i  pericoli, gli errori e, magari di intervenire per correggere. Capire il cambiamento per governarlo, Anche con la deontologia. Lealtà e obiettività sono pratiche professionali che hanno bisogno di strumenti di difesa e di controllo. Oltre che naturalmente di repressione. Ma il primo passaggio è quello della conoscenza.  Che ora manca del tutto. Una sola precisazione. Il monitoraggio meglio sarebbe se facesse capo agli ordini regionali  ma nulla vieta che a esercitarlo quotidianamente sia, ad esempio, un gruppo di allievi di una scuola riconosciuta dall’Ordine sotto la responsabilità della presidente dell’Ordine o di un suo delegato.  Sarebbe un ottimo esercizio didattico e un buon servizio alla collettività. La quale volendo potrebbe dotarsi anche di altri strumenti. Un difensore dell’informazione è idea così irrealistica? Attenzione, difensore  non garante. Il garante dei lettori in Italia non ha funzionato.  Forse perché andava a collidere con le funzioni del direttore, forse perché la sua autonomia alla prova dei fatti diventava un problema. L’idea è che un difensore dell’informazione può essere utile solo se esterno, realmente indipendente. Modello difensore civico. Riconosciuto dall’Ordine regionale dei giornalisti, ma espressione della collettività (del Comune o della Regione).  Che possa attivare dei procedimenti nei nuovi consigli di disciplina dell’Ordine ma anche attivarsi presso i giornali per dare risposte rapide ai problemi posti dai cittadini-lettori  o ascoltatori. E’ essenziale(potrei dire, forse sarebbe meglio, è esiziale) sapere dove si va. La professione sta cambiando velocemente. Non attrezzarsi per capire dove stiamo andando così come non attrezzarsi per difendere la credibilità dell’informazione è un peccato di indolenza che i giornalisti potrebbero pagare molto caro attraverso una travolgente crisi d’identità che peraltro è già in atto. E peggio, la potrebbero pagare ancora più cara i cittadini, privati di una informazione pulita, onesta, professionale su cui formarsi opinioni frutto della realtà e non di interessi. Milano, 26 gennaio 2012 (Circolo della stampa), presentazione e discussione della ricerca "Giornalismo e pubblicità: relazioni pericolose?". A questo link è possibile vedere la registrazione video completa (7 filmati) dell'incontro.
       
    Il sito Archivio notizie

logo nuova informazione