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Chi si rivede: la zona grigia che alimentò il fascismo...


di Oreste Pivetta Martedì pomeriggio alcuni individui che vantavano il loro tifo laziale (magari la società Lazio potrebbe prendere le distanze da certe manifestazioni di “tifo”: forse lo ha già fatto) hanno mostrato uno striscione che recava la seguente scritta: onore a Benito Mussolini. Alcuni sono stati identificati e denunciati. Con i laziali c’erano anche un paio di cosiddetti tifosi interisti. Sono notizie ormai ampiamente conosciute, la scena è stata ripresa da siti e giornali. Quegli individui si erano schierati lungo un marciapiede accanto a Piazzale Loreto, un luogo che è diventato un simbolo della fine del regime fascista, là dove vennero appesi i cadaveri del dittatore, di Claretta Petacci, di altri gerarchi. Piazzale Loreto è anche altro: il luogo dove vennero fucilati dai militi della Muti, per ordine del comando nazista, quindici partigiani, i cui cadaveri furono lasciati esposti per un giorno intero. Per rappresaglia per un attentato, dai contorni misteriosi, i cui responsabili non furono mai individuati, un attentato che i Gap mai rivendicarono  e nel quale morirono sei italiani. Ho ricordato, con la vicenda di questi giorni, la storia di un passato ormai lontano (settantacinque anni fa), chiedendomi che cosa ne sapessero quei “tifosi”, se avessero mai letto qualcosa a proposito dei quindici Martiri di Piazzale Loreto, quindici giovani, probabilmente loro coetanei, scelti a caso tra i reclusi di San Vittore da un capitano delle SS, Theodor Saevecke. Sono ovviamente curioso di vedere a quali risultati condurranno le indagini della magistratura, anche sui rapporti tra i gruppi neonazi e le “curve” degli ultrà (non sono mancati, a chiudere il pomeriggio, questa volta allo stadio, gli incessanti insulti razzisti all’indirizzo di un giocatore del Milan, Bakayoko) . Ma vorrei capire qualcosa oltre quanto potrebbero indicarci le inchieste giudiziarie. Confesso: mi piacerebbe avvicinarmi a quegli individui,  per capire chi sono, quale è la loro professione, quali scuole hanno frequentato, quali insegnanti hanno incontrato, perché vorrei conoscere quali siano le ragioni che li spingono a ostentare uno striscione che è un omaggio a un personaggio tragico e ridicolo, che ha trascinato l’Italia alla rovina. Mi piacerebbe sapere che cosa sanno della storia che vorrebbero esaltare, come giudicano il presente e come credono che in questo “presente” possa rivivere quel “passato”. Non li ho definiti “fascisti”, come sarebbe stato facile definirli, perché suppongo non sappiano che cosa sia il fascismo... Chiederei molto altro, per esempio se hanno idea di che cosa sia la Costituzione, per rispondere allo stupore che mi agita. Il 25 Aprile a Milano è stato un’altra volta una grande giornata, nella festa, nel ricordo, nella certezza che quanto conquistato dalla lotta di Liberazione non andrà disperso. Migliaia di persone, settantamila si è letto nei siti, forse di più, una presenza non prevista: a un certo punto non si andava né davanti né indietro, tutti bloccati in attesa che la testa del corteo procedesse verso piazza del Duomo. Tanti striscioni, tante bandiere (per “dovere” professionale, ricorderò che sventolavano anche quelle, non particolarmente vistose, del sindacato dei giornalisti lombardi), tanti colori. Soprattutto un emozionante senso di solidarietà, nelle differenze. Anche Salvini si sarebbe reso conto che quelle “voci”, nella ricchezza della diversità, neppure per sbaglio si sarebbero potute ridurre alla fazione di un derby. Resta nel “cuore” di Milano l’offesa di quei venti “tifosi laziali” che con il loro striscione, con i saluti romani, inneggiano a Mussolini e che rappresentano, non soli, insieme invece, in questi giorni di celebrazioni della Liberazione, con gli imbrattatori di muri a colpi di svastiche, con i vandali che nottetempo bruciano le corone in memoria dei caduti partigiani o che danneggiano i monumenti, certo una minoranza, però una minoranza spalleggiata dai banali seminatori di qualunquismo, dagli agnostici, dai sindaci che nella loro orgogliosa ignoranza  auspicano anniversari “apolitici” (come se antifascismo e fascismo non fossero categorie della politica), dai revisionisti da teleromanzo e dai divulgatori di fake news che popolano blog e, peggio ancora, ogni talk show delle reti televisive pubbliche e private, dagli smemorati, dalle vittime inconsapevoli della rincorsa qualunquistica (pesa ancora la responsabilità della televisione nel proporre una certa cultura e certi “miti”). Cioè la “zona grigia”, insapore, assente, distratta, che il nostro vice premier alimenta, ad ogni sua impresa, quando semina paure, ogniqualvolta fa propaganda di immigrazione, di blocchi navali, di armi, di legittima difesa, di flat tax . Una “zona grigia”, che ci rimanda indietro nei decenni, quando un’altra “zona grigia”, tra egoismi e credulità, tra corruzione e speranze, aveva assistito inerte alla affermazione del fascismo.
       
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