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Addio Cesare, un maestro, un amico


Quando se ne va un amico e se ne va a 66 anni il dispiacere si mescola ai sensi di colpa, alle mille promesse (ci vediamo, vengo sù a vedere le tue sculture, dai che ci troviamo per cenare in collina), promesse mancate non per malanimo ma per mille urgenze e anche, diciamolo, per quella traditrice sensazione di avere davanti a sè un tempo infinito… Insomma, chi tra voi fa sindacato da parecchio tempo si ricorderà Cesare Roccati, da un paio d’anni pensionato della Stampa dopo essere stato in prima linea nell’autogestione de la Gazzetta del Popolo (uno snodo fondamentale della nostra storia di categoria: ma la insegnano alle Scuole di giornalismo?), un uomo puro e ricco di comprensione umana, che si è speso in prima persona in tutte le direzioni: come giornalista con una scrittura sugosissima e calda, come sindacalista ai vertici dell’Assostampa e dell’Ordine di Piemonte, come cittadino di grande etica e DUNQUE di grande tolleranza. Non sono parole di circostanza. E’ vero dolore. E quello che come minimo gli dobbiamo è che i giovani colleghi sappiano di lui. Era andato in pensione e aveva cominciato, come diceva, la sua terza vita. Durata pochissimo. Ricollegandosi al padre pittore, ma con una passione materica forte, si era dato alla scultura. Alla moglie Luciana, con cui da tempo non risiedeva ma cui era legatissimo, e l’affetto era reciproco, ed all’amatissimo figlio Luigi, un abbraccio dai “vecchi” di Nuova Informazione. Ciao, Marina
       
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