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2 - Così è andata, colpi di scena inclusi
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di Oreste Pivetta Ovviamente questa cronachetta a proposito dei giorni e delle settimane recenti occupati dal voto per il rinnovo dei consigli regionale e nazionale dell’Ordine in Lombardia esprime un punto di vista personale. Una cronachetta, fatterelli così come li ho percepiti, un elenco disordinato di immaginette che mi sono rimaste in testa e che non pretendono di ergersi a commento, a cominciare dalla prima riunione alla quale mi è capitato di partecipare nell’ufficio di Paolo Perucchini. Si entrava con l’intesa che tutti avremmo sostenuto la ricandidatura alla presidenza del regionale di Gabriele Dossena, verso il comportamento del quale nessuno aveva manifestato la più pallida critica. Poi arrivò Peppino Gallizzi il quale vantò la fedeltà al patto che reggeva e regge il sindacato a Milano, il sostegno a Marina Macelloni a capo dell’Inpgi, a Letizia Gonzales (due volte presidente dell’Ordine a Milano) e allo stesso Gabriele Dossena, per concludere che a quel punto la sua componente ben si sarebbe meritata la presidenza. Senza indicare alcun nome, Gallizzi prese la via dell’uscita, per “consentire il più aperto dibattito”. Il nome lo avevamo comunque ben inteso: era quello del figlio, Pierfrancesco Gallizzi, ex portavoce dell’onorevole La Russa, responsabile adesso della comunicazione per l’assessore Beccalossi, “uno che non ha mai lavorato in un giornale”, come scriverà più tardi Gianni Barbacetto. Autogol di Gallizzi padre, come si vedrà: lecito rivendicare la poltrona, ma il suo candidato qualche dubbio si poteva prevedere lo avrebbe suscitato (anche per una eventuale incompatibilità di cariche)... Già allora in quella riunione si udirono proteste più o meno vibranti. Ma Giovanni Negri, rivolgendo lo sguardo al ritratto di Walter Tobagi alle sue spalle, pronunciò la sentenza: non posso rompere l’alleanza che regge il sindacato a Milano, non posso permettere che la Stigliano prenda possesso di quella poltrona (indicando il silente Perucchini), quindi non respingo il “ricatto” di Gallizzi. Respingeva in compenso le critiche di Nuova informazione e di Impegno sindacale: con quelli, comunisti e cattocomunismi, si poteva pure rompere... Chiuso. Gli schieramenti son fatti: Stampa democratica con Gallizzi, noi di Nuova Informazione con i cattolici di Pino Nardi, infine Abruzzo più Alberizzi più la Stigliano. Contiamo su nuovi arrivi, su nuovi entusiasti elettori dell’Ordine. Invece – seconda immagine – quando mi ritrovo al seggio tanto la domenica che il lunedì della prima effettiva votazione, incontro solo anziani e perlopiù poco motivati colleghi, qualche giovane intruppato, qualche vecchio amico incerto sulle gambe, persino qualche simpatizzante personale. È un vociare allegro, un rinverdire episodi del passato come ai funerali, chiedere voti, assicurare fedeltà. Primo risultato: 953 votanti tra i professionisti, una miseria se si pensa al numero degli iscritti in regione. Il fallimento di un Ordine che pensa al giornalismo e all’informazione come un secolo fa, il segno di un distacco profondo e di una storia finita, suscitando però ben scarsa apprensione tra i capi dei vari gruppuscoli. Secondo risultato: Stampa Democratica e Gallizzi fanno il pieno. Nuova Informazione fuori ovunque (si salva Dossena, che però rinuncia al ballottaggio), Abruzzo e gli altri si ritrovano con l’acqua alla gola. Allora Abruzzo con un colpo di teatro liquida il generoso Sansonetti e libera un posto per il primo degli esclusi di Nuova informazione, cioè tra quelli che aveva definito pochi giorni prima sulla sua lettera di informazione “i cacicchi del sindacato”. Per salvarsi Abruzzo ha bisogno dei cacicchi del sindacato e propone un patto iniquo: quasi duecento voti (su 953 votanti, mi ripeto) valgono un poco di più della casella al ballottaggio lasciata libera da Sansonetti. Gran dibattito all’interno di Nuova Informazione tra chi sostiene “che bello che bello” e chi ricorda gli insulti di Abruzzo, i suoi estenuanti attacchi alla Macelloni e le altrettanto estenuanti manovre antisindacali degli altri. Francamente non ho capito come sia andata a finire, divisi tra il sì e il no e il silenzio, tra il sì con una motivazione e il sì per un’altra. Per quanto riguarda le mie scelte future mi richiamo al valore del voto come espressione di una volontà individuale e mi imprimo nella memoria la semplicissima e dirimente considerazione dell’amico Paolo Zucca (candidato con noi al regionale): tra chi fa il giornalista e chi non lo fa scelgo il giornalista. Non elenco le telefonate ricevute. Rassicuro i molti che mi chiamano: la discussione nel nostro gruppo è aperta e non chiuderà, ingenuamente confermo che nessun accordo è stato sottoscritto. L’articolo di Barbacetto e l’appello di Piero Scaramucci (tra Mussolini e Badoglio scelgo Badoglio) contribuiscono a rovesciare l’esito del primo turno. I giornalisti, come in tempi assai migliori, si mobilitano per sventare la minaccia Gallizzi figlio e l’effetto anti Gallizzi figlio è dirompente e trascina l’alleanza Abruzzo- Stigliano-Alberizzi e non so chi altro. L’italiano è così: riscopre cuore, temperamento, morale di fronte alle tragedie nazionali, dall’occupazione nazifascista al terremoto del Belice, dalla strage di piazza Fontana all’alluvione di Firenze. Nel suo piccolo Pierfrancesco Gallizzi rappresenterebbe una tragedia lombarda (già ce ne toccano non poche). Come sia finita lo sapete. Per quanto mi riguarda ricordo il saggio Volpati che mi aggredisce nel giardino dell’Istituto dei Ciechi di via Vivaio accusando me del tutto innocente di chissà quale “inciucio” (aborro la parola e il metodo), la contentezza di molti per lo sventato pericolo, la depressione di quanti si consideravano già vincitori. Posso solo immaginare la faccia di Negri, tra la consapevolezza di essere stato il primo responsabile del disastro di Stampa Democratica e l’intima soddisfazione di aver quasi annientato Nuova Informazione, “quasi” perché Nuova Informazione vive. Come, lo dirà l’avvenire. Intanto è ripresa, più vivace che pria, la discussione, con una animosità che non si era mai vista. Ancora in modo del tutto personale, auspico che Nuova Informazione chiuda al più presto la pagina (brutta se non bruttissima) del voto. A nostra giustificazione dirò che ci siamo trovati tra l’incudine e il martello, tra Negri, Gallizzi e Perucchini (lo accuso di non aver mandato a quel paese il suo patrigno Negri al momento buono) e Abruzzo, Stigliano, Alberizzi. Pierfrancesco Gallizzi è riuscito nell’impresa di muovere l’elettorato e di alimentare una vincente coalizione contro se stesso, papà Gallizzi ha sbagliato troppe mosse (volevo suggerirgliene una che avrebbe ribaltato tutto, ma non me la sono sentita), noi in prima istanza ci siamo lasciati tradire dai buoni sentimenti e dalla convinzione che a parlare di riforma dell’Ordine (di cui per un pezzo ci vantiamo) tutti sarebbero accorsi a sostenerci, salvo poi infilarci in un pastrocchio (che si nobilita solo in nome del vecchio ma sempre attuale antifascismo militante), Abruzzo è stato abilissimo nel concedere pochissimo e nel portarsi via tutto (tanto di cappello, Franco !!!) e adesso potrà rompere le scatole non solo all’Inpgi, ma anche nel Consiglio nazionale (chissà che non gli venga in mente di candidarsi alla presidenza). Molti di noi hanno accusato il sindacato romano di averci imposto la subalternità a una alleanza (con Stampa Democratica, ecc. ecc.), che qui presenterebbe specificità storiche non assimilabili al quadro nazionale (ecco il “caso Lombardia”), hanno rivendicato autonomia (salvo pretendere un aiutino sindacale per questa o quella manovra, salvo dimenticare che se una riformicchia dell’Ordine c’è stata lo si deve al peso politico del sindacato), hanno denunciato la pretesa del sindacato di ricercare soluzione omogenee e coerenti per il governo di tutti gli enti di categoria (francamente credo che sia un tentativo non solo legittimo, ma anche opportuno), hanno rivendicato la sorta di priorità dell’Ordine rispetto al sindacato. E via... Sono ipercritico nei confronti del sindacato, che mi sembra ovunque chiuso, correntista, familista, sempre più lontano dal mondo reale del lavoro (come capita però a tutti i sindacati, che non riescono a intercettare ormai una realtà pulviscolare: non è colpa loro se le fabbriche chiudono). Ma continuo a pensare che il nostro impegno prioritario sia dar forza al sindacato. Non è questione di ricambio generazionale, come sostiene qualcuno, il guaio sono vecchie correnti, vecchie appunto e dannose, quando occorrerebbe unità attorno ad alcuni punti fermi, che anch’io sarei pronto a indicare. Come diceva una amica, l’Ordine sforna dietro pagamento giornalisti disoccupati, il sindacato ha la responsabilità del loro futuro...